Nobody Knows di Kore-eda Hirokazu

Un libro della giungla, ma senza i lupi, Bagheera e Baloo.
Solo la giungla, quella metropolitana, Tokyo, con i grattacieli, le strade perfette e la sua bella monorotaia che arriva all’aeroporto di Haneda, dove si vanno a vedere gli aerei ed eventualmente a seppellire, di notte, in una buca scavata alla meno peggio, il corpicino di Yuki, caduta dalla sedia sulla veranda e mai più rialzatasi.
La giungla e quattro bambini, Akira è il più grande, 12 anni, e fa da padre, madre e fratello maggiore.
Fa la spesa, cucina, lava, cerca qualche soldo quando finiscono quelli lasciati dalla madre che li ha abbandonati, non ruba, ha un senso morale straordinario, probabilmente innato perché nessun progetto educativo è stato attuato per lui. Vorrebbe tanto andare a scuola ma può solo guardare l’edificio da lontano.
Non è surreale, questo film, è solo un film che si può definire minimalista.
Spostamenti minimi, sembrano le variazioni per quattro organi di Steve Reich, nessuna direzione imposta dall’autore, un’ architettura costruita sulla ripetitività.
Più di due ore durante le quali questi bambini vivono l’unica vita che sia dato loro di vivere, figli di padri diversi ma tranquillamente decisi a rimanere uniti, non finendo in mano ai servizi sociali che li separerebbero.
E allora non escono di casa per non farsi scoprire dai vicini, l’unico che risulti ufficialmente è Akira che va e viene con le borse della spesa (fin quando può farla). La madre c’è solo all’inizio, poi sparisce del tutto, è una giovane totalmente irresponsabile, un vero caso clinico, dolce, allegra e irresponsabile. Affida ad Akira i fratelli e segue l’ultimo amore, dice che tornerà per Natale ma poi, forse, si dimentica.
Al singolare gruppo si unirà, nel finale, la malinconica Saki, sembra di buona famiglia, ma anche lei è totalmente sola e quasi venuta dal nulla.
Il mondo adulto,  totalmente indifferente, scorre ai margini di questo ménage, nessuno lo sa, questi bambini sono inesistenti per la società che non si accorge di loro, il regista ci fa respirare il vuoto che li circonda.
Il caso è di cronaca: “Nel giugno del 1988 il proprietario di un appartamento in affitto a Tokyo, sospettando che vi abitassero solo dei bambini, non avendo più visto la loro madre, chiamò la polizia. Furono trovate due bambine, di 7 e 3 anni, in condizioni di grave malnutrizione, e il corpo di un bambino appena nato, nascosto in un sacchetto di plastica. Più tardi fu rinvenuto il fratello più grande, di 14 anni.”, Nessuno stupore, cose così accadono, ma quel che conta è la scelta stilistica di Hirokazu Kore-eda, il suo intento espressivo nel coinvolgere chi guarda con micro-variazioni sul tema.
Nulla di esibito, solo primi piani sul viso di Akira nei momenti più significativi e il tempo che passa assolutamente vuoto e senza prospettive. Nessun rimando allusivo, quei bambini vivono come credono sia la vita e non hanno reazioni, piuttosto cercano di incunearsi in quella nicchia di sopravvivenza con un silenzio remissivo, che fa crescere nello spettatore un profondo senso di disagio.
S’instaura così un dialogo percettivo lungo il quale si consolida un’empatia totale con quelle vite sconosciute.
Resta, alla fine, uno smarrimento profondo misto a dolcezza nel vederli camminare insieme, ancora uniti, ora sono solo quattro, ripresi di schiena nel fermo immagine che chiude il film.

Nobody Knows

titolo originale:Daremo Shiranai

Giappone 2004 durata 141’
regia di Kore-eda Hirokazu

con Yagira Yûya, Kitaura Ayu, Kimura Hiei, Shimizu Momoko, Kan Hanae

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