Burning Bush. Il fuoco di Praga di Agnieszka Holland

Siamo stanchi di diventare giovani seri
 o contenti per forza, o criminali, o nevrotici:
vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare 
qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare.
Non vogliamo essere subito già così sicuri.
Non vogliamo essere subito già così senza sogni.

P.P.Pasolini, Postilla in versi, Lettere Luterane. Il progresso come falso progresso Jan Palach un sogno l’aveva e aveva solo 21 anni.

Quel pomeriggio di gennaio 1969, a Praga, in Piazza Venceslao, bruciò d’amore per quel sogno. Quanti lo ricordano? La memoria ha breve corso in quest’ultimo secolo di storia.

Perfino la sua tomba sparì subito, era il 1969, un anno dopo l’arrivo dei carri sovietici a sferragliare per le vie di Mala Strana, a bivaccare sotto il monumento di Jan Huss, a insozzare via Celetna, quella dove passava Kafka per tornare a casa.

Erano tempi difficili.

Praga ne ha vissuti tanti, dai pogrom contro il ghetto ebraico alle decapitazioni in piazza dopo la battaglia della Montagna Bianca, ma la sua magia era sempre lì, nei suoi vicoli, fra i pinnacoli del suo Castello, nelle botteghe degli alchimisti e dietro le finestre aperte sul suo grande fiume. Lotte fra Impero e Papato, guerre di religione, perdurare di ordinamenti feudali e sollevazioni popolari, “primavere” e “normalizzazioni”.

Tutto il male e il bene che l’Europa ha vissuto è passato per Praga.

Scriveva nel ’75 Angelo Maria Ripellino nella sua Praga magica:

Dopo la Montagna bianca, e sino alla fine della guerra dei trent’anni, le terre ceche vennero taglieggiate da diversi eserciti, che le imbrattarono coi loro stupri.  Soldataglia venuta da varie contrade corseggiò le campagne morave e boeme, uccidendo e predando. Esasperati dalle scorrerie e dai saccheggi, i contadini impiccavano agli alberi i soldati grassatori: e nelle campagne annerite dagli incendi, tra le fumanti rovine, mercenari pendevano dagli alberi come fantocci. Praga perdette l’antico splendore di residenza dei sovrani cechi. Un triste silenzio ingombrò le sue strade di morte.Il castello dei re boemi restò vuoto e muto, come reliquia di glorie preterite. Ebbe inizio quel provvisorio, che continua ancora oggi”

La storia di Praga da allora ristagnò …

 ” … nella lentezza di un’infinita masticazione (quella di Gregorio Samsa che, nella kafkiana Metamorfosi, rumina per ore un boccone tra le mascelle), una sorta di nausea secolare, di catatonia, risvegliata, talvolta, da sobbalzi e da impulsi immediatamente stroncate. Nelle chiese fastose, nelle stanze ammuffite dei vecchi palazzi ristagna ancor oggi il cordoglio della Finis Bohemiae, l’amaro rancore di una civiltà assiduamente interrotta dalle ingerenze brutali di tracotanti vicini….”

E poi arrivarono i carri armati sovietici, “i tracotanti vicini”, e la magia sparì come neve al sole.E quanti furono i collaborazionisti tra i praghesi stessi! La violenza uccide, ma è il male minore. Il male maggiore è la contaminazione che porta con sé e devasta le coscienze. Paura, opportunismo, indifferenza, egoismo. Il campionario dell’abiezione è vario e sfuma ai bordi, la casistica della vigliaccheria è infinita.

Jan Palach l’hanno ignorato nella stessa Praga. Ancora dieci anni fa le guide turistiche ne parlavano come di uno squilibrato seguace di strane teosofie orientali che predicavano il rogo purificatore.

Nel 2013 Agnieszka Holland ha girato per HBO Burning Bush (Roveto ardente), con il sottotitolo Il fuoco di Praga, dedicato alla sua vicenda.

Il 16 gennaio 1969 Jan, studente dell’Accademia di Belle Arti, orfano di padre, famiglia molto modesta, madre e fratello abitanti nei paesi della campagna boema, si cosparse di benzina e bruciò fino a quando qualcuno non riuscì a spegnere le fiamme. Morì dopo tre giorni di atroce agonia.

Holland inizia da qui ed è un vero choc visivo.

Il lungo docu-fiction, quattro ore di ricostruzione fedele, curata con esattezza filologica, è alieno da tentazioni oleografiche e derive declamatorie. E’ il primo documento a diffusione internazionale, dunque garantisce la massima visibilità e rende giustizia ad una persona e ad una vicenda su cui troppo si è travisato, ignorato, dimenticato.

Dai fatti dell’agosto 1968, quando i carri armati sovietici entrarono in città, alla fine del processo-farsa con cui il regime rigettò le istanze dei familiari (chiedevano solo pubbliche scuse a chi aveva infangato la memoria del ragazzo, non denaro né altro), Holland ricostruisce un clima storico e un dramma famigliare con profondo senso della storia.

I documenti d’epoca integrano la ricostruzione cinematografica, i protagonisti sfilano in un racconto dolente e raccolto, e alla fine torna la domanda, sempre la stessa, quella che ogni volta riappare con la ritualità di un mantra inutile: come è potuto accadere?

Un giorno un ragazzo di 21 anni frequentava l’Accademia di Belle Arti a Praga.Poi si versò addosso una latta di benzina e bruciò.Perfino Praga l’ha quasi dimenticato.

Fino a qualche anno fa in Piazza Venceslao c’era una piccola aiuola con la sua foto e qualche fiore.Oggi è un po’ più curata.

Della tomba chi ne sa qualcosa? La rimosse il regime perché era meta di eccessivi pellegrinaggi e il corpo fu cremato.

(Una curiosità: questo film, scelto per rappresentare la Repubblica Ceca agli Oscar 2014, non è entrato nella cinquina finale in lizza per il miglior film straniero)

Così Ripellino chiudeva il suo magnifico omaggio a Praga. Quei monatti sono spariti ma …

” … Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti. Ed io forse vi ritornerò.

Certo che vi ritornerò.

In una bettola di Malà Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Mèlnìk.

Andrò a Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi.

Vi porterò i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti.

Praga, non ci daremo per vinti. Fatti forza, resisti.

Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano, cammino della speranza”. 

Burning Bush. Il fuoco di Praga

titolo originale: Horici ker

Repubblica Ceca 2013 durata 240’

regia di Agnieszka Holland

con Tatiana Pauhofová, Ivan Trojan, Martin Huba, Vojtech Kotek, Jaroslava Pokorná, Igor Bares, Jan Budar, Adrian Jastraban, Miroslav Krobot, Ondrej Malý, Tatjana Medvecká, David Novotny, Petr Stach

 

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