I segreti di Wind River di Taylor Sheridan

Wind River ha un grande merito: pieno com’è dei difetti che vedremo, riesce comunque in un’impresa in cui molti si sono cimentati in passato, anche con grande successo, ma che oggi massacri e devastazioni di maggiore impatto hanno derubricato come problem solved.

Si tratta dei nativi d’America, più di un milione e mezzo in base all’ultimo censimento che risale al lontano 1980.

Nel 1610, al tempo dello sbarco dei coloni inglesi sulle coste della Virginia, erano tre milioni: nelle foreste del Nord Est c’erano i Moicani e gli Irochesi, nelle praterie del Nord i Sioux e i Cheyenne,  nelle pianure del Sud gli Apache e i Navajo, per non parlare di gruppi minori meno noti.

125 anni di massacri come quello di Wounded Knee, le rivolte degli anni ’70 di cui sventolano qua e là malinconiche bandiere superstiti, il degrado, lo sfruttamento e la miseria della vita in riserva e la sofferenza di vite consumate nell’alcool e nelle droghe, donne spesso abusate, sparite, di cui non esistono elenchi in nessun ufficio di sceriffo, portano a oggi e ad un film basato su una storia vera ma non eccezionale, I segreti di Wind River di Taylor Sheridan.

E’ il capitolo finale di una trilogia (Sicario, Hell or High Water) ed esplora quello che è il più grande fallimento degli Stati Uniti: la costituzione delle riserve per nativo-americani. A livello più intimo, racconta di come un uomo continua ad andare avanti dopo una tragedia senza arrivare mai a voltare pagina. A livello globale, studia invece le conseguenze che derivano dal forzare le persone a vivere in una terra che non è stata progettata per accoglierli. I segreti di# Wind River parla di un territorio selvaggio e brutale, in cui il paesaggio è di per sé un nemico. Di una terra in cui la dipendenza e gli omicidi provocano più morti di un cancro, in cui lo stupro è considerato un rito di passaggio attraverso il quale le giovani ragazze diventano donne, in cui la legge dell’uomo soccombe a quella della natura. Nessun altro posto dell’America del nord è rimasto immutato nell’ultimo secolo come le riserve indiane” ha dichiarato il regista a Cannes 2017,

Forse non è “il più grande fallimento degli Stati Uniti”, ce ne sono stati anche di portata maggiore e l’enfasi del regista attiene alla circostanza dell’intervista, ma certo l’epopea è fra le più note della storia americana mentre  l’”indiano” è il meno conosciuto fra i membri di minoranze in condizione di forte marginalità.

La storia racconta di uno stupro seguito da morte di una ragazza trovata fra le nevi d’alta montagna da un cacciatore all’inseguimento di un puma che ha intenzione di far strage di vitelli (ne ha già ucciso uno). Una storia americana forte, che dell’America ha tutti i connotati socio-politico-antropologici, ma anche le tare profonde di un certo cinema che indulge troppo facilmente a cliché abusati.

La natura selvaggia, il silenzio di grandi spazi innevati percorsi da motoslitte che sfrecciano assordanti sullo schermo, boschi a perdita d’occhio e, all’improvviso, dal nulla roulottes o containers che spuntano e mettono angoscia ancora prima di constatare che sono abitati: il repertorio è collaudato, la fotografia ha buon gioco nel ritrarre scenari mozzafiato, e l’arrivo  dell’eroe duro e puro, quello che riesce sempre a scampare senza un graffio a micidiali sparatorie a 360° , non teme gli animali predatori, è perfino un campione di saggezza e altruismo, chiude il cerchio.

Senza macchia né paura Cory  è anche un uomo provato dal dolore, ha perso una figlia tre anni prima come la ragazza trovata cadavere, e il dolore l’ha  reso molto umano e responsabile,  di una saggezza a cui Jeremy Renner fornisce una faccia che più in linea col personaggio non si potrebbe: maschia ma rassicurante, sguardo penetrante e risolutivo, sussurra “flgliolo” con voce paterna ma se deve sterminare una famigliola di lupi non batte ciglio.

A Martin, l’amico dai lunghi capelli padre della ragazza morta, dice parole che dovrebbero passare per indimenticabili sull’elaborazione del lutto:

Andai ad un seminario sul lutto a Casper. Lo sapevi? Non so perché. Volevo solo che andasse via il dolore. Volevo risposte a domande a cui non c’era risposta. Dopo il seminario, il consulente venne da me, si sedette vicino a me. Disse una cosa che rimane con me. Non so se sia cosa disse… o come lo disse: “Non sarai mai più’ lo stesso. Non sarai mai completo. Mai più. Hai perso tua figlia e niente la rimpiazzerà mai. Quando lo accetti, lasci che tu soffra. Permetterai a te stesso di trovarla nella tua mente. Ricorderai tutto l’amore che portava. Tutte le gioie che conosceva. Il punto, Martin, è che non puoi evitare il dolore. Se lo fai, deruberai te stesso. Ti priverai di ogni ricordo di lei. Dal primo all’ultimo. Dai suoi primi passi al suo ultimo sorriso. Li annienterai tutti. Accetta il dolore, Martin. Mi hai sentito? Accettalo. È l’unico modo per tenerla con te.”

A Cory è rimasto un figlio appena adolescente che istruisce con bontà e severità paterna alle durezze della vita, ha un’ ex moglie, bellissima come tutte le protagoniste del film, con cui ha un rapporto piano e amichevole, ma forse un nuovo amore è in agguato.

Tutto fa pensare che, dopo la fine del film, la fiamma sarà Jane (… io Tarzan?), Elisabeth Olson dai grandi occhi di cerbiatta, l’agente FBI di Las Vegas che arriva vestita sportiva in piena tormenta di neve e che la vecchia nonna Sioux rifornirà (con una certa degnazione, a dire il vero) di pesante tuta termica altrimenti morirà di freddo prima ancora di vedere il cadavere.

Jane è la donna bianca che Cory, nativo impiegato del Wyoming Fish and Wildlife e guardiano che caccia intere famiglie di lupi e puma d’alta montagna con un’attrezzatura degna di Superman, guarda con ammirazione e rispetto. Anche lei è una Super woman che, benchè ferita in più parti del corpo, si salverà e consolerà noi,  pubblico devastato da tanta violenza, con un finalino rassicurante.

Prerogativa di un certo cinema a stelle e strisce è di essere troppo spesso prevedibile e autocelebrativo, manicheo nel dividere il mondo in buoni e cattivi e con  finali troppo edificanti per essere veri. Cambiano solo i tempi e il politically correct subisce modifiche sostanziali, una volta gli indiani scalpavano i bianchi, oggi  i bianchi stuprano le squaw. Ma i problemi restano, semmai peggiorano.

Ciò che resta inalterato, nella vita reale, quella lontana dal cinema, è “il concetto di diverso”.

Vedi quel bosco? Ci sono decine di alberi che vivono fianco a fianco e nessuno di loro obbliga l’altro a divenire quercia o abete. Nessun albero con le proprie radici cerca di farsi largo con gli alberi vicini seppur diversi. Nella natura non c’è il concetto di diverso”.

Moses Brings Plenty – medicine man della tribù di Cherry Creek di Cheyenne River (South Dakota – 2015).

I segreti di Wind River

titolo originale:The Wind

USA 2017 durata 111′

regia di Taylor Sheridan

con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen, Jon Bernthal, Graham Greene, Julia Jones

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