As bestas di Rodrigo Sorogoyen

Partiamo dal titolo, As bestas, Come le bestie, lasciato in lingua originale.

Un paragone, evidentemente con gli uomini.

Utilizzo di un confronto universalmente usato e abusato per condannare comportamenti illeciti, devianze dal bon ton, in breve tutto quello che si pone al di là e contro la morale, la cultura, il bello e l’onesto.

Parametri umani, ovviamente.

A questo punto è necessaria una premessa: non sono un’animalista, rispetto gli animali ma non ho mai condiviso la loro vita e il loro habitat, credo che ognuno debba stare nello spazio in cui madre natura l’ha posto rispettando quello degli altri, al massimo aiutandoli se li vede in difficoltà.

Li osservo, come ogni fenomeno della terra e del cielo, a volte mi piacciono e mi commuovono, come quelli di magnifici documentari che ne descrivono la bellezza o le sofferenze, la ricerca spesso inutile di cibo fra i ghiacci, il volo sulle nostre teste quando emigrano a schiere.

Non sono neppure umanista a spada tratta, credo che fra le specie viventi quella umana sia la peggiore, nonostante le grandi mete raggiunte con il suo ingegno.

Non mi piacciono neppure i paragoni impropri.

A questo punto bisognerebbe chiedere al regista come la pensa, perché la vicenda che coinvolge i quattro interpreti e il resto della comunità in cui sono inseriti è definita bestiale. Si presume che gli uomini farebbero di meglio? Che gli animali abbiano comportamenti simili?

Dal film,però, traspare un grande amore per gli animali.

Il cavallo nell’incipit, le pecorelle che la protagonista compra e trasporta a braccia come il Buon Pastore  fino al suo furgoncino, le mucche che sfilano tranquille verso la stalla, le capre del vecchio pastore il cui latte darà il formaggio più buono al mondo.

Dunque, perché illuminare la triste vicenda con questo paragone?

Ma forse possiamo tentare un’altra ipotesi: l’ironia, dire il contrario di quello che s’intende dire, e allora ci siamo, anzi siamo assolutamente convinti che sia il vero significato del film, vincitore di otto premi Goya, degno di figurare ai primi posti nelle classifiche mondiali per rigore di scelte stilistiche, toni, sottotesti che arricchiscono il nocciolo duro della storia, caratterizzazione di personaggi schizzati con tratti espressionisti di lacerante durezza, base musicale minimalista e fotografia superba.

La storia ricalca una storia vera avvenuta qualche anno fa che coinvolse degli Olandesi.

Antoine e la moglie sono una coppia di mezza età di cui pian piano sapremo qualcosa del passato e della provenienza francese, per un po’ il film resta laconico, ed è una buona scelta stilistica, la vita fra le vallate e le alture della Galizia non ha bisogno di molte parole, i ritmi sono dettati dalla natura con le sue stagioni e dalla terra coltivata a fatica.

I due, provenienza borghese, studi e viaggi nel passato, hanno fatto una scelta radicale, vivere lontano dalla cosiddetta civiltà e dare a quel pezzo di terra misero e incolto un contributo che ne migliori le condizioni.

Restaurano case diroccate, mettono a coltura pomodori e varie, insomma portano i gioielli dell’ingegno umano dove sembra essercene bisogno. Prevedono un domani turistico, e questo stride un po’ con la scelta francescana, ma è una prospettiva davvero lontana visti i posti adatti solo ai pellegrini del cammino di Santiago.

Vivono lì da due anni e non hanno votato, bloccandolo, l’insediamento di pale eoliche che una società norvegese vorrebbe installare, dando un po’ di soldi agli abitanti del misero villaggio, povera gente senza speranze e risorse, che da quei soldi si aspettava qualche miglioramento.

Dunque uno scenario di ordinaria umanità.

Essere stranieri e ostili alle pale eoliche li ha resi invisi a tutti, e si va dalla pura indifferenza all’odio feroce, fino all’esito purtroppo tragico.

Tra intolleranza etnica (Antoine è chiamato il francesino, benchè la sua stazza sia enorme) e conflitto di classe (il paese vive in una miseria endemica da generazioni e i due borghesi sono il nemico da odiare) la vita va avanti e Sorogoyen, ottimo regista madrileno in grande ascesa dopo i lungometraggi precedenti, sa come calibrare i momenti topici della storia senza andare mai sopra le righe ma instillando nello spettatore un disagio capillare, quasi subliminale, che contraddice volutamente le normali aspettative.

Scenari naturali mozzafiato, quadri di vita campestre che solo nei grandi pittori dell’’800 inglese, vita di ammirevole modestia di due borghesi riciclatisi contadini, coppia affiatata e innamorata (pochissime parole anche su questo, ma bastano): tutto prepara lo spettatore ad esiti molto diversi che, volta per volta, verranno frustrati dalla realtà effettuale.

Ci si convince, lentamente ma inesorabilmente, che non ci sarà il finale che ci aspettiamo, o che vorremmo, raro trovare un film così spietato nell’annullare ogni residua speranza nel genere umano.

Il finale, o meglio, tutta la seconda parte che non è che un finale, lascia svuotati.

Solo allora si ripensa al titolo a cui manca solo un punto interrogativo: As bestas? E la risposta è un bel no.

As bestas

Spagna, Francia 2022 durata 137′

Regia di Rodrigo Sorogoyen

Con Denis Menochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido, Machi Salgado, David Menéndez

 

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