L’ultimo degli ingiusti di Claude Lanzmann
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,
che ha fatto della mia vita una lunga notte
e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto
i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno
che mi ha tolto per l’eternità
il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio
e la mia anima, ed i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.
Mai.
Elie Wiesel, La notte
Claude Lanzmann
Scegliere di celebrare il Giorno della Memoria con Le dernier des injustes, l’ultimo lavoro di Claude Lanzmann che ci ha lasciato il 5 luglio 2018 all’età di 92 anni, è quasi d’obbligo, anche se ogni discorso sulla Shoah non può che passare attraverso la sua opera, inesauribile e unica ( v. spazio dedicato in SHOAH)
“La morte è qui, può arrivare ad ogni momento. E questo è molto male“. disse Lanzmann nel 2015 e aggiunse: “Morire non ha nulla di grande, tutto il contrario, è la fine della possibilità di essere grandi.
L’impossibilità di ogni possibilità“.
Ma lui grande è stato e il lavoro di una vita condotto con metodo mai prima nè dopo utilizzato è l’unico a cui affidarsi per una conoscenza depurata di tutte le sovrastrutture ideologiche che gli anni hanno depositato sulla più grande tragedia del secolo scorso. Poche ricostruzioni e indagini reggono il confronto, e citiamo per il giusto riconoscimento che merita Nuit e bruillard di Alain Resnais
Nel 2013 Lanzmann ha pubblicato il documentario Le dernier des injustes.
Recuperando la lunga intervista filmata del 1975 al rabbino di Vienna Benjamin Murmelstein, Lanzmann tratteggia la figura formidabile dell’unico fra i decani dei ghetti d’Europa che fosse sopravvissuto alla Shoah.
Il titolo è provocatorio ed è quello che ironicamente Murmelstein fece capire di sé durante l’intervista di Lanzmann: prima dirigente e poi presidente degli anziani, operava nel campo di concentramento di Theresienstadt vicino Praga, un campo che la propaganda nazista spacciava per modello di efficienza e trattamento umano ai reclusi. In quel campo morirono di stenti 33.000 ebrei e altri 88.000 furono deportati in altri lager.
Murmelstein fu processato dopo la guerra dai cecoslovacchi per collaborazionismo, assolto si stabilì a Roma dove incontrò l’ostilità della comunità ebraica locale.
A Berlino 2013 Lanzmann è stato premiato con l’Orso d’oro alla carriera e della sua opera è stata presentata un’ampia retrospettiva. In seguito ha portato a Cannes questo suo ultimo film.
L’accusa di collaborazionismo fu anche strenuamente sostenuta da Hannah Arendt ne La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, anche se, dopo lunghe indagini preliminari, Mulmerstein era stato prosciolto con formula piena.
Oggi sappiamo senza ombra di dubbio che, rabbino a Vienna durante l’annessione dell’Austria alla Germania nel 1938, lottò strenuamente per sette anni contro Eichmann, riuscendo ad evitare lo sterminio di 121000 ebrei.
E non fu neppure chiamato a testimoniare durante il processo a Tel Aviv!
Le dernier des injustes è un film di forte impatto, come sempre quando Lanzmann mette sotto la sua lente la storia e smantella conformismi, scuote l’ignoranza, costringe a “vedere”. La lunga conversazione a Roma con il rabbino fu accompagnata da una settimana di riprese, e, dice Lanzmann:
“… ricca di rivelazioni di prima mano, non ha mai cessato di ossessionarmi. Mi sentivo depositario di qualcosa di unico, ma indietreggiavo di fronte alle difficoltà di realizzazione di un simile film. Ho avuto bisogno di molto tempo per arrendermi all’evidenza che non avevo il diritto di conservarla per me solo. Il caso di Theresienstadt era capitale ai miei occhi, centrale e laterale nella genesi e sviluppo della soluzione finale”.
Qualche notizia su Theresienstadt, campo di concentramento a circa 60 km da Praga, è dunque preliminare indispensabile per capire la pista seguita in questa occasione da Lanzmann .
Il campo fu costruito con l’intento preciso da parte della propaganda nazista di farlo passare per ghetto modello, facendo credere ad ispettori di Stati nazionali, Croce Rossa e organizzazioni umanitarie varie, nonché all’opinione pubblica in generale, quanto fossero fuorvianti certe voci che correvano sul modo di trattare gli internati in quell’arcipelago del terrore sparso un po’ ovunque, tra Germania ed Europa nord orientale.
Sull’argomento Theresienstadt, traendo dall’enorme mole di materiale girato per Shoah, Lanzmann aveva già sviluppato nel 1999 un film autonomo col titolo Un vivant qui passe.
Nel 2012 riesce finalmente a mettere in scena l’incontro di Roma, riportando al giusto grado di consapevolezza il ricordo di Theresienstad, “ghetto modello regalato agli Ebrei da Hitler”, continuando così a svelare al mondo quello che il mondo spesso dimentica o vuol dimenticare, per incuria, superficialità, egoismo o criminale negazionismo. Anche le contraddizioni e le mancanze, gli abbagli e gli errori dei vari Consigli degli Ebrei vengono alla luce, Lanzmann non ricostruisce storie di parte nè verità preconfezionate.
A 89 anni, tanti ne aveva quando realizzò il film, Lanzmann chiudeva una storia personale di uomo e di artista che aveva dedicato un’intera vita alla ricerca della verità, che non è solo memoria, è attualità, è presente su cui il futuro pone le sue premesse.
Che bisogno avrebbe mai avuto, ora, di barare, giocando a dadi con la storia?
… non ero uno di loro
non ne facevo parte
non era un mondo
non era l’umanità
non avevo mai visto nulla di simile
nessuno aveva mai scritto quella realtà
non avevo mai visto un’opera teatrale, un film
non era il mondo,
mi dicevano che erano esseri umani
non rassomigliavano ad esseri umani,
e siamo andati via.
Mi ha abbracciato
buona fortuna
buona fortuna
Non l’ho rivisto mai più.
(dal racconto di Jan Karski dopo la visita al ghetto di Varsavia. Professore universitario negli Stati Uniti, ex corriere del governo polacco in esilio a Londra, un uomo d’azione, il “testimone inascoltato”, come lo definì lo scrittore francese Yannick Haenel. Presentò il suo rapporto a tutti, parlò con i grandi della terra, nessuno gli credette. Nel 1982 fu insignito del titolo di Giusto fra le Nazioni.
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