Midnight in Paris di Woody Allen

Midnight in Paris è il sogno che tutti abbiamo, la fuga verso un’ età dell’oro ogni volta diversa, ma sempre mitica e sempre solo da sognare, badando bene a non perderci nel sogno, finirebbe di essere l’età dell’oro e diventerebbe un noioso presente.

“La peinture, on n’en parle pas, on ne l’analyse pas, on la sent”, diceva Bernard Buffet, e sono suoi i colori e i fili sottili di pioggia di una Parigi in cui Woody Allen ci fa girare accompagnati dal clarinetto di Sidney Bechet, e il sogno comincia a srotolarsi mentre le due voci, Gil e Inez che si preparano ad uscire di camera, arrivano prima delle immagini.

Cosa sarebbe il mondo se non ci fosse Parigi?fa Gil, l’americano di Pasadena, bravo a scrivere sceneggiature ma con un romanzo nel cassetto che non riesce a portare avanti (scrivere sceneggiature è più facile – dice- la letteratura è un’altra cosa).

Gil è a corto di ispirazione, quarantenne scontento di sè quanto basta per decidere che sposerà la bionda, vitaminizzata Inez, una donnetta carina e scialba che ha già deciso tutto lei: lavoro ben remunerato per il marito, sempre da sceneggiatore, (pare che le case di produzione se lo contendano), villa a Malibu con qualche bel mobile costoso comprato a Parigi durante il viaggio prematrimoniale con al seguito mammà e papà repubblicano, giusti amici upper class con incarico alla Sorbona, mica pseudo-intellettuali, come li etichetta Gil che li segue rassegnato in giro per musei, dove il rischio di incontrare Carla Bruni che fa da guida turistica è molto alto (e infatti succede).

Insomma nulla manca al nostro povero americano a Parigi del 2010 perché poi, tornato in America, non vada a distendersi di corsa sul lettino dell’analista per curarsi gli attacchi di panico. Addirittura non riesce neppure a camminare sotto la pioggia, il povero Gil, e dire che gli piacerebbe tanto, è a Parigi!

No, taxi e ombrelli dappertutto.

Ma la Ville Lumière è sempre splendida con i suoi ospiti e lo aspetta a mezzanotte.

Come in ogni favola che si rispetti lo solleva da quell’angolino in cui si è perduto cercando l’hotel nel dedalo di viuzze della Rive Gauche (Inez è in discoteca con gli amici, ciao ciao non perderti, si è raccomandata), e su una bella Peugeot d’epoca lo proietta nella sua età dell’oro, la Parigi degli anni folli, quelli fra le due guerre, quando era l’unica città in cui valesse la pena di vivere, e artisti, scrittori, musicisti e danzatori convergevano da tutto il mondo per dimenticare quel tragico taglio che la Grande Guerra aveva dato alla Belle Epoque, qualche tempo prima, e  non sentire il rullìo a distanza dei tamburi della seconda.

Parigi era la Festa mobile di Hemingway, l’aveva ricordato quel mattino Gil al colmo della felicità alle due donne impegnate a far shopping, ma la suocera, chiaramente poco entusiasta del futuro genero, aveva commentato acida: “Col traffico che c’è, qua non si muove niente!”.

Gil li incontrerà tutti, la notte parigina diventerà il suo paese delle meraviglie, Zelda e Scott Fitzgerald lo porteranno in giro con loro, mentre Cole Porter suonerà al piano l’ultima delle sue e uno stupendo, giovanissimo Hemingway gli prometterà di far leggere il suo romanzo a Gertrude Stein per un parere.

Nulla manca alla fantasia che diventa realtà per Gil, re per una notte, la Parigi che lui sogna è ai suoi piedi ed è proprio quella che faceva dire a De Chirico: “Come Atene ai tempi di Pericle, oggi Parigi è la città dell’arte e dell’intelletto per eccellenza. È qui che ogni uomo degno del nome di artista deve esigere il riconoscimento dei propri meriti.”(Giorgio de Chirico, Vale Lutetia, in Rivista di Firenze, n. 8, Febbraio 1925)

Parigi era un luogo magico dove bisognava vivere, e si potevano incontrare gli dei, lungo i boulevards di Montparnasse e St. Germain, dentro i bistrot fumosi a bere pastis, negli ateliers di Monmartre a inventare tutta l’arte possibile.

Eppure Adriana, l’ultima Musa di Picasso, vorrebbe tornare indietro alla Belle Epoque, lei, bellissima e infelice modella di un genio impossibile, ama sentirsi circondata dalla sensualità di Gauguin, che la corteggia immediatamente, dai modi signorili di Toulouse Lautrec, dalla dolcezza di Monet.

La sua età dell’oro è quella, eppure anche quei grandi vorrebbero tornare indietro, sedersi accanto a Tiziano mentre dipinge tele per i Dogi della Serenissima, bere qualcosa con Michelangelo sceso giù un attimo dai ponteggi della Sistina, e chissà, di età in età, dove si finirebbe per sfuggire alla nostra triste età presente?

Woody Allen ancora una volta ci diverte, ci guida in un sogno molto reale, scorre con affabile leggerezza sulle cose, è ironico e autoironico, riesce come sempre a non prendersi troppo sul serio potendo dire così cose serissime, ci sciorina davanti una Parigi da cartolina, modello “ricchi turisti in vacanza con macchina digitale al seguito da far scattare nei punti giusti”, e a giro concluso ci trasferisce nella favola.

Quando torniamo al presente abbiamo capito che il segreto è tutto lì, muoversi tra favola e realtà, far diventare sogno questa e realtà quella, e allora un vecchio vinile di Cole Porter al mercato delle pulci e una simpatica parigina, con cui magari danzare sotto la pioggia, può anche capitare d’incontrarla, di sera, sul lungo Senna.

Sui titoli di coda non poteva che andare il can-can, e il grande Lautrec torna fra noi, a braccetto col simpatico Offenbach e le sue divinità scatenate nel ballo di Orphée aux Enfers.

Midnight in Paris

Spagna, USA, 2011 durata 100’

regia di Woody Allen

con Rachel McAdams, Marion Cotillard, Michael Sheen, Owen Wilson, Kathy Bates, Alison Pill, Adrien Brody, Tom Hiddleston, Léa Seydoux, Kurt Fuller, Mimi Kennedy, Carla Bruni, Nina Arianda, Corey Stol

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