Visages Villages di Agnés Varda

“…Vorrei fare una annotazione, JR ha trentatré anni e io ottantotto, ormai ottantanove e lui trentaquattro, la differenza non è cambiata. Ma questa distanza esistente tra noi non ha mai giocato a sfavore, anzi, la gente è stata anche divertita nel vederci. Siamo un po’ come Stanlio e Ollio, lui è alto e magro, io sono un po’ più bassa e robusta. Eravamo un po’ come Doublepatte et Patachon (duo comico danese del periodo del cinema muto, uno dei primi ad acquisire una certa rilevanza a livello internazionale, poco prima di Lorel e Hardy ndr), per dare l’idea della coppia. Lui ha piedi lunghi e io più piccoli, queste sono le differenze di base. Non abbiamo litigato molto, se non su piccoli dettagli. Ad entrambi piace mangiare la “chouquette”,  non è un croissant, né un biscotto, ma ci sono diversi fornai nella mia via che preparano questo pasticcino e in alcune panetterie sono migliori. Per me le migliori sono quelle su un lato della strada, per JR quelle del lato opposto, è questo il nostro disaccordo di base. Per il resto, il caso ci ha concesso di fare incontri con la gente, incontri che ho sempre considerato come tanti regali, e lo stesso vale per il rapporto che abbiamo avuto con loro…”

da un’ intervista ad Agnés Varda in Cinefilia ritrovata, Cineteca di Bologna Website

A novant’anni la vita può essere ancora un’avventura, la mente ordina al fisico di reggere, c’è tanto da scoprire e se uno lo ha fatto a venti continua anche a novanta. Se poi si fanno gli incontri giusti, se si è capaci di ridere e se si lascia al caso di fare il suo mestiere è fatta, si gira un film e si butta un palloncino nell’acqua. Non un sasso, un palloncino. I cerchi concentrici girano attorno al mondo e stampano un sorriso di gioiosa sorpresa in chi li guarda.

JR ha trentaquattro anni e tutta la vita davanti. Fa foto, gigantesche, e le attacca dovunque, all’insegna di un sano principio: unire la gente e condividere.

“A ispirarlo è sempre l’idea del legame, è un artista molto amato. Gli interessa anche molto che la gente prenda coscienza della propria immagine, che la condivida con gli altri, del resto, è ciò che poi è divenuto l’identità del selfie. L’inviare una foto davanti alla Tour Eiffel ad esempio o ovunque ci si trovi, è la cultura della condivisione, mi faccio una foto e te la mando, condividere significa essere presenti, è certamente qualcosa di nuovo, di questi ultimi quindici anni.”

Agnés ne ha novanta, si limita a non salire troppe scale e non esagerare con i dolcetti del panettiere di rue Daguerre, la strada di Parigi in cui abita da sempre. Ha già esplorato il mondo, dell’arte e della storia, ha fatto le vacanze in Costa Azzurra con Godard e Anna Karina, ma oggi Godard è un eremita che forse vive di ricordi sulle rive del lago Lemano. E’ infatti un breve ricordo quello che lascia ad Agnès scritto sul vetro della porta di casa, nel finale, lui non c’è, è un fantasma nascosto in quel paesino fuori dal mondo.

Lei no, è una donna, bella differenza, e con un ragazzo che potrebbe essere il pronipote compie un’impresa molto zen: con un buffo camioncino-macchina fotografica gira per il nord della Francia e incontra la gente più comune che c’è in paesini di contadini, operai, massaie e bambini educati, un postino che gira in bici e la gente gli regala frutta e pomodori in cambio di lettere, formaggiai che tagliano le corna alle capre sennò si azzuffano. Un po’ tutto quel che c’è lontano dalla città: storie, mestieri, sentimenti.

C’è anche il vecchio disoccupato con pensione minima (o massima, dice lui fra un dente e l’altro rimasto in bocca, non ha mai avuto un lavoro e dunque tra massima e minima ci corre solo il punto di vista).

Li fanno mettere in posa, da soli o in gruppo, c’è chi entra nel camioncino dal retro e ne esce trasformato in gigantografia, c’è il gruppo di operai sullo sfondo del muro grigio della fabbrica che alzano le braccia come in una ola, ci sono i pesci enormi fotografati al mercato che galleggiano sul cilindro della torre del silos e sembrano felici, c’è la cameriera del bar che ha fatto la fortuna del locale in cui lavora, vengono turisti a frotte per fotografare lei di dieci metri sulla casa di fronte, e poi un buon caffè è quel che ci vuole.

 

JR, street photographer di fama internazionale, occhiali neri incollati e cappello anche quello fisso in testa, Agnés Varda, caschetto bicolore di capelli, una vita nel cinema, musa femminile di un mondo molto maschile qual era la Nouvelle Vague, si muovono per paesi e campagne come Don Chisciotte e Sancho Panza, Ronzinante è il camioncino fotografico, mulini a vento non ce n’è, o forse sì, metaforici.

E’ il mondo omologato, i grattacieli che coprono il cielo, la gente che si scontra per strada e non si conosce, né desidera farlo.

JR e Agnés si muovono in coppia, parlano a vicenda, è un canto amebeo fatto di brevità e leggerezza, vivacità e realismo, gusto della rappresentazione, sottigliezza e ironia, simpatia contagiosa che abbraccia le persone e le mette insieme sui muri, popola di visi il paese mezzo costruito e poi abbandonato, chissà perché, non ce lo dicono, ma non c’importa, anche l’Italia è piena di cose così, soldi pubblici finiti in opere infinite.

Ora il paese è pieno di gente che sorride dai muri.

C’è allegria e a volte un po’ di tristezza, sguardo sul mondo delle piccole cose fatte diventare grandi, enormi, dall’occhio fotografico di JR e da quello cinematografico di Varda.

Una riscoperta, o forse una creazione assoluta, forse quel mondo non è mai esistito, e questi due buffi picari ne stanno inventando uno, ma d’ ora in poi esisterà, come i pastori di Virgilio o le casalinghe di Teocrito.

La poesia crea il mondo, lo dipinge, lo fotografa, lo riprende e ne fa un buon montaggio di 89 minuti.

Correre liberi fra persone e paesi, come attraversare di corsa, a piedi o in carrozzella, la Galleria Italiana del Louvre.

Verità? Fantasia? Bande à part, Visages Villages.

Visages Villages

Francia 2017  durata 89′

regia Agnés Varda, JR

con Agnés Varda, JR

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