Dunkirk di Christopher Nolan

Terra, acqua, aria, fuoco: ci sono tutti gli elementi empedoclei dalla cui fusione derivano la vita e la morte.

Conosci innanzitutto la quadruplice radice
Di tutte le cose: Zeus è il fuoco luminoso,
Era madre della vita, e poi Idoneo,
Nesti infine, alle cui sorgenti i mortali bevono

 Empedocle, frammento B 6

 

Nolan prende l’uomo, masse di uomini e singoli individui, in primo piano o in panoramiche infinite e colloca tutto in un vortice primordiale dove l’acqua si fonde con l’aria, la terra brucia col fuoco, il fuoco invade l’acqua e l’aria alimenta il fuoco.

E’ il Caos primigenio, dove tutto finisce e ricomincia, e il dolore dell’uomo è incommensurabile, non si misura uno strazio così.

Innanzitutto la claustrofobia: 400.000 inglesi e francesi, stretti alle spalle dai tedeschi sulla spiaggia bellissima e tristissima di Dunquerque/Dunkirk, sono bloccati come topi in trappola.

Molti di loro non avranno scampo. E quel che più colpisce è il silenzio dell’uomo davanti al muggito degli elementi e al rimbombo delle armi.

Silenzio immobile, c’è forse un attimo in cui l’essere umano capisce, e allora tace.

Nolan è riuscito a filmarlo quell’attimo.

Davanti c’è il mare, oltre il mare le bianche scogliere di Dover, navi grandi e piccole in acqua, aerei nel cielo.

Gli uomini aspettano, l’ultimo ragazzo è arrivato correndo dall’ultimo villaggio evacuato, è l’ultimo dei sopravvissuti, il nostro filo di Arianna fino all’ultima scena.

La ripresa aerea filma gli uomini fermi sull’arenile come file di formiche, i pontili si piegano sotto il peso, aspettano, sperano di imbarcarsi, andarsene a casa da quell’inferno in cui sono finiti senza peccato.

Dall’alto aerei nemici sganciano bombe, uomini ne cadono a mazzi, in mare affondano, silurate o bombardate, perfino navi della Croce Rossa che ne avevano appena caricati un bel mucchio e le brave crocerossine avevano distribuito sollecite tazze di thè e pane e marmellata.

Manca il respiro, per tutto il film.

Nolan supera sé stesso, stavolta, non si può più dire “Non amo i film di guerra”, questo non è un film di guerra, è starci dentro, alla guerra, non sentirsela raccontare comodi in poltrona, si sta male, veramente male.

Un dispiegamento di forze così è raro, ma dominarle, imprimere alle scene l’ordine, il senso, dominare gli eventi, questo è da demiurgo che organizza il Caos.

Forse c’è qualche difettuccio, poca cosa che è da piccoli travet andare a spulciare, il respiro è immenso, il martellamento continuo, si vorrebbe starne fuori ma poi si resta incantati, così alta è la maestria e così profondo lo sguardo sul mondo.

Le scogliere bianche arriveranno, alla fine, e sul trenino del ritorno a casa ci si potrà rincantucciare sul sedile e chiudere gli occhi, la testa appoggiata sulla coperta tesa da mani pietose.

Avere vent’anni ed essere ancora vivi, reduci dall’inferno.

Si esce dal cinema chiedendosi come è stato possibile continuare a vivere, dopo.

Dunkirk

USA, Gran Bretagna, Francia 2017 durata 107′

regia di Christopher Nolan

con Fionn Whitehead, Aneurin Barnard, Harry Styles, Kenneth Branagh, James D’Arcy

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