The Bigamist di Ida Lupino

E’ il cinema che imita la vita o la vita il cinema? Parafrasare Marziale è d’obbligo di fronte a questo film e al suo caso singolare.

Due donne nel cinema (Eve/Joan Fontaine, Phillis /Ida Lupino) e un uomo (Harry/Edmond O’Brien) davanti alla mdp per recitare un copione insolito, ma neanche troppo, un semplice caso di bigamia.

Un uomo nella vita vera (Collier Young sceneggiatore / produttore del film) che divorzia nel ’51 da Ida Lupino per sposare l’anno dopo Joan Fontaine.

Tutto insolito ma tutto molto vero, come nel film.

The Bigamist è dunque un film insolito per quello che racconta, in tempi di tabù pronti a crollare di lì a poco (anni ’50, gioventù bruciata, beat generation, Kerouac, Bourroughs, Ginsberg e Ferlinghetti che premono) ma al momento siamo ancora nell’America puritana e hollywoodiana.

 

Film insolito per quello che racconta.

Cosa racconta?

Harry, rappresentante di elettrodomestici, fa la spola tra Los Angeles, dove ha i clienti, e S.Francisco, dove vive con la bionda moglie Eve in una bella casa borghese con veranda che dà su una strada in salita. Le panoramiche inevitabilmente sghembe sono la logica conseguenza di piani geometricamente inconciliabili fra loro nello spazio. Altrettanto logica, eppure dissonante, sembra essere l’evasione sentimentale di Harry con Phillis, brunetta e camerierina di ristorante cinese, “un topolino!”, dirà lui di lei, ed è vero, è così, e Ida Lupino (interprete della parte e regista) era una donna intelligente e autoironica. Il ménage con Eve (otto anni di matrimonio, durata limite) è sbiadito, lei non può aver figli, si è buttata nel lavoro, è brava e l’azienda di famiglia è fiorente, ma il povero Harry la domenica pomeriggio a Los Angeles si sente solo.Di colpo, da sposato senza figli, il nostro Harry (con i suoi dieci chili di troppo ma il viso tanto buono) si ritrova una moglie che vuol adottare un figlio e un’amante che sta per fargliene uno vero.

Che fare in questi casi nell’ America degli anni ’50, nonostante il divorzio sia già legge dello Stato? Si sposa anche Phillis.

Tutto qua e spiegato il titolo (quello originale, intendiamoci, perché sulla sua misteriosa traduzione italiana la scuola di pensiero più convincente è che sia frutto di una strana sparizione della lettera a, the big mist, la grande nebbia, appunto, nebbia di cui nel film non c’è ombra, neanche metaforicamente brancolando).

Ma torniamo ai fatti: il contrattempo della richiesta di adozione di un pupo da parte di Eve, la prima moglie, purtroppo farà saltare il coperchio e il solerte signor Jordan (Edmund Gwenn), capo dell’agenzia che ha il dovere giuridico, ma soprattutto morale, di fare indagini sulla famiglia che adotterà, scoprirà il singolare ménage a trois con bebé autentico.

In tribunale l’avvocato della difesa dice le cose giuste, il giudice è di quelli che più umani non si può, paterno e giusto insieme, la pena non la dicono ma non sarà eccessiva, le due mogli non si graffiano a sangue ma si guardano un attimo da punti opposti dell’aula quasi abbozzando un sorriso, poi Phillis volta le spalle e va via (fuori quasi la seppelliscono i fotografi), il pargolo l’aspetta. Eve sembrerebbe intenzionata a restare e si appoggia allo stipite indecisa, mentre noi tifiamo tutti perché resti lì ad aspettare il suo Harry.

Questo è quello che il film racconta.

Come lo racconta?

Bene, molto bene,  Ida Lupino era una donna in gamba, ci sapeva fare con quella Hollywood che insisteva sulla tradizione mentre cominciavano a circolare personaggi come Aldrich (debutta nel ’52 in televisione e nel ’53 al cinema) e Fuller (I Shot Jesse James è del 49) e parole come autonomia del film maker, indipendenza, no star sistem, sono il nuovo credo, qualche eco del neorealismo italiano arriva anche lì in film che restano comunque prodotti del tutto americani e, senza proporre rivoluzioni, si sta innescando un lento processo evolutivo senza ritorno.

Innanzitutto la dissonanza: lo schema del noir, la femme fatale, il segreto, il sospetto, la rivelazione, c’è tutto, ma gli accordi sono dissonanti, Harry e Phillis non sono travolti da un tragico destino e da passione folle, tutto quello che capita riesce a sembrare credibile, non ci sono forzature.

Lupino dosa nella misura media toni e ritmi, la prima parte, quasi espressionistica nelle luci e nei suoni, cede alla morbidezza della seconda, quando il lungo flash back di Harry servirà a far luce su vite di piccoli uomini alle prese con piccoli drammi che possono prendere strade inaspettate, anche dolorose e assurde, e il passaggio fra le due parti è il vagito del neonato che fa scoprire tutto.

Il caso, nient’altro, ma dietro ci sono le persone e il loro soffrire o gioire ed è quello che si continua a pensare, nulla che risulti pleonastico, ridondante, fastidioso.

Amo il cinema, anche se non m’importa niente di sapere dove abita Clark Gable”, dice Phillis/Lupino mentre il bus turistico gira per Beverly Hills ed Harry le siede vicino per quell’approccio goffo che vedremo se recuperiamo la pellicola prima che la restaurino chissà quando.

Lupino non calca la mano, suggerisce non approfondisce, bastano poche parole, nella vita non se ne dicono tante di battute famose, non siamo sempre protagonisti di melodrammi, eppure può capitare che un uomo sposi due donne contemporaneamente e diventi bigamo!

La grande nebbia? Macchè! The Bigamist!

La grande nebbia

titolo originale: The Bigamist 

USA, 1953, durata 80’

di Ida Lupino

con Edmond O’Brien, Joan Fontaine, Ida Lupino

 

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