The Railrodder / omaggio a BUSTER KEATON di Gerald Potterton

Nel 1965 Buster Keaton sembrava avere ancora le energie di un giovane attore alle sue prime prove.

71 anni e un tumore ai polmoni che l’anno dopo se lo portò via non bastarono a spegnere o almeno attenuare in questo genio del comico quella carica empatica con cui aveva sempre elettrizzato il suo pubblico. C’era in lui una sorta di immortale giovinezza che lo immunizzava dal trascorrere del tempo e dalle mille e mille frustrazioni che la vita regala negli anni. E’ la magia dell’arte che trascorre eterna ed eternamente giovane mentre i nostri corpi invecchiano e muoiono.

Ed ecco che a cinquanta anni di distanza guardiamo con la stessa felice meraviglia la performance di un uomo avanti negli anni che continua ad inventare incredibili scenari fantastici, gag surreali, situazioni non-sense e capolavori di gestualità slapstick restando fermo con coerenza ferrea alla sua cifra di base: il film muto.

Neppure una parola. C’è il colore, naturalmente, gli effetti sonori sono sovrapposti, e la sua icona immutabile, muta e seria, lancia l’ultima sfida all’arte cinematografica: usare un set ridotto ai limiti estremi e farne una rampa di lancio virtuale per una corsa di centinaia di chilometri lungo le railways del Canada vivendo le situazioni più strampalate.

Gerald Potterton fu l’allora giovane regista che diresse questo corto di 24 minuti che fa di Keaton un railrodder che attraversa il Canada sul tracciato ferroviario dall’Atlantico al Pacifico.

Il Canada c’è tutto, con le sue praterie, i suoi boschi, i monti innevati e i laghi grandi e silenziosi. e l’omino seduto sul piccolo trabiccolo giallo che all’improvviso si sfrena e parte di gran corsa (è un carro motorizzato di quelli usati dai ferrovieri per lavoro) vive per tutto il tempo del viaggio come se esser lì sia la cosa più naturale del mondo.

Aveva letto sul giornale, in quel di Londra, “Visita il Canada”.Gli era bastato tuffarsi nel Tamigi dall’oggi tristemente noto Ponte di Westminster e riemergere sulle rive dell’Oceano canadese.

La piccola carrozza gialla era lì a due passi, si è arrampicato sul sedile (prima ha provato col dito se era abbastanza morbido) e il veicolo si è sfrenato. Ahimè, il ferroviere è balzato da dietro un cespuglio ma ormai il razzo era partito e il nostro omino non ha perso neanche il cappello nel vento.

Su quella piattaforma di un metro per un metro vivere è diventato normale: da una scatola porta oggetti è uscito di tutto, perfino un servizio di thè all’ora giusta o un cappottone di pelle d’orso quando il freddo delle montagne si è fatto sentire.

Prestigiatore di immagini, Keaton è riuscito a farci credere la scatola più grande dentro che fuori e i due livelli, reale e surreale, si sono messi a scorrere paralleli: da una parte un uomo anziano imperturbabile, che sembra un direttore d’orchestra con il suo spartito, dall’altra una immensa orchestra a cui la sua bacchetta assegna le note.

Lo scenario che scorre è fantasmagorico, rocce, prati, montagne e città, Montreal, Ottawa e Vancouver, regioni intere, Nova Scotia, Quebec, Ontario.Il viaggio torna ad essere con Keaton il mito eterno, il sogno, une espace où l’esprit voyage.Dalla città congestionata da traffico e rumore agli sconfinati regni del silenzio immersi nella natura, il piccolo railrodder corre con brevi soste a riprender fiato, sembra che il viaggio non debba mai finire e passare senza limiti di meraviglia in meraviglia.

Ma questo succede nelle favole dei bambini, in quelle per adulti il viaggio finisce, l’Oceano Pacifico arriva e così bisogna tornare indietro ma… il macinino non c’è più, un cinese uscito dall’acqua l’ha preso e adesso tocca a lui.

E il nostro omino dovrà tornarsene a piedi.

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USA 1965 durata 24’

regia di Gerald Potterton

con Buster Keaton

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