TEN MINUTES OLDER- The Trumpet

TEN MINUTES OLDER- The Trumpet
dedicato a Juris Podnieks, Chris Marker, Frank Hertz

Sette registi per sette corti di 10 minuti

AUTORI

Aki Kaurismäki Dogs Have No Hell
Victor Erice Lifeline
Werner Herzog Ten Thousand years older
Jim Jarmusch Int. Trailer Night
Wim Wenders Twelve Miles to Trona
Spike Lee We Wuz Robbed
Chen Kaige 100 fiori nascosti nel profondo

Personale interpretazione del “tempo”.
Sette corti per sette registi, la tromba come filo sonoro, un orologio appare in ogni corto.
Dieci minuti per consumare emozioni del presente, ricordare un passato, preparare un futuro.
L’acqua segna il passaggio, vibra di moto sommerso, luce in superficie, sotto c’è l’ombra.

In Memory of Frank Herz (17. 01. 1926 Ludza, Lettland – † 3. März 2013 Jerusalem) ideatore del primo Ten minutes older, 1978, durata 9’36

La prima regola di un documentarista è: avere la pazienza di osservare la vita. Se si è attenti, se si guarda non solo con gli occhi, ma anche con il cuore, la vita di sicuro si presenterà con qualche particolare scoperta. Poi, la realtà registrata da voi otterrà valore artistico e saprà sempre emozionare le persone. I fatti e gli eventi possono diventare storia. I sentimenti che abbiamo provato rimangono con noi. Pertanto l’arte è l’unico ponte vivente tra persone di diverse generazioni, tra periodi di tempo “. Frank Herz

Uno spettacolo di marionette si riflette sul viso di un bambino: bianco e nero, un fascio di luce al centro e buio intorno.
Appaiono e scompaiono altri bambini in brevi flash.Nessuna parola, solo musica e mimica facciale.
Stupore, fissità imbronciata, qualcosa sconvolge, qualcosa non si capisce, qualcos’altro diverte.
Sorpresa, preoccupazione, terrore, paura, allegria, sollievo ecc. ecc.
Solo guardare, vita nel tempo.

Aki Kaurismäki

Dogs Have No Hell

L’uomo esce di prigione. Al mendicante che beve birra seduto a terra chiede l’orario del treno per la Siberia.

Alle tre e trenta” . L’orologio segna le tre e venti.

L’uomo andrà a lavorare in Siberia, ma prima ha bisogno di una moglie.
Cappello e cappotto scuri, cammina con passo sicuro, si muove senza fretta, gestualità asciutta, voce priva di emozione.
Saluta il vecchio socio, si fa liquidare la sua parte nella vecchia attività, si dirige al bar, cerca la donna che non vede da anni, beve un brandy, lei lo raggiunge al tavolo, lui le chiede di sposarlo, aspetta che la donna indossi il cappotto color fragola, vanno verso la stazione, ma … alt… bisogna comprare le fedi.

Il gioielliere li squadra con sguardo penetrante.

Biglietteria, bigliettaia grassa. Comprare il biglietto per andare in Siberia non è affare da poco, serve tempo.
Ora i due si affrettano un po’, sempre sotto braccio corrono sul marciapiede, il treno è pronto al binario. Il controllore chiude lo sportello e fischia.
Sfrecciano nella notte verso la Siberia, l’uomo guarda dal finestrino.

Cosa guardi? chiede la donna.
Se c’è ancora
Cosa?
La mia patria”.
Probabilmente l’Europa non c’è più oltre il finestrino di un treno che fugge verso la Siberia.

Víctor Erice

Lifeline

Il confine tra la vita e la morte nel pomeriggio assolato di un villaggio spagnolo degli anni ’40.
Rumori di vita quotidiana e soldati della guerra civile in vecchie foto ingiallite alla parete.
Dieci minuti fra un oscuro presagio di morte e la vita negli occhi dei genitori.
Collage di immagini, l’andamento analogico coglie legami profondi.
Morte e vita, guerra e pace, gente del popolo e signori di riguardo, uno spaventapasseri con un casco militare, un serpente scivola su una mela, un bambino nella culla sanguina, la macchia a forma di cuore si allarga sul cotone bianco, un gatto nero si affaccia sul bordo della culla, la inclina pericolosamente, la madre si sveglia.
Il tempo scorre pieno di gesti, parole, oggetti, rumori (un martello, il canto del gallo, una falce che taglia l’erba, un’altalena che cigola, bambini che giocano, donne che lucidano scarpe), i ricordi diventano foto alle pareti, Cuba, i nazisti sul confine di Spagna, i miliziani, vecchi giornali.

Giugno 1940, nasceva Victor Erice.
Un ragazzo si disegna un orologio sul braccio.
Una pendola segna l’ora.

Quindici e quaranta.
Il bambino non piange più, il gatto nero miagola, la macchia è grande come la sua testa dagli occhi di fuoco.
Il bianco e nero esalta la suspense, il sangue non ha colore (“c’è una sorta di immagine totale o totalitaria di sangue nel cinema contemporaneo, è così tanto che il colore del sangue è diventato completamente banale”)

Quindici e cinquanta.
Il bambino si è salvato, la vecchia contadina gli ricuce l’ombelico e gli bacia i piedini, una donna canta mentre stende i panni in cortile, si vede l’ombra dietro le lenzuola.
Un ragazzo cancella l’orologio dal braccio.
Toc … toc … toc fa la pendola.

Werner Herzog


Ten Thousand years older

La tribù Uru Eu Wau Waus era l’ultima fra i nomadi della foresta fluviale amazzonica, ferma al paleolitico.

Dieci minuti durò l’unico contatto col mondo civile, una troupe di registi, cameramen e giornalisti.
Vent’anni dopo, la fine.
Tari, il capo, Wapo, suo fratello e altri della tribù guardavano sospettosi in macchina.
Vent’anni dopo Tari è tubercolotico, Wapo vive con lui e non ha un bell’aspetto. Ridono con la bocca sdentata.
Il salto di mille anni li ha stroncati, il progresso verso il nulla ne ha ucciso la maggior parte di varicella e influenza già durante il primo anno.
Hanno visto automobili, città e televisori, ma “restano sibillini sulle loro reazioni.
Tari ha preso anche l’aereo per andare a curarsi, ma ancora non capisce a cosa serva un orologio.
Conosce i cicli del sole e della luna, “ma il presente per lui non è vivo come il passato” e gira tra le mani la grossa sveglia bianca.

Nel mondo non ci sono più popoli o luoghi sconosciuti

Cè Pablo, il nipote, lì vicino.
Vive in città, si vergogna delle sue radici selvagge e parla portoghese.
I due fratelli giocherellano con la sveglia, l’avvicinano all’orecchio, come le conchiglie dove si sente il mare.
Dieci minuti per invecchiare di mille anni.

Jim Jarmusch

Int. Trailer. Night.

Ti dò dieci minuti, riposati.
Pausa in roulotte per l’attrice, Chloè de Sévigny che recita sè stessa.
Vestito charleston e piumino invernale.
Sera, tardi, inverno. Chloé accende lo stereo.
Dieci minuti per una sigaretta, togliersi le scarpe, parlare di niente al cellulare con un uomo, solo parlare per sentirsi, non riuscire a cenare, spegnere la sigaretta dentro il vassoio, farsi pettinare, farsi sistemare addosso i microfoni.
Tornare sul set. Dimenticare il piumino in roulotte. Qualcuno torna a prenderlo nella notte fredda e buia.
Dieci minuti di niente, tranne Bach.
Glenn Gould continua a suonare nello stereo lasciato acceso.

Wim Wenders

Twelve Miles to Trona

Cercare un medico nel deserto per un’overdose in corso.
Dieci minuti per non morire.

Tre R: Road, Rock, Relativity.

Road: la strada lunga e dritta che taglia il deserto. Motel e capannoni, la frontiera americana tra Las Vegas e Death Valley.
C’è una clinica nel deserto, a Trona, aperta dal lunedì al giovedi.
E’ venerdì.
L’uomo vestito da manager arriva trafelato da un meeting di lavoro, legge l’orario.
L’ospedale più vicino è a Ridgecrest, 12 miglia di quella strada lunga e dritta.
L’uomo in cravatta è in overdose, ingestione involontaria di biscotti drogati al meeting di lavoro.
Ha pochi minuti, il cellulare non ha campo, la strada fluttua, si annebbia, oltre il parabrezza succede di tutto.

Rock: un pezzo rock all’autoradio per tenersi sveglio, cantare, cantare, cantare.
Pupille a spillo, cuore che scoppia, faccia color cenere.
Ritmo cardiaco e musica in duetto sonoro, viaggio lisergico e viaggio reale vanno in onda.
Le pale eoliche sono giganti che la terra vomita.

Relativity: una certa Kate, con una lunga station wagon bianca, è ferma da qualche secondo all’incrocio con l’unica altra strada del deserto.
Guarda l’uomo fermo in macchina al centro della carreggiata.
Quello scende, si avvicina, barcolla, apre lo sportello, le chiede della clinica.
Lei esita, è titubante (normale esserlo in un deserto con uno sconosciuto) ma alla fine lo carica su.

Sei brava a guidare!” fa lui dal bianco letto al Ridgecrest Hospital.

Lei è lì che scrive, ha chiamato la moglie dell’uomo e aspetta che si svegli.
Sorride, un po’ impacciata, è giustamente orgogliosa di sé:
Ho preso ieri la patente…

Spike Lee

We Wuz Robbed

Ci hanno fregato.Ci vollero dieci minuti per far tornare Al Gore nella sala di riunione, stava per mollare tutto.Ma siamo stati fregati lo stesso.”
Reazioni di assistenti e sostenitori di Al Gore dopo lo scandalo del conteggio dei voti in Florida che hanno fatto eleggere Bush.
Siamo cresciuti con la televisione e credevamo a quello che diceva
Fox News, un canale televisivo, cominciò improvvisamente a dare per vincitore Bush mentre era vincente Gore. Da quel momento, nella mente degli americani Bush fu il vincitore e Gore il guastafeste.
Ma se pensiamo che chi dirigeva il canale era il cugino di Bush capiamo meglio.
La famiglia è e resterà sempre il perno della società civile.
Il Tribunale Supremo fermò il riconteggio successivo quando mancavano solo 154 voti e molta gente in tutto il Paese ebbe la sensazione che le elezioni fossero state rubate.
Dichiarazione di Spike Lee:
Lessi sul New York Times la storia pazzesca di Al Gore che veniva bloccato a pochi minuti dal suo discorso di insediamento. Leggendo l’articolo pensai: ‘Proprio come in un film…’ Telefonai agli organizzatori del progetto e utilizzammo quell’episodio per un riesame delle elezioni presidenziali del 2000

La corsa presidenziale tra Bush e Al Gore nel novembre 2000 diventa teatro della malapolitica, le dichiarazioni dei membri dello staff sono sparate a ritmo concitato, consiglieri, confidenti e curatori di Al Gore parlano di quella notte degli imbrogli, di schede così poco chiare nell’incolonnamento dei nomi che una donna, sopravvissuta alla Shoah, temeva di aver votato un antisemita.
Fu fatto di tutto per far vincere Bush, e per chi l’abbia dimenticato sopra c’è un bel video a ricordarlo.

Chen Kaige

100 fiori nascosti nel profondo

Un uomo ingaggia una ditta di traslochi per portar via i suoi mobili da un terreno abbandonato dov’era la sua casa.
Sale sul camion e va con gli operai sul posto.
La città svetta di grattacieli e nastri di cemento per sopraelevate aeree, l’uomo si sporge dal finestrino, si guarda intorno, non sa più dov’è, Pechino è un posto dove ci si perde.
Ma ben presto fra catapecchie diroccate e strade sterrate di quartieri in demolizione si trova la strada, è la Via dei Cento Fiori.
Un albero, giù in fondo, segna il punto: la casa era lì, la prima della fila a schiera.
Ora bisogna portar via i mobili.
Ci vuole prendere in giro? Qui non c’è niente!Unknown
Il prezioso vaso Meing cade e si rompe durante il trasporto sul camion (ah, sì, certo, alla fine gli operai il trasloco l’hanno fatto, in fondo lui ha pagato).
Finale magico, uno dei più belli nella storia del cinema.

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TEN MINUTES OLDER- The Trumpet

USA 2002, b/n e colore, durata 92’
musica di Paul Englishby
alla tromba Hugh Masekela

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