C’era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan

Notturno nelle steppe dell’Anatolia.

Scoprire “cosa c’è di luminoso nella notte, cosa c’è di notturno nella luce… fino alla schizofrenia, il mito del mondo scisso e capovolto[1]

La mdp avanza lentamente verso i vetri sporchi di un tugurio miserabile, un vecchio garage, forse, fuori copertoni ammassati, dentro tre uomini mangiano intorno ad un tavolo basso, bevono raki, ridono, un televisore è acceso, un cane randagio abbaia. L’uomo con la camicia gialla, corpulento, gran baffoni neri, apre la finestra sporca, guarda il cielo, sta tuonando, esce a portare avanzi al cane e gli fa una carezza.

Un Tir entra in campo da destra e copre la scena. Scende il buio totale, il silenzio profondo della notte, quando i demoni compiono la loro danza macabra.

”Un giorno uno potrà dire: una volta in Anatolia, lavoravo in campagna. Mi ricordo di quella notte in cui accadde questo.Potrà raccontarla come una favola…eh? non è vero dottore? ”

Un giorno qualcuno racconterà che c’era una volta in Anatolia un mito, una storia di tutti i tempi, di uomini che tradiscono, si odiano, si ubriacano e si ammazzano, una storia di colpa ed espiazione, di vento e di nuvole cariche di pioggia, di rosse e lucide mele che cadono nell’acqua e rotolano sul pendio, di tuoni lontani, “piove da matti a Igbedeli, dottore…”, e di tre macchine a fari accesi un’intera notte per strade sterrate, a cercare un corpo, quello dell’uomo in giallo.

Kenan (Firat Tanis) e Ramazan (Burhan Yildiz) hanno confessato l’omicidio, erano ubriachi quella notte in garage, non ricordano dove l’hanno interrato.

I due fratelli caricati su macchine diverse con manette ai polsi, il detective di polizia Naci (Yilmaz Erdogan) il dottor Cemal (Muhammet Uzuner) il procuratore Nusret (Taner Birsel) un autista e un uomo con un computer portatile che digiterà il verbale si muovono sulla pianura ondulata, che la fotografia di Gökhan Tiryaki riprende in panoramiche e campi lunghissimi.

La carovana procede a tappe, solo la luce dei fari e la luna che appare e scompare tra le nuvole.

Primi piani su facce impietrite, chiuse nei pensieri, soste e brevi discorsi, si parla, a volte, per non sopportare il silenzio, e poi di nuovo partenze, e ancora lunghe panoramiche di luoghi sempre uguali, una vecchia fontana e un albero tondo sono i soli indizi nella nebbia del ricordo ubriaco.

Una ricerca estenuante, a tratti isterica, uomini sempre più stanchi, spinti da una corrente invisibile.

Colori, volumi, linee e pensieri si fondono, gli uomini con le loro parole accartocciate e l’eco infinita che si sprigiona da esse, occhi che sembrano ciechi nella notte guardano lucidi dentro un abisso infinito di dolore o si posano adoranti sulla bellezza, afferrano un fotogramma fulmineo, un bambino che mangia, solo, ha lanciato una pietra al padre assassino e diventa pietà, che è una specie di amore.

E’ un mondo che ha perso la strada nella notte quello che Ceylan descrive con voce di poeta,  e la bellezza spunta dove non serve, con la figlia del sindaco che porta il thé agli uomini stanchi, nel luogo dove appassirà senza gioia.

Un figlio nasce dove non dovrebbe, una donna ha amato chi non avrebbe dovuto, un’altra è morta il giorno in cui ha deciso di farlo, l’ignoranza crede ai miracoli, la scienza li smonta e porta la disperazione, meglio credere alle favole, anche se dolorose, che piegarsi sotto il carico della propria colpa.

Questi uomini vagano nella notte, fasci di luce gialla rompono l’oscurità piena del canto dei grilli, del tuono lontano e del sibilo del vento. Un treno taglia l’orizzonte con i finestrini illuminati.

Nella luce dell’alba, pallida, stanca, rauca di sigarette e gonfia di sonno, appare il cadavere incaprettato con la terra nei polmoni.

Bisogna dirlo nel referto dell’autopsia, dei polmoni e della terra. Il dottore decide di no.

La telecamera segue flussi analogici, libera dettagli e ricompone scenari.

Il silenzio della notte è il silenzio dell’anima, plastico, tangibile, in certi momenti insopportabile, e allora bisogna parlare di yoghurt di bufala, quello che si taglia a pezzi, o di straordinari, e se verranno pagati, offrire un biscotto al procuratore, dimenticarsi…

In meno di 100 anni, Arab, non ci saremo, né tu, né io, né il procuratore o il capo della polizia. Bé, come dice il poeta, passeranno gli anni e di me non resterà alcuna traccia. Oscurità e freddo avvolgeranno la mia anima stanca…”

Ceylan e la sua straordinaria capacità di rappresentare l’indicibile, come la musica, come la poesia

Sento cadere le pietre che abbiamo gettato,

cristalline negli anni. Nella valle

volano le azioni confuse dall’attimo

gridando da cima a cima degli alberi, tacciono

nell’aria più leggera del presente, planano

come rondini da cima

a cima dei monti finché

raggiungono l’altopiano più remoto

lungo la frontiera con l’aldilà.

Là cadono

le nostre azioni cristalline

su nessun fondo,

tranne noi stessi.[2]

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[1] P.Citati, La luce della notte, 1996

[2] T. Tranströmer, Poesia dal silenzio, 2001

 

titolo originale: Bir zamanlar Anadolu’da

Turchia 2010 durata 150’

di Nuri Bilge Ceylan

con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mumtaz Taylan, Muhammet Uzuner

 

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