Così ridevano di Gianni Amelio

A ragione definito il più “scorsesiano” dei film di Amelio, Così ridevano segue il Ladro di bambini del ’92 a cui lo lega il tema della paternità surrogata, che qui è uno dei motivi fondanti, in quello è il leit motiv incarnato dal carabiniere Antonio.

Al centro del mio film c’è un sogno” dice Amelio, ed è il rapporto complesso, tormentato e viscerale di due fratelli siciliani.

Pietro (Francesco Giuffrida) , il minore, studia da maestro a Torino e Giovanni (Enrico Lo Verso), analfabeta in cerca di riscatto sociale, autoinvestito del ruolo di fratello/padre, lo raggiunge carico di valigie di cartone e pacchi, con uno di quei treni del sud che in quegli anni scaricavano tonnellate di forza lavoro a basso costo per gli industriali del nord.

La povera famigliola di meridionali che scende dal treno e sprofonda nella nebbia, si perde fra i severi e sontuosi palazzi sabaudi, mangia il pane avvolto nella carta oleata seduta sul bordo di una fontana, trasale alla vista della Mole Antonelliana e alla fine tornerà in stazione, incapace di trovare l’indirizzo giusto, è una delle sequenze più esemplari di una storia che si sgrana in una Torino tetra, fumosa di nebbia e rabbia repressa, dove scorrono sei giornate su un arco di sette anni, dal 1958 al 1964 .

Arrivi, Inganni, Soldi, Lettere, Sangue, Famiglie sono i titoli delle sezioni, divise da un impianto teatrale di atti dentro i quali si compone, volta per volta, l’evento che segna gli snodi.

La storia scorre ellittica, a tratti addirittura enigmatica, lascia allo spettatore il compito di raccogliere indizi, ma è scelta coraggiosa di Amelio quella di ricomporre faticosamente in unità le schegge di un mondo dove quel che dovrebbe essere dato per certo, per scontato, per basilare alla convivenza umana, in realtà non lo è.

E si tratta dell’amore per un fratello, della possibilità di vivere dignitosamente per tutti, del non vedere cartelli “non si affitta a meridionali”, del non essere trascinati in gattabuia se si parla un dialetto diverso, del non aver bisogno di sottotitoli in italiano per le sale cinematografiche del nord.

A malincuore, come Olmi in “L’albero degli zoccoli” – ha detto il regista – forse dovrò metterli in alcune copie del film. È molto più espressiva una parola difficile di una stupida: io preferisco la verità della parola autentica alla finzione di un doppiaggio addolcito e generico”.

Vincitore della cinquantacinquesima Mostra del Cinema di Venezia, Così ridevano racconta l’emigrazione italiana nella Torino di fine Anni Cinquanta .

Giovanni  pur di mantenere agli studi il fratello è pronto a tutto, ma il rapporto tra i due è difficile, l’amore viscerale del primo non colma la diversità che si fa sempre più forte man mano che Pietro acquisisce uno status che lo porta a vergognarsi del fratello, operaio e ignorante.

Giovanni accetta qualsiasi lavoro, l’amore per Pietro è così totale e primordiale da impedirgli di arrendersi, ma la sua rabbia di uomo mite segnerà il destino di entrambi. Pietro si diploma da privatista ma i due fratelli sono sempre più lontani, privi di identità, orfani non solo di famiglia, orfani soprattutto di una terra. Giovanni si indurisce, fa fortuna sulla pelle degli altri emigranti, e alla fine quel rapporto tormentato troverà una strada, dolorosa, ma pur sempre capace di tenere insieme un legame. Purtroppo quel legame si chiama omertà.

Così ridevano è il ritratto struggente dell’Italia dello sviluppo senza progresso che Pasolini raccontava, in quegli anni, con Accattone e Mamma Roma.

Le lotte operaie e il boom economico fanno da sfondo ad una vicenda privata amara, senza luce, che la fotografia di Luca Bigazzi, sgranata e spesso virata al nero, ritrae senza tregua nè consolazione per l’occhio. Bisognava far vedere cos’era vivere, allora, in sotterranei bui e spalare carbone per poche lire che ti davano solo se le chiedeva l’amico con l’accento piemontese.

Il finale, amarissimo, ha una fotografia diversa, c’è molta luce, ma sembra artificiale.

Così ridevano

Italia, 1998, durata 124’

Regia: Gianni Amelio

con Enrico Lo Verso, Francesco Giuffrida, Fabrizio Gifuni, Rosaria Danzé

Sceneggiatura: Gianni Amelio

Fotografia: Luca Bigazzi

 

 

 

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