Angèle et Tony di Alix Delaporte

Storia di gradi progressivi di avvicinamento, in Angèle e Tony.

C’è stata un’inserzione matrimoniale di Tony, pescatore lungo le coste della Bassa Normandia, solitudine, vita dura, serate al bar ad annegare nella birra, leggi e tasse capestro, un padre caduto in mare e sparito per sempre.

Angèle è in libertà vigilata, il marito è morto in un incidente provocato da lei, si sa poco della sua vita, è brusca, tesa, laconica, entra in scena nella prima sequenza, sta facendo l’amore in piedi contro un muro con un tizio che le ha procurato un pupazzo che vuol regalare al figlio, ci vuol poco a capire che quello era il prezzo, poi però finisce che lascia il giocattolo al nonno e scappa, non regge all’incontro, il piccolo si è disabituato a lei in quei due anni e c’è uno spazio troppo lungo da colmare.

Angèle (Clotilde Hesme) ha dentro una disperazione che non trabocca in lacrime, una straordinaria forza espressiva nel viso, nel corpo affusolato, in quel muoversi a scatti, in un’agitazione motoria che resta l’unico segno della sofferenza interiore e contrasta con il muoversi lento, pacato, del corpo massiccio di Tony (Grégor Gadebois, attore della Comédie Française) un uomo temprato dal mare e dalla fatica.

C’è la madre di Tony, come tutte le donne del posto si occupa del pescato degli uomini, lo vende al mercato, è segnata dalla vita di quel mondo scabro di confine, mare grigio e gonfio, terra di eriche spazzate dal vento, e guarda Angèle con la stessa diffidenza del cane che difende il suo territorio.

Mondi diversi (“tu hai bisogno di uno di città” è la prima cosa che dice Tony vedendo Angèle, “che te ne fai di uno come me?”), mondi lacerati (“perché non vivi con tua madre?” chiede Tony al bambino, e lui “perché è stata in carcere”), mondi che nessuno scommetterebbe possano avvicinarsi.

Eppure accade, e in maniera impercettibile, senza acuti, in una costruzione nient’affatto esibita.

Nessuna accelerazione enfatica, il dramma dei personaggi si coglie in un gesto, una frase, il livello dei loro sentimenti si legge in poche parole, “Se lei se ne va vado via anchio” di Tony alla madre ostile ad Angèle, nella breve carezza della madre ad Angèle che sta per andarsene, e poi le dice: “Non collabori anche tu alla festa?”, nel piccolo che il nonno ha dovuto accompagnare al matrimonio di Angèle, di nascosto dalla nonna, perché lui lo voleva.

Il finale arriva così, in quel tendersi in avanti verso una direzione che fa da guida, seguendo un percorso che è anticipazione della meta, e il tema del desiderio qui acquista la naturalezza semplice delle cose che a volte nella vita possono anche accadere, e l’epilogo è perfettamente in linea con la compostezza di uno stile che non si compiace, sceglie la misura sobria del racconto realistico per parlare di sentimenti grandi, che non serve gridare perché dimostrino di esserlo.

Una vera prova d’autore questo primo lungometraggio di Alix Delaporte, ex giornalista e reporter per Canal Plus, presentato a Venezia 2010 nella Settimana della critica e già vincitore del Prix Michel d’Ornano come miglior opera prima.

Angèle et Tony

Francia, 2010, durata 85’

di Alix Delaporte

con Clotilde Hesme, Grégory Gadebois, Evelyne Didi, Antoine Couleau, Corine Marienneau, Dany Verissimo, Lola Dueñas, Patrick Descamps, Jérôme Huguet

 

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