Donne e cinema – Beloved – L’ombra del passato di Jonathan Demme

Una storia vera

Toni Morrison, scrittrice afroamericana, Nobel 1993 per la letteratura, ha basato gran parte del romanzo Beloved, premio Pulitzer 1998, su un vero caso di cronaca.

Margaret Garner era una schiava che viveva in una fattoria chiamata Maplewood nella contea di Boone nel Kentucky. Il suo proprietario, Archibald K. Gaines, era il padre di due dei suoi quattro figli. Nel gennaio 1856, Margaret, suo marito Robert Garner e i loro figli fuggirono attraverso il fiume Ohio coperto di ghiaccio fino alla casa dello zio di Margaret, Joe Kite, appena fuori Cincinnati.

Quando i cacciatori di schiavi si avvicinarono, Margaret cercò di uccidere i figli piuttosto che farli tornare schiavi. Riuscì ad uccidere solo la figlia di due anni con un coltello da macellaio prima di essere catturata. Ne nacque un complicato caso giudiziario perché l’accusa sosteneva che Margaret dovesse essere giudicata come schiava fuggitiva in base alle leggi federali, mentre la difesa sosteneva che dovesse essere giudicata per omicidio secondo le leggi statali.

Ci sono vollero quattro settimane per portare la causa in giudizio a Cincinnati, perché la difesa sperava di ottenere un perdono dal governatore dell’Ohio se Margaret fosse stata condannata. Poichè il giudice decretò a favore delle leggi federali, Gaines la riportò in Kentucky e, per tenerla lontana dagli abolizionisti dell’Ohio, la mandò a New Orleans, quindi in una piantagione del Mississippi dove morì di febbre tifoidea nel 1858.

 Il film

Film colpevolmente rimosso dalla memoria cinematografica, flop al botteghino, quasi ignorato dalla distribuzione all’uscita (1998), Beloved si offre con potente magnetismo nel racconto e cattura fin dalla prima scena a cui la composizione ad anello salda la fine della storia.

Il film mantiene la struttura labirintica del libro di Morrison, gli eventi di orrore inimmaginabile della vita di Sethe (Oprah Winfrey), una delle tre donne protagoniste, hanno prodotto in lei uno smarrimento, una perdita di sé che diventa difesa, paura di riconoscersi.La rivelazione del retroterra della vicenda e del vissuto dei personaggi procede per continue analessi, squarci improvvisi, violente lame di luce che aprono scenari infernali.

 

Lo spettatore è chiamato a lavorare alla ricostruzione di un puzzle che segue il percorso nella memoria di Sethe, la schiava nera che per un breve attimo ha trovato pace con i suoi figli nella fattoria di nonna Suggs (Beah Richards).

Sethe era schiava in una piantagione del Kentucky nei giorni precedenti la guerra civile.L’arrivo dei bianchi, venuti ad esigere i suoi figlioletti come merce umana, frutto della compravendita legalmente riconosciuta dallo Stato, aveva sconvolto nella sua mente il faticoso equilibrio ritrovato dopo esperienze di inenarrabile  sofferenza, e in una scena memorabile di disperazione e orrore li uccide per riappropriarsene e sottrarli, lei barbara, alla vera barbarie del mondo che si presume civilizzato:

Preferisco saperli in pace in cielo che all’inferno qui sulla terra”.

Medea nera, non approderà sul carro del Sole a cui la pietà della tragedia antica consegnò l’eroina classica. Il teatro della storia umana non prevede prospettive salvifiche nè l’irrazionale impulso dionisiaco si ricompone nella compostezza apollinea.

Da quegli abissi di sopraffazione e violenza (Ohio, metà ‘800, schiavi neri e padroni bianchi) sono sopravvissute lei e la figlia Denver (Kimberly Elise) come larve umane, isolate dal resto del mondo, in una casa alla periferia di Cincinnati, al 124 di Bluestone Road.

Qui Sethe ha relegato sè stessa e la figlia in una prigione di presenze minacciose, fantasmatiche, che traducono le Erinni della colpa in ossessioni e fobie, fino a prendere corpo nella comparsa di Beloved (Thandie Newton), forse una realtà o forse un sogno, o forse una materializzazione  dell’inconscio, impossibile dirlo.

Thandie Newton

Demme gioca su sottili ambiguità spiazzanti, costringe a guardare nel fondo di queste anime attraverso parole, gesti, primi piani folgoranti che si allargano in riprese di splendidi scenari naturali.

Nella vita delle due donne arrivano prima Paul (Danny Glover), redivivo dopo diciotto anni, portatore di un sano spirito di razionale e rassicurante concretezza, carico di ricordi e tasselli che aiuteranno Sethe nella ricostruzione di quel passato che l’ha segnata, poi Beloved, figura inquietante, infantile e disturbante, dolce e minacciosa insieme, forse la figlia ritrovata, forse la sorella desiderata, emersa dal nulla, tornata da una dimensione certamente “altra”, dove, dice, “ci sono persone morte”, venuta “per vedere il suo viso”, dice con la sua strana vocina, il viso della madre, di Sethe, la madre che l’ha uccisa? o che l’ha abbandonata?

C’è in Beloved, che si muove a scatti nevrotici, parla per lallazioni e suoni dalla decodifica oscura, passa da stati catatonici a scatenamenti motori terrificanti, una conoscenza inspiegabile di oggetti e fatti, un alone di mistero che Sethe mostra di non avvertire come invece accade a Paul e Denver, due figure ancorate alla realtà mentre la donna vive in un incubo che continua a credere reale.

Amore e odio convivono in Beloved, in un susseguirsi di gesti e parole che avvolgono Sethe in una spirale che la porterà sull’orlo della follia.

Infine Beloved sparirà sulla porta di casa, risucchiata nell’urlo immenso del suo corpo gravido, violato, mentre la sua mano lascerà lentamente quella della madre in un distacco che ora è definitivo.

Unknown

Demme assegna al racconto un ritmo lento, denso di sonorità spondaiche, interrotte da altissimi strazianti (le urla di Beloved) e dalle cadenze gospel delle parole di nonna Suggs, una delle grandi figure del film, donna sapiente, custode delle tradizioni di una cultura calpestata dai bianchi.

Gran Madre in cui Sethe aveva potuto vedere “come erano i negri quando erano liberi”, nei suoi rituali riecheggiano i canti dell’orgoglio nero:

When I get to Heaven I’m going to sing and shout / ‘Cause nobody there’s going to turn me out /I know my robe’s going to fit me well / Cause I tried it on at the gates of hell

“quando andrò in cielo canterò e griderò / perché nessuno mi zittirà. / So che la mia veste mi starà a pennello / poiché l’ho provata alle bocche dell’inferno”

a cui si oppongono dolorosamente le parole tremende di Sethe che racconta a Paul il suo martirio:

C’è uno sguardo che hanno i bianchi, quello sguardo del giusto uguale allo sventolio di una bandiera vittoriosa, quel senso del giusto che esprimono con la frusta, con i pugni e che si manifesta molto prima che la loro violenza esploda”.

Potente affresco di un’epoca che non sarà mai abbastanza lontana per essere dimenticata, grande storia e destini individuali saldati in una visione potente da cui non si può uscire indenni, il film si chiude sulle ultime parole di nonna Suggs:

E il battito del vostro cuore amatelo più dei vostri polmoni che servono per respirare l’aria della libertà, più del grembo che porta la vita, più delle parti più segrete che danno la vita, amate il vostro cuore, questo è il premio”.

Beloved – L’ombra del passato

USA, 1998, durata 172’

di Jonathan Demme

con Oprah Winfrey, Danny Glover, Thandie Newton, Yada Beener, Beah Richards

musica di Rachel Portman

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