Sorry we missed you di Ken Loach

FESTIVAL DI CANNES 2019 – CONCORSO

Sorry, we missed you“Ci spiace, non ti abbiamo trovato” è stampato nel biglietto che i corrieri lasciano nella posta, o sotto la porta, dipende, se il destinatario del pacco non è in casa.

Proviamo ad immaginare la reazione di quest’ultimo: rabbia, seccatura, tocca andare in posta o chissà dove, in un deposito, e fare chissà che fila, e non subito, ahimè, sempre dal giorno dopo.E chi non è stato vittima almeno una volta di corrieri ritardatari, o, peggio, che non avvisano del loro incerto arrivo, alzi la mano. Siamo capaci di smadonnare se sono sbagliate le previsioni del tempo, figuriamoci quante ne sgraniamo contro queste entità astratte, omini frettolosi, figure senza volto che ci consegnano qualcosa e di cui vediamo solo la penna per la firma digitale, buongiorno e via, un robot, il non essere, il nulla.

Ken Loach ha detto “basta”, e chi se non lui?

Questo ottantatreenne che è cresciuto, vissuto e non invecchiato a pane e libertà, che ha rifiutato premi solo perché il carrozzone del festival (era un’edizione del Torino FF) non pagava il dovuto alle maestranze e agli addetti alle pulizie, che un film dopo l’altro ci ha raccontato un’Inghilterra che sembra lo specchio del mondo, e non per la Brexit, per tutto quello che la fa somigliare al resto del mondo, e non è un bel vedere, ha detto No, anzi, continua a dirlo da una vita.

Un furgone nuovo comprato a proprie spese, mille sterline di anticipo il resto a rate, è l’unica possibilità per Ricky di lavorare come corriere per una ditta in franchise.

Cosa vuol dire? Glielo spiega bene all’inizio il corpulento boss che ha una maschera facciale perfetta per il ruolo (profilo da faina, colorito grigio, occhi a fessura stretta, bocca usata solo per urlare o usare il sarcasmo del padrone).

Ricky è autonomo, dice lui, ” tu non lavori per noi, ma con noi”, nessun contratto, lavoro a zero ore, quello che fai è responsabilità tutta tua, io ti do il programma, il percorso, la tracciabilità registrata attimo per attimo dall’aggeggio su cui i clienti firmano, vieni qui ogni mattina e carichi i pacchi, il resto è affar tuo. Hai bisogno di assistenza ospedaliera perché dei bulli in strada, mentre pisciavi nella bottiglia, (sì, i bisogni corporali non sono contemplati nel ruolino di marcia) ti hanno ridotto in poltiglia la faccia ? Fatti tuoi.

Devi andare dal preside o al commissariato perché tuo figlio non va a scuola e sta diventando uno scapestrato che rubacchia al supermercato la vernice per fare il graffitaro in giro? Fatti tuoi, anzi, mi devi la giornata, 100 sterline, e la sanzione.

Arrivati a questo punto lo spettatore si chiede, inevitabilmente: perché accade tutto questo? Domanda senza risposta, è come chiedersi perché ogni mattina tramonta la luna e sorge il sole. Il film, a differenza degli altri, quasi tutti, di Ken Loach, non ha spiragli, l’unica parola che viene in mente a visione avvenuta è ”disperazione”.E durante la visione può anche capitare di sentire le lacrime, come si dice, sul bordo degli occhi.

Di fronte agli altri film  di Ken Loach il sentimento più riconoscibile era la rabbia, capitava anche di sorridere, a volte, e una prospettiva, seppur lontana, di tanto in tanto baluginava. Qui no, con molta gradualità Loach e il suo alter ego Paul Laverty ci portano dentro una trappola infernale da cui non si esce.

Ricky all’inizio è addirittura contento di aver trovato quel lavoro, “è quello a cui ho aspirato per tutta la vita”. Difficile comprarsi il furgone? Si vende la macchina di Abby, la moglie, badante a chiamata che andrà con i mezzi pubblici, pazienza se dalle sette di mattina alle otto di sera. Ricky le giura che in sei mesi si metteranno a posto e potranno anche comprarsi la casa, invece di stare in affitto dove il proprietario può mandarti via quando vuole.

E i due figli? La piccola non dà problemi, è seria e studiosa, anche se apparirà la minzione notturna a segnalare i guai. Si discute, più che litigare, quando il tempo vola via senza lasciarti respiro e dei figli non ti puoi occupare, la famiglia crolla, resta tanto amore ma, misto a stanchezza, frustrazione, impotenza, che te ne fai dell’amore?

A qualcuno Loach sembra ripetitivo? Qualcosa alla Victor Hugo in salsa verghiana, sempre la solita solfa sulla working class? In effetti strada non se n’è fatta molta, dalla casa del nespolo a oggi, se mai ci siamo super dotati di attrezzatura informatica, grandi strade e ponti di scorrimento veloce. E il carico di lupini? Scatole, pacchi e pacchetti (c’è di tutto, anche bambole gonfiabili) non affondano in mare, il bravo Richy guida anche con una mano sola.

Ma a qualcuno questa cosa non va giù, proprio no, e continuerà sempre a dirlo finchè avrà voce. Il cinema di Ken Loach fa dimenticare di essere al cinema, ti prende alla gola e ti costringe a guardare dove non vuoi guardare.

Dove?In faccia al corriere dei pacchi.

L’ultima scena è il suggello, non va descritta ma lascia senza fiato nella sua piatta inevitabilità, nessuno può aspettarsi altro, a quel punto, nessuna retorica, nessuna speranza, i titoli di coda scorreranno ineluttabili.

Le dichiarazioni del regista reperibili sul web:

“L’economia moderna inglese si basa si contratti spesso part-time o a zero ore, che rappresentano una nuova forma di sfruttamento. Partendo da ciò, a poco a poco è venuta fuori l’idea di un film strettamente connesso a Io, Daniel Blake, una sorta di sua costola.  Con Paul ci siamo concentrati sullo sfruttamento ma anche sulle conseguenze che il lavoro ha nella vita familiare e sulle relazioni personali. La classe media spesso parla di equilibrio tra lavoro e vita privata mentre la classe operaia è messa all’angolo dalla necessità, dal bisogno. Nonostante i grandi progressi della tecnologia, quelli che un operaio deve affrontare sono problemi di vecchia data. La tecnologia più avanzata entra nelle cabine di un autista di furgoni per le consegne, gli detta gli itinerari, permette al cliente di sapere dove si trova un pacco che sta attendendo o di sapere quando gli verrà consegnato. Il cliente può persino seguire il percorso del corriere per tutto il quartiere grazie ai segnali che vengono diffusi via satellite. Nessuno però si preoccupa della persona che sta alla guida del furgone, che passa da una strada all’altra per soddisfare le esigenze della tecnologia. Come si capisce da subito, la tecnologia è sì nuova ma i problemi di sfruttamento del lavoratore sono vecchi come il mondo. Con Laverty abbiamo fatto molte ricerche sul campo e abbiamo incontrato diversi corrieri, non sempre disposti a parlare per paura di perdere il loro posto di lavoro. Dalle ricerche sono emersi diversi dati preoccupanti, a partire dal numero di ore che i corrieri devono fare per guadagnarsi uno stipendio decente e dai problemi di sicurezza (la responsabilità su tutto ciò che accade pesa sulle loro spalle). Quello delle ore è un problema che riguarda anche chi come Abby fornisce assistenza a domicilio: nonostante lavorino anche 12 ore al giorno, vengono pagati come se lavorassero sei o sette ore al minimo salariale”.

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Sorry We Missed You

Gran Bretagna, Francia, Belgio durata 100′

Regia di Ken Loach

Con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor, Ross Brewster, Alfie Dobson

 

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