A good American : il prezzo della sicurezza di Friedrich Moser

Prequel del caso Snowden, A good American : il prezzo della sicurezza dell’austriaco Friedrich Moser, storico di formazione e regista di mestiere “… è un po’ monocorde, vecchio stile nella voce solista e nel montaggio alternato, ma è agghiacciante il senso” commentava Maurizio Porro sul Corriere della Sera lo scorso anno.

Ma è proprio questa patina un po’ rètro, unita alla chiarezza dell’esposizione e alla sobrietà di tutte le parti che lo compongono (voce esterna, interventi diretti dei protagonisti, riprese interne ed esterne, filmati di repertorio e qualche ricostruzione ambientale) a distinguerlo dalla fioritura di film su complotti internazionali, segreti di Stato, intrecci più o meno confessabili fra denaro, potere e controllo delle masse che spesso fanno del sensazionalismo lo scopo primario.

Qui si vuol informare, ma facendolo con la forma / cinema il messaggio è più diretto e coinvolge al punto che, alla fine dell’ora e mezza di visione, non ci fermiamo a chiederci un po’ scettici se possiamo credere a tutto quello che abbiamo visto. Ci crediamo perché è impossibile non farlo, c’è la forza dell’evidenza.

Film onesto che non ha puntato a premi internazionali e da quando è uscito in sala sembra caduto nel vuoto, pochi a parlarne, risonanza quasi zero, nonostante sveli retroterra del potere e scenari da far tremare, ci costringe a cercare una risposta, ma l’unica che troviamo è che siamo tutti talmente in overdose di informazioni che forse diventiamo per questo inconsapevoli fatalisti a tempo pieno.

A good American non è una storia da raccontare nè un documentario da mostrare, è solo la testimonianza di alcuni addetti ai lavori su un fenomeno dell’era digitale di cui abbiamo cominciato solo da poco a prendere coscienza, ma che resta, e resterà chissà per quanto ancora, il più grande mistero di inizio millennio.

I protagonisti interpretano sè stessi e il personaggio chiave della vicenda è William Edward Binney, Bill per gli amici, decodificatore e critto-matematico, analista ed ex direttore tecnico della NSA (National Security Agency) statunitense. Sua è la voce esterna, si muove su una carrozzella per disabili mentre racconta di sè e del suo lavoro a partire dagli anni ’60, al tempo della guerra del Vietnam. Fu allora che cominciò a studiare la rete globale di comunicazioni che avvolge il pianeta e sviluppò un programma rivoluzionario, Thin Thread, capace di tracciare collegamenti tra due miliardi e mezzo di telefoni.Con un linguaggio che mette anche il più disinformato degli spettatori in grado di capire, il film ci conduce un passo dopo l’altro davanti ad uno scenario, come diceva Porro, “agghiacciante”.

In apertura una voce di donna. E’ un messaggio vocale e lo riconosciamo subito, lo lanciò l’11 settembre alle 9.47 la passeggera di un volo dirottato che finì il suo viaggio contro le Twin Towers:

Ciao tesoro, senti, ascolta bene ciò che sto per dirti. Ti sto chiamando da un aereo che è stato dirottato. Volevo dirti che ti amo. Dì’ ai miei figli che li amo tantissimo e che mi dispiace tanto che… non so cosa dire, tre uomini hanno dirottato l’aereo. Sto cercando di restare calma, ma abbiamo invertito la rotta e ho sentito che hanno indirizzato altri aerei sul World Trade Center. Spero tanto di rivedere il tuo viso, tesoro. Ti amo. Ciao.”

Fine del messaggio chiude la voce metallica del telefono.

Entra in campo Bill, primo piano, per dire che la visione più tremenda fu la gente che si buttava giù dalle finestre delle torri in fiamme .

“… e il fatto di aver permesso tutto ciò è ripugnante ” chiude.

Poi va dritto all’obiettivo: “Thin Thread è un programma che avrebbe scongiurato l’11 settembre, l’avrebbe evitato”.

E’ il prologo, prima dei titoli che scorrono sullo skyline di New York ripresa dall’alto di notte, silenziosa e punteggiata di luci.Sullo sfondo il nuovo World Trade Center.

 

La storia di Bill, pochi altri e Thin Thread

 Non è una bella storia, ma bisogna conoscerla per capire tante cose.

La voce esterna è  Bill che racconta di sé, “ cresciuto nelle lande selvagge della Pennsylvania, sulle colline degli Appalachi”, del padre reduce dalla seconda guerra mondiale e della guerra che sempre costringe gli aggrediti ad essere brutali tanto quanto gli aggressori.

Uomo di eccezionali abilità analitiche, i colleghi dicono di lui: “Bill trovava sempre il modo di aggirare il criptaggio e leggere dati che nessuno riusciva a decodificare. E’ come se avesse incorporato un rilevatore di cazzate, se qualcuno vendeva aria fritta lo capiva immediatamente. Era di gran lunga il miglior analista dell’agenzia”.

Negli anni sessanta aveva da poco finito gli studi e decise di non andare a sparare alla gente in Vietnam.

Avevo smesso di cacciare perché non amavo uccidere gli animali, quindi perché mai sarei dovuto andare in Vietnam?” .

Le sue eccezionali doti matematiche gli aprirono la strada, e il primo incarico fu in Turchia per l’Agenzia di Sicurezza dell’esercito al tempo della crisi dei missili a Cuba. Si occupò del sistema dati dell’Unione Sovietica, non ancora decrittato, e fu l’esperienza formativa fondamentale, quella che gli servì per capire che si trovava di fronte a modelli matematici.

Tutto è comportamento umano, e il comportamento umano è estremamente schematizzato. Come operano le persone, come interagiscono e come si manifesta tutto ciò nell’astratta comunicazione che stavamo analizzando? Si tratta di individuarne il modello e interpretarlo correttamente, allora apri una breccia. Si chiama analisi dei metadati, nessuno l’aveva mai fatto prima”.

La scoperta era enorme e Bill venne chiamato nella sede centrale dell’agenzia. Era il 1967. L’anno dopo, 1968, Bill decise di tener d’occhio i movimenti di addestramento dei Russi sul confine cecoslovacco. L’analisi dei metadati, cioè dati che studiano i dati, permette di ricostruire un quadro d’insieme attraverso il flusso delle comunicazioni. Non interessa il contenuto di una conversazione ma chi parla con chi, quante volte si sentono, lo stile, il linguaggio, i rapporti gerarchici.

Attraverso queste analisi Bill scoprì e registrò dati anomali rispetto ad un normale programma di addestramento. La loro analisi fece emergere cinque indicatori che consentirono di capire che i Russi stavano per invadere e dopo due giorni i carri armati entrarono a Praga. Allo scoppio della guerra del Kippur nel 1975 i cinque indicatori puntualmente riapparvero, e poi ancora nel ’79 in Afghanistan.

Il racconto è sconvolgente nella sua semplicità, scoprire gli indicatori di un attacco imminente e di pericolo reale basandosi su modelli matematici riconducibili al piccolo numero di cinque era una carta vincente di portata planetaria.Le centinaia di indicatori già esistenti non servivano, erano i suoi cinque che comparivano ogni volta che un attacco stava per essere sferrato.

Nel ’93 ci fu il primo tentativo di distruggere il World Trade Center.

Non riuscì, ma ci furono danni e vittime e, soprattutto, comparve per la prima volta il nome di Osama Bin Laden.

Che non fosse un episodio isolato ma il segnale di un piano molto ampio in cui Al Qaeda e Osama chiamavano all’azione era fin troppo chiaro, i rapporti degli analisti del team di Binney segnalarono l’allarme, ma il Capo di Stato Maggiore, sceso fra loro ai piani bassi del Pentagono, disse: “Ho letto i vostri rapporti. Chi se ne frega di un cammelliere che sputa fatwa sotto un fico nel deserto? Chi se ne frega? Non è una minaccia”.

 Qual era il problema? Lo spiega Diane Roark, finanziatrice del team di Binney: arretratezza dei sistemi usati dall’Intelligence, impreparazione all’era digitale, convinzione orgogliosa di essere la migliore al mondo, reputazione che aveva sempre avuto .

Ora l’agenzia di intelligence naufragava in un mare di dati inutili, presi a caso, gli analisti brancolavano nel buio, impossibile capire cosa fosse importante e cosa no. L’uso dei metadati per studiare i rapporti in rete era la soluzione, ma qui nacque il problema sintetizzabile in due parole: soldi e potere.

Siamo al centro del film, al nocciolo, al punto in cui Binney si affanna a spiegare che il problema era l’errore umano,l’imprecisione dell’uomo nell’interpretazione delle informazioni o nel riconoscimento di quelle importanti. Bisognava rendere i dati intangibili, il processo automatizzato, l’uomo non doveva toccare le informazioni.

In realtà il problema era ben altro, come abbiamo detto. Comunque anche in questo Bill aveva visto giusto ed era stato profetico. Lo scandalo Facebook e Cambridge Analitica è di questi giorni, mentre il caso di Edward Snowden, colpevole di aver rivelato pubblicamente “ dettagli di diversi programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, fino ad allora tenuti segreti” e colpito da mandato di cattura per aver rivelato segreti di Stato, è noto da tempo.

Il progressivo isolamento di Binney comincia alla fine degli anni 90:

Molti non mi parlavano perché temevano di perdere il lavoro

Tutto quello che Binney racconterà d’ora in poi sarà il riflesso di un uomo che ha posto al centro del suo lavoro e della sua etica personale un principio ferreo: l’informazione dev’essere al servizio dell’uomo, lo sforzo dell’intelligenza deve avere questo unico scopo, salvare l’uomo dall’autodistruzione.

Una data dopo l’altra, dal Vietnam al 1993, primo attentato alle Torri, bombe nei parcheggi, tre morti e 150 feriti, Bill arriva al centro della grande mela marcia.

Il 1993 fu il primo segnale, bisognava coglierlo, e si poteva, i mezzi per scongiurare il terrorismo internazionale c’erano, le intelligenze capaci di elaborare dati anche. Il sistema di controllo e selezione di dati, i metadati, erano in grado di rispettare la privacy del cittadino comune collaborando alla sua protezione col tener d’occhio i gangli vitali del sistema segnalando i punti di pericolo, le postazioni intorno al globo da tener d’occhio per prevenire.

Perché tutto questo non avvenne e cominciarono a circolare nomi come Bin Laden?

Erano gli albori dell’era digitale, alla diffusa costellazione del terrorismo internazionale fu molto facile appropriarsi dei mezzi di informazione e comunicazione, era l’arma più efficace. Bisognava  rispondere con la stessa arma, usare la rete per stanarli, selezionare i dati in modo appropriato.

Questo non avvenne, la sicurezza non fu garantita e i dati furono utilizzati in modo non appropriato.

Binney lo spiega molto bene, con voce calma, priva di enfasi. A volte sorride, un po’ tristemente, è un uomo anziano che ha vissuto, ha messo la sua grande intelligenza al servizio di cause giuste, non accusa, non serve, la realtà parla da sola.

Thin Thread venne chiuso il 20 agosto 2001, troppo economico, bisognava far finanziare programmi più costosi, money, money, e bum, due aerei s’infilarono nelle due torri come coltelli nel burro venti giorni dopo.

A good american : il prezzo della sicurezza

 AUSTRIA  2015 durata 100’

di Friedrich Moser

con Bill Binney (William Binney)se stesso, Jesselyn Radack se stesso, Ed Loomis se stesso,  Kirk Wiebe se stesso, Diane Roark se stessa, Tom Drake se stesso, Christopher Beer se stesso, Gregor Huter se stesso, Mars Mohr se stesso

 

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