La vita di Adele di Abdellatif Kechiche

Quindici anni e l’amore, questa è Adèle.

Adèle sembra assente durante le lezioni di letteratura a scuola, ma in contesti del tutto alieni da un edificio scolastico dice che Marivaux l’affascina. La Vie de Marianne è la sua lettura preferita, Thomas sembrerebbe essere l’oggetto giusto d’amore finchè non incontra Emma e il suo caschetto blu.

E’ un flash improvviso, per strada, un passaggio di corrente fulmineo.

Emma dipinge nuda Adèle e la ama a lungo, i due corpi aderiscono perfettamente anche se le vite sono così divergenti.

Adèle dichiara di ignorare Egon Schiele e confessa che le ostriche (soprattutto se vive) la fanno quasi vomitare, Emma dice di preferire Klimt, ma le sue coltissime e alternative amiche dell’Académie des beaux arts dicono che è troppo “fiorito”, dunque bisogna copiare Schiele.

E nelle tele stile Schiele di Emma continuerà ad esserci Adèle, anche dopo che l’ha brutalmente buttata piangente fuori di casa con un pretesto di gelosia buono per coprire ben altre motivazioni, ben rimosse nel profondo e meno confessabili.

Quali?

Adèle è la “maestrina”, la ragazzotta ben in carne che cucina ottimi spaghetti al sugo, la figlia di genitori che non danno per scontato che sia parte di una coppia gay, per loro resta un trauma, purtroppo non sono genitori abbastanza aperti. Adèle è una che ha talento nello scrivere, ma si limita ad un diario personale. Vuol fare la maestra perché le piacciono i bambini, anzi, addirittura li ama e ne è riamata, li porta al mare, li fa recitare, insegna a leggere e scrivere.

Di questi tempi l’obiettivo di Adèle nella vita è troppo scarso, dovrebbe darsi da fare, emergere, sfruttare il suo talento scrittorio, diventare visibile, dunque degna di quel salto di scala sociale che le permetterebbe di compensare la provenienza piccolo borghese.

Invece la Lisa col pancione, prima amante di Emma, appartiene al milieu giusto e il doppiaggio rende alla perfezione il suo tono svagato da fanciulla in fiore con le carte in regola.Con lei la coppia gay diventa “famiglia”, un figlio ci sta, evviva le nuove norme legislative.Poco importa che il sesso con Lisa sia un po’ noiosetto, certo non al livello delle ottime performances con Adèle.

Chi si lamenta della durata estenuante delle tre scene di sesso (che, però, diventano di volta in volta più brevi) dovrebbe riflettere sul fatto che sono il centro focale di tutto il film e che se non fossero così esaustive, se fossero un riassuntino, non avrebbe senso tutta la seconda parte del film. 

Che, invece, un senso ce l’ha, e vediamo quale.

E’ il richiamo a Klimt nella parte centrale, Le tre età della vita nel Fregio di Beethoven a Vienna ( le citazioni in Kechiche sono abilmente camuffate nelle pieghe della vita quotidiana).

Infanzia, giovinezza, maternità, vecchiaia.

Prima che la vecchiaia giunga con la sua orrenda maschera di morte, il corpo deve celebrare i suoi fasti, dunque procreare. Se si è gay si trova il modo, e se la legge lo consente, meglio.

Durante uno dei dialoghi del film (che definire banali è snobistico esercizio, come quel fottutissimo modo di parlare ai vernissage che contano, mentre Adèle si guarda smarrita intorno e poi se ne va, sola, per la sua strada), bene, durante uno di quei dialoghi, un ragazzo chiede ad Adèle qualcosa del genere: “Ma tu non desideri un figlio?”.

E’ la domanda chiave, imprescindibile.

Purtroppo Adèle non ha risposte, non può averne, è un problema che non si è posto, perché non è un problema che si pone quello di vivere la propria sessualità, si vive e basta, e se in questo vivere il procreare è escluso non lo si fa rientrare dalla finestra. Adèle è fuori dagli schemi, fuori da quelle cornici di falso anticonformismo dentro i quali Emma compone i suoi altarini.

Ostriche, studi d’arte, un figlio per procura, il successo con quadri che non spostano di una virgola in avanti il cammino della storia dell’arte, ma fanno tanto “serata che conta in un quartiere alla moda dal gallerista di successo”.

Questa è la ragazza dai capelli blu, anche quelli così alternativi (in seguito, col cambiare dei colori e dei tagli, e soprattutto dello status sociale, si avvertirà forte la mano di un buon parrucchiere).

Adèle, al contrario, è vita così come viene. Lei morde la vita, ci si tuffa senza macerarsi in psicologismi estenuanti, vederla mangiare, piangere, far l’amore, ogni volta è un piacere. Lei non è difficile, in nulla di quello che fa c’è artificio. Lineare e profondamente umana, naviga nel mare di un’ umanità spesso contorta, delirante, ipocrita, disumana.

Nei bambini trova la sua felicità, e lo dice, a suo modo, ad un certo punto del film, mentre Emma la sta spingendo ad essere felice scrivendo romanzi e racconti. Adèle sa essere felice, anche se resta sola. Ha vissuto con pienezza la sua passione per Emma, le appartiene di diritto, poco importa che l’altra sia andata via, le storie non possono essere eterne. Quello che le resta è conquista perenne.

Adèle gira le spalle e va lungo la sua strada, quella strada che si apre sull’ultima scena del film. Nulla che faccia prevedere il futuro.La vita è ogni volta improvvisazione, e questo film, che sembra nascere in ogni scena da un atto creativo, ce lo ricorda.

Ma improvvisazione non vuol dire casualità.

La vita di Adele

titolo originale: La vie d’Adèle (Chapitre 1 & 2) 

Francia, 2013 durata 179′

di Abdellatif Kechiche

con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jérémie Laheurte, Alma Jodorowsky, Aurélien Recoing, Catherine Salle, Fanny Maurin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek, Aurelie Lemanceau, Karim Saidi, Baya Rehaz

 

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