Poesia che mi guardi di Marina Spada

 Non c’insegnano, i poeti, che a vivere.

Un breve inno ad un’arte povera, la poesia, un tempo celebre e ricca di allori.

Marina Spada presentò il film nel 2009 in Anteprima a Venezia, affascinata da Antonia Pozzi, donna dalla poesia “libera, carnale, sincera”.

“Mi affascinava questa giovane donna costretta a nascondere, dietro l’apparenza borghese, una passionalità intensa che mal si conciliava con le strettoie e le convenzioni dell’epoca. Antonia Pozzi era sola perché, come tutti gli imperdonabili, era troppo moderna per essere compresa. Ha saputo guardare, senza ritrarsi, la bellezza e il dolore del mondo e testimoniare sé stessa. Morta suicida, come spesso è accaduto alle donne poeta, è nata e vissuta a Milano, come me.”

 Poco conosciuto il film, ancora meno il canto di questa poetessa “…che guardava e scriveva versi, guardava e scattava foto”, meritano entrambi una riscoperta e una condivisione delle ragioni di Maria, l’io narrante in cui s’incarna la regista, protesa verso

“… una riflessione sulla poesia e sulla sua necessità”.

Maria ama “…la poesia e i poeti perchè danno voce, coraggiosamente, a ciò che di solito è taciuto”, studia l’opera di Antonia Pozzi e un bel giorno incontra a Milano gli H5N1, gruppo di studenti universitari che scrivono poesie sui muri della città, convinti che proprio di questo il mondo abbia bisogno.

Il progetto di Maria è coinvolgerli nel riportare in vita quel canto solitario, condividerlo, far sì che la Poesia torni a “guardare”…

Poesia, che ti doni soltanto

a chi con occhi di pianto si cerca,

rifammi tu degna di te,

poesia che mi guardi

 Nasce questa biografia in immagini e parole, home movie d’epoca di vita famigliare della buona borghesia milanese e letture poetiche che illuminano un mondo fertile e silenzioso,

Era morta suicida a 26 anni nel 1938, Antonia, “addormentata nella neve davanti all’abbazia di Chiaravalle”.

Depressione, si disse, magica parola che tutto traduce,risolve e archivia in fretta. Scorrono brevi frammenti muti di vita sorridente giocando a tennis, poi al nuoto, spesso sono paesaggi solitari.

Sospingo una delle grevi porte

e mi cade alle spalle la furia

del meriggio ventoso…

dopo una visita al Duomo.

Nel tramonto le fabbriche incendiate

ululano

per il cupo avvio dei treni…

quella volta che fece un giro in periferia.

Figlia di un importante avvocato e della contessa Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, poltrona alla Scala, lezioni di piano e Liceo Manzoni, fu al liceo che s’innamorò di un uomo che la riamò, il prof Cervi.

È terribile essere una donna e avere 17 anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi ”.

I piani narrativi s’intrecciano, quello contemporaneo a volte è freddo, non del tutto risolto, quello passato suscita tenerezza come le vecchie foto ingiallite, i versi di Antonia sono belli, parlano di una giovane donna a disagio.

Disordine emotivo bastava a liquidarla, vivere in modo sincero e passionale non era buona cosa.

 Poesia, poesia che rimani

il mio profondo rimorso,

oh aiutami tu a ritrovare

il mio alto paese abbandonato.

Oh, tu bene mi pesi l’anima, poesia:

tu sai se io manco e mi perdo,

tu che allora ti neghi e taci…

Era il lontano 1938

 

I giorni nostri, una poetessa, ancora, tempi e look molto diversi ma…

… Le stordite femmine. Poi è arrivato il giorno del capodanno. Il compleanno degli anni. Il delirio. L’eccitazione. La festa al castello. Venivano a prendermi verso le otto.

La cena. L’orchestra. Dei balli. L’abito in seta. Fiori leggeri sopra i capelli.La strada. I fischietti. Il rossetto. Le amiche invincibili. Le scale. La musica.

Mi sono messa in un angolo. Nell’angolo del tavolo. Nell’angolo del salone. Nell’angolo della mente. Del cuore. Del corpo. Di tutto lo spazio presente.

Mi pareva terribile. Una rivoluzione della solitudine. Ridevano molto gli altri invitati. Si ubriacavano. Facevano i brindisi. Gonfiavano i muscoli. Tiravano palloncini dalle finestre. Si sbattevano a ritmo. Le giacche fosforescenti. Cravatte. Le palpebre. Le vesti di tulle. Le ciprie rosate. Le lingue. Le bocche. Le grida. I bicchieri. Il pesce lasciato nei piatti. Le righe nei cessi. Gli scherzi. Le braccia. Gli sbandamenti. Le schiene. I tatuaggi. Recitare divertimenti. Esagerare. Scommettere. Fare da matti. Salire sul tavolo. I ballerini. Le ragazze di lusso. Gli spostamenti. Il trenino. Suonare trombette. La musica esotica. Le esplosioni di mezzanotte.

Scappare in giardino. Guardare nel cielo. Gli scoppi. I petardi. I fuochi nel buio. Le voci. Le spinte. Gli auguri. La vodka. Spumante. Champagne. I dolcetti. Le mele cotogne. Le calze smagliate. Il trucco disfatto.

Le prede. Gli avvicinamenti. Il rimorchio. Gli atteggiamenti. I divanetti. La nausea. La sbronza. Le mani sul culo. Le tette. Gli approcci. Dei nomi. Numeri di telefono. Nasi. Pupille. Profumi. Battute. Le reginette. I rampolli. Le sigarette. Le ore. I collassi. La gente che dorme. La luce. Le sbornie. I mancamenti.

Il mattino. La pelle. I ritocchi. Le bandierine. I passaggi. Finire. Tornare. Le date. Lancette. Abbassare le tapparelle. La testa. Dormire. Svegliarsi.

Già sera. Sconvolta. Le occhiaie. La puzza di sigarette. Le scarpe in cucina. Tristezza. Aspettare. Guardare. Aprire. Togliere tutto da dentro. Lo yogurt. I fiocchi di latte. I carciofini sott’olio. Le grate. Entrare. Infilarsi col corpo. Tirare. Assaggiare quel fresco. Restare. Nel buio. Nient’altro.

da R.E.X.O. di Isabella Santacroce

Poesia che mi guardi

Italia, 2009, durata 57’

di Marina Spada

con Elena Ghiaurov, Carlo Bassetti, Enrica Chiurazzi, Marco Colombo Bolla

 

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