In the mood for love di Wong Kar-wai

In the mood for love, il capolavoro di Wong Kar Wai di 20 anni fa, premio per miglior attore (Tony Leung) e gran premio della giuria per il miglior contributo tecnico (William Chang, Christopher Doyle e Mark Lee Ping-Bin) al 53. festival di Cannes (2000), torna in sala dal 28 aprile, per ora  in 27 sale. Versione restaurata in 4k a cura di L’immagine ritrovata di Bologna e Criterion di New York, partendo dal negativo originale di cui il regista ha supervisionato tutte le operazioni.

Ispirato al romanzo breve Un incontro (noto anche come Intersection) di Liu Yignag, il titolo in lingua originale significa “L’età della fioritura“.

Nella Hong Kong cinese degli anni sessanta, austera, nessun segno di opulenza ma molti presagi sotterranei di future tensioni politiche, il signor Chow lavora in un giornale e la signora Li-Zhen in un’agenzia di trasporti.

La carenza di alloggi costringe a convivere in pochi metri quadri.

Chow e Li-Zhen, con consorti al seguito, traslocano nello stesso giorno in due monolocali della esuberante signora Suen, che gioca sempre a majong, cucina tanto, è sempre allegra e vorrebbe  tutti alla sua tavola. E’ il periodo della progressiva occidentalizzazione di Hong Kong  e del crollo degli imperi coloniali. I due hanno coniugi che spesso li lasciano soli durante i turni di straordinario. La vita sociale nel palazzo è molto vivace e gli inquilini si ritrovano tutti insieme dalla signora Suen, amichevole ma invadente padrona di casa, tranne Chow e Su che restano spesso soli nelle loro stanze.

Lo spazio è così angusto che la fotografia di Christopher Doyle (sostituito nel finale da Mark Lee Ping-Bin), si muove quasi con circospezione lungo il corridoio su cui si affacciano le stanze o sulla scalinata che Li-Zhen e Chow salgono e scendono di continuo, lei con la cena di ravioli al vapore comprata per strada (il marito la lascia spesso a lungo per viaggi d’affari), lui con giornale o senza (la moglie, pressochè invisibile, ha strani orari in ufficio, qualcuno l’ha vista in compagnia di un uomo, giorni prima) e s’incontrano con brevi sguardi, un saluto appena sussurrato, un sorriso di circostanza.

Marito e moglie sono ombre sullo sfondo, a volte voci fuori campo, vivono essenzialmente come motore della vicenda nella mente dei due che scoprono, quasi contemporaneamente, la loro relazione. Assenze prolungate, coincidenze, una cravatta, una borsa, regali rivelatori.

Spazi claustrofobici ora li stringono sempre più, il corridoio ingombro della coabitazione di giorno, tunnel di ombre la sera, stanze che la macchina riprende  di scorcio dall’esterno o da angolazioni improbabili all’interno, sedili posteriori di taxi che li riportano a casa quando cominciano a frequentarsi parlando del problema comune, o, più che parlarne, per vivere insieme l’esperienza di un’esclusione che fa della loro vita un grumo di solitudine e di silenzio.

La loro vicinanza diventa nei giorni uno strano legame, forse amore, ma sospeso, fatto di intermittenze, di non detto.

Brevi incontri, una cena insieme al pub, le posate che tagliano svogliate la carne, grandi piogge che li bagnano su strade dove pare esistano solo loro, soste alla luce fioca dei lampioni, telefono che squilla in ufficio, e a volte si sceglie di non rispondere.

La loro non-storia nasce così, non vissuta (quel “Noi non saremo mai come loro” è troppo saldo, orgoglioso, non dà abbastanza spazio alle ragioni del cuore) il ralenti ferma il tempo, lo prolunga, la sceneggiatura è ellittica, la recitazione di Maggie Cheung e Tony Leung  è stilizzata, essenziale, di una gestualità elegante e sinuosa, come i loro corpi levigati e le volute azzurrine del fumo di sigaretta, come i colorati, floreali cheongsam di Li-Zen, che fasciano morbidamente il suo corpo sottile di giunco, come la capigliatura lucida, compatta di Chow e il suo sorriso gentile.

Il tema sonoro, l’indimenticabile “Yumeji’s theme” di Shigeru Umebayashi, il tema del sogno, riempie di sé il film, tiene sospesi fino all’ultimo titolo di coda, insieme agli interventi di Michael Galasso e alle strepitose oldies di Nat King Cole, “Aquellos ojos verdes” e “Quizas, quizas, quizas”, fatte malinconia leggera e sensualità latina.

Lui si trasferirà a Singapore, lei si rifarà una vita con un figlio, il doloroso sentimento di perdita si attenua mentre gli anni trascorrono e il tempo fa del passato un vetro polveroso da cui guardare figure sbiadite.

Se hai un segreto veramente importante, confidalo alla fessura di un albero secolare, che lo conserverà per sempre” .

Tra le rovine dei templi di Angkor Wat, in Cambogia, Chow confiderà il suo segreto, l’amore per quella donna, ad un foro scavato nella parete del tempio. Una vecchia leggenda ne parla come di un luogo sacro che conserva i segreti della memoria.

Forse anche lei lo amava, forse l’amore malato che nasce dalle ferite non può vivere, o forse, come canta ancora Sam…… “You must remember this / A kiss is still a kiss / A sigh is just a sigh / The fundamental things apply / As time goes by. / And when two lovers woo, / They still say, “I love you” / On that you can

Ricordare è meglio che vivere?

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In the mood for love

Hong Kong 2000 durata 98′

Titolo originale: Hua yang nian hua

Regia di Wong Kar-wai

Con Tony Leung Chiu Wai, Maggie Cheung, Lai Chen, Rebecca Pan, Paulyn Sun

 

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