SABRINA di Billy Wilder

Odio le donne che ridono sempre!” piagnucola Sabrina rivolta al padre, il buon attempato chauffeur che da 25 anni guida la limousine della famiglia Larrabee, restando compassato al suo posto da perfetto snob.

Sul sedile posteriore i padroni, in mezzo il diaframma di vetro per non confondere i ruoli.

Non sognare l’impossibile”, risponde affettuoso e burbero alla figlia che guarda le feste di casa Larrabee con quegli occhioni immensi e tristi dal nascondiglio sull’albero, mentre il suo adorato David, rampollo sfacccendato dei Larrabee (un William Holden adeguatamente ossigenato) svolazza tra bellezze bionde e ridenti in bianco tight, con bottiglia di champagne e flut di cristallo ricoverati per ogni evenienza nelle tasche posteriori dei pantaloni.

Un corso di cucina aspetta Sabrina a Parigi, il master dei poveri, il massimo a cui puoi aspirare se vivi ai piani bassi, e Sabrina è la mascotte della servitù che tifa per lei senza ritegno.

La tour Eiffel occhieggia ora dietro il finestrone rotondo davanti al quale si staglia, fiero, il capocuoco che la guarda disgustato (la dolce Sabrina non sa neanche rompere un uovo!).

Ma Parigi è sempre Parigi e fa miracoli.

Sabrina sboccia, di colpo non è più la timida ragazzetta che voleva morire per amore nel parco macchine dei Larrabee, aspirando ossido di carbonio e finendo sulle spalle del severo Linus (un Humphrey Bogart non smagliante come sempre, ma la parte non lo prevedeva) che la riporta di sopra (e già lì il destino comincia a darsi da fare, come vedremo). Sabrina torna da Parigi nella maestosa dimora dei Larrabee come un sogno, una ventata d’aria fresca, i suoi occhi sono luce, il sorriso perle, il corpo giunco.

Illumina quel mondo incartapecorito di uomini troppo seri e donne troppo ridenti, fanciulle da allevamento per matrimoni combinati e vecchie sussiegose, mariti spaventati che si nascondono con sigaro acceso nell’armadio e dandy perdigiorno che scialacquano i beni di papà. Dunque bisogna neutralizzarla, mamma, papà e Linus si coalizzano, la fanciulla è amore, bellezza, joie de vivre, non c’è posto per una cosa simile e chi ci pensa è Linus, il fratello serio.

Ma il destino ha continuato il suo lavoro, da quella volta in garage.

Mentre David, che finalmente si è accorto di lei, cura le conseguenze nefaste del vizietto di mettere bicchieri nelle tasche posteriori dei pantaloni per poi scordarsene sedendocisi sopra, Linus tesse la tela in cui resterà impigliato (e con nostra vera soddisfazione, del resto, tra Holden e lui l’esito era scontato, forse meno scontato se al suo posto ci fosse stato Cary Grant, come doveva essere all’inizio, ma poi Cary diede forfait).

Wilder passa la sua mano leggera sulle cose, guarda divertito, corruga di tanto in tanto la fronte, ma solo un po’, mette insieme un cast prezioso, di quelli che fanno pensare a felici congiunzioni astrali, e sembra dirci: “ Questo è uno dei tanti modelli della vita dell’uomo, sempre che non arrivino le tempeste dalla storia”.

Ora proviamo a scombinare le carte e lasciamo che a farlo, stavolta, siano grazia e allegria, in una parola Sabrina, la lady anomala di una sophisticated comedy che rivede e corregge la favola di Cenerentola (“d’altronde siamo nel XX secolo” si sente ripetere).Dopotutto, “nessun povero è mai stato chiamato democratico per aver sposato un ricco”.

Il grande cinema del tempo che fu ancora ci sorprende e ci fa star bene, e a volte si può.

Sabrina

USA, 1954 durata 113’ b/n

regia di Billy Wilder

con Humphrey Bogart, Audrey Hepburn, William Holden, Martha Hyer

 

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