Tangerine di Sean Baker

Di color mandarino, Tangerine, si tinge il cielo di Los Angeles al tramonto. 

E’ la vigilia di Natale per ricchi e poveri, fa caldo, Natale può anche non avere la neve, ma l’albero con le palline e gli addobbi luminosi quelli sì, non mancano. Il set è il Sunset boulevard e dalla mattina di sole accecante al tramonto arancio infuocato può succedere di tutto.

Può succedere anche che Sean Baker, un giovane regista che abita vicino ad un negozio di ciambelle dolci, parta da proprio da quelle e, armato di smartphone e pochi soldi, con attori presi dalla strada, faccia un film pop, rock, scatenato e intimista insieme, dove humor e durezza convivono, “ un film d’insieme” dice lui, commedia e reality show, dove sono i personaggi a trascinare la macchina al ritmo di trap music “…un tipo di sound elettronico che i DJ del New Jersey e di Baltimora praticavano molto a inizio anni ottanta e che è tornata molto di moda. Era perfetta per noi. A quel punto ho deciso che la musica avrebbe dettato il ritmo del film … Poi ho aggiunto Beethoven e dalla trap music mi sono spostato verso un mix più eclettico” (da un’intervista sul Manifesto del 5/2/2015)

Il colore del film è quello caldo del mandarino, le scene centrali sono tutte girate di pomeriggio e la musica segna il passo delle protagoniste, Sin Dee e Alexandra, che macinano chilometri lungo quei marciapiedi.

Sono due vere transgender di colore, Kitana Kiki Rodriguez e Mya Taylor che con il tassista armeno Ramzik/ Karren Karagulian, formano il trio base a cui si aggiungono, nel corso della giornata fino a tarda sera, Chester, un pappone bianco con il suo parco/ragazze chiuse in un piano terra che a confronto i bassi napoletani sono loft di lusso, la suocera del tassista, la moglie e il pargoletto. Tutta gente, insomma, che sul Viale del Tramonto non va certo a girar film per la Paramount.

 

Non vivo molto lontano dall’incrocio tra Highland e Santa Monica – dice il regista – Quando ci passi, anche solo guidando, non puoi non notare che sta sempre succedendo qualcosa. E io sono attratto dai luoghi dove c’è energia, azione. Si tratta anche di una sorta di distretto a luci rosse, il che fa di questo film una continuazione dell’esplorazione dell’universo dei sex workers che ho intrapreso in Starlet. Ma là cercavo di esaminare la vita personale (di un’attrice porno), qui si tratta della storia di una donna offesa e umiliata, ambientata in quel mondo” (il Manifesto cit.)

Tutti vanno e vengono nel caos del traffico, tra cartelloni, insegne e semafori, le ragazze fanno qualche marchetta per racimolare pochi dollari, capita anche che i clienti non paghino e ci esca la zuffa o da un’auto in corsa gli buttino piscio addosso. A Ramzik tocca ascoltare mentre guida gli sproloqui di qualche schizzato in vena di confidenze o pulire il vomito di due strafatti, e se si concede una piccola trasgressione (il quartiere è quello che è e i gusti non si discutono) piombano la suocera con moglie e figlio al seguito e lo fanno nero.

La ciambellina zuccherosa coperta di confettini rosa che aveva aperto il film al mattino (e che così validamente contribuisce al sovrappeso del 70% della popolazione americana) diventa un ricordo man mano che le ore passano e si fa sera.

In apertura Sin-Dee (Kitana Kiki Rodriguez) sta festeggiando con Alexandra (Mya Taylor) la fine di 28 giorni passati in cella.

Parruccona bionda la prima, corvina fino al fondo schiena la seconda, look da mercatino rionale e vistosa chincaglieria a basso prezzo, Sin-Dee è dolce, sembra perfino fragile a momenti, ma diventa una belva quando l’amica Alexandra, fisico statuario con tracce di virilità pregressa difficili da smaltire, fa una gaffe e le rivela che Chester, il fidanzato/pappone, la tradisce con una bianca e, supremo sberleffo, una donna vera.

 

La ciambellina non va a buon fine, l’avevano perfino divisa a metà perché due costano troppo e il borsellino è vuoto, ma ora Sin-Dee parte alla ricerca della donna bianca e fino a sera sui marciapiedi del Sunset Boulevard succederà di tutto un po’.

Dimentichiamo la città degli angeli, questa è la città dei perdenti che però non si piangono addosso, vivono una vita sbandata, disordinata, in movimento perenne, in continua rotta di collisione con qualcuno o con sé stessi, ma tornano sempre sulla breccia.

Sean Baker gira una storia pazza e trasgressiva, l’occhio che guarda e registra con tre iPhone 5S, una lente accessoria della moondoglabs, l’app Filmic Pro e poco altro è tra il divertito e l’amaro, il realismo delle scene produce un coinvolgimento graduale e profondo, nel corso delle ore i personaggi prendono corpo e spessore e trasmettono vibrazioni, si caricano di sfumature.

Le due amiche trans e il tassista sfigato alla fine della giornata s’incontreranno, si scontreranno e quel che succederà è vita in corso d’opera, schianto e risalita, tenerezza e rabbia.

Presentato nel 2015 al Sundance, Tangerine ha collezionato premi un po’ ovunque, al di qua e al di là dell’Oceano, ma in Italia è arrivato solo al Torino Film Festival di quell’anno, poi è caduto nell’oblio.

Trascinato dal successo di The Florida Project del 2017 in cui Sean Baker passa al 35mm e riempie gli schermi mondiali di bambini in un film che per bambini non è, val la pena di riscoprire anche questo piccolo capolavoro di cinema indipendente, una storia di Natale che per Natale non è.

I finali  somigliano molto, vedere per credere, è come la firma del pittore in basso nel quadro.

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Tangerine
USA 2015

regia di Sean Baker durata 89 minuti

con Kitana Kiki Rodriguez, Mya Taylor, Karren Karagulian, Mickey O’Hagan, James Ransone

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