Virgin Mountain di Dagur Kàri

“… Vi sono attimi nella vita, attimi tremendi, nei quali una creatura emerge dalla propria nicchia, guarda fuori ed è uno spavento” ( Katherine Mansfield)

Quella di Gunnar Jónsson è una faccia che non si dimentica, l’avevamo già visto, non protagonista, in Rams – Storia di due fratelli e otto pecore, vincitore della sezione Un Certain Régard a Cannes 2015, ora è Fùsi, protagonista assoluto del quarto film di Dagur Kári, un regista che dal 2003 con Nói Albinói al 2009 con The good heart, continua a parlarci di un cinema, quello islandese, che, come si suol dire, “dà acqua alle corde”, coniando gioielli d’autore che si scrollano di dosso tanta fuliggine del trash contemporaneo imperante a tutte le latitudini.

Film di chiusura del Festival di Sarajevo 2015, vincitore del Tribeca Film Festival 2015 e prodotto da Baltasar Kormakur, regista di Everest, Virgin Mountain è il titolo internazionale che fa torto al Fùsi originale, suggerendo allo spettatore “sprovveduto” chiavi di lettura decisamente grossolane.

Fùsi, infatti, è più leggero di una piuma e se riempie lo schermo non è per i centimetri del suo girovita ma per quel suo muoversi pacato e sereno fra le brutture del mondo dei normodotati.

Regista, sceneggiatore e curatore della colonna sonora, sempre, nei suoi film, affidata alla sua band, gli Slowblow, Dagur Kári conosce alla perfezione l’arte dell’”incantamento”, continuando a sfornare favole che raccontano storie vere e storie vere che sembrano favole, scegliendo attori capaci di incarnare il personaggio con naturalezza non comune, e tutto restando nel registro della normalità più consueta.

Quelli che scorrono sullo schermo, infatti, sono scenari di quotidiano grigiore, nulla di particolarmente sconvolgente, se qualcosa come la latitudine geografica e la generosità di Fùsi ricordano atmosfere alla Kaurismaki, ben presto Kàri impone la sua inconfondibile cifra stilistica, un impasto di realtà e surrealismo, leggerezza di tocco anche quando la materia diventa incandescente, dosaggio millimetrico delle emozioni che è un guardare dentro la scorza dura del mondo scoprendovi una dolcezza inattesa, un umorismo imprevedibile.

Fùsi è una creatura gigantesca che a 40 anni vive con la madre, vedova iperprotettiva e con ancora qualche bollore ormonale in corso.

Lavora a terra in aeroporto, scarica e carica valige su aerei con cui non ha mai volato.

A casa gioca alla guerra, ha un enorme plastico con la battaglia di El Alamein e un amico con cui simula le tattiche del generale Rommel.

Nient’altro, la sua vita potrebbe durare così all’infinito, dal mattino con cereali e latte nella ciotola in cucina a qualche incursione nel centro commerciale per comprare la bella macchina telecomandata da usare nel cortile bianco di neve sotto gli occhi ammirati dei due bambini del condominio.

A Fùsi succedono tante cose prevedibili, se appena sappiamo come vanno le cose in questo mondo, quindi nessuna meraviglia se i colleghi di lavoro lo bersagliano, se l’amicizia con la bambina vicina di casa lo fa scambiare per pedofilo, se il temporaneo amante della madre gli fa predicozzi a colazione su come bisogna vivere.

Un cappello da texano e l’iscrizione ad un corso di ballo country sono il regalo di compleanno a Fùsi della magnifica coppia.

E’ il punto di torsione della storia di Fùsi, il centro di gravità da cui parte una traiettoria nuova che regala a chi guarda la bellezza di un animo semplice e smisuratamente grande in azione.

Arrivano l’amore e complicazioni varie che bisogna in qualche modo affrontare. Entra in scena l’altra carta vincente del film, Sjöfn (Ilmur Kristjánsdóttir), la vita di Fùsi ha un’impennata imprevedibile che sta al regista e ai due grandi attori tenere in equilibrio.

Nulla di troppo, Dagur Kári schiva con abilità di marinaio consumato gli scogli del sentimentalismo a buon prezzo, si arriva alla fine sapendo che non scorrerà una lacrima ma che si resterà in silenzio a leggere i titoli incomprensibili di coda, mentre la bella colonna sonora ci accompagnerà delicatamente all’uscita.

Fùsi resterà, forse, il gigante buono e solo che conoscevamo, ma forse anche no, la vita deciderà, ma certo sarà impossibile dimenticare la sua immensa silhouette in controluce sul serpentone che conduce all’ingresso dell’aereo diretto in Egitto.

Sì, proprio dove c’è El Alamein.

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Virgin Mountain

Islanda, Danimarca 2015 durata 94′

titolo originale Fusi

regia di Dagur Kári

con Gunnar Jónsson, Ilmur Kristjánsdóttir

 

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