Dogman di Matteo Garrone

 Il legame con il fatto di cronaca è solo il punto di partenza, il film poi prende una direzione del tutto autonoma e indipendente. Non ho nessun interesse, nessuno, a ricostruire le cose come si dice siano andate”.

Matteo Garrone lo ribadisce anche sulla Croisette:

Non ho mai voluto incontrare i reali protagonisti, mi dispiace anche che questo film riporti sui giornali quel tremendo avvenimento, ma sento di poter dire che per me lo spettatore ideale di questo film è quello che non sa nulla di quella vicenda, non ci deve essere nessun accostamento. Come sempre, quando scriviamo una storia, cerchiamo di fare in modo che sia universale. Chi vuole andare a vedere questo film perché vuole ritrovare aspetti cruenti, sanguinolenti, è meglio che non vada perché rimarrebbe deluso. La violenza c’è, ma è una violenza più psicologica, legata all’incubo di chi vive con un’indole pacifica e rimane incastrato in meccanismi di violenza che gli sfuggono e non sa come uscirne

Assolutamente vero, Dogman sta alla storiaccia del “canaro” (Pietro De Negri), fatto di cronaca avvenuto a fine anni ’80 alla Magliana di Roma, come la Crocifissione di San Pietro di Caravaggio potrebbe stare alle storie dei martiri cristiani. 

Lasciato da parte il biopic, bloccato l’interesse morboso per le storie criminali, resta sulla scena un piccolo eroe molto bressoniano, Marcello (Marcello Fonte) , il dogman, l’uomo che amava uomini e cani ma poi dovè limitarsi ai cani .

Il close up sul pitbull ringhiante in apertura e la lenta zoomata su Marcello e il suo sguardo smarrito alla fine chiudono il cerchio, la storia finisce e tutto ricomincerà come sempre nei mulini della mente.

Round, like a circle in a spiral…

Marcello è dogman, l’uomo dei cani, ma sarebbe più adatto tradurre l’uomo-cane. 

L’insegna a caratteri cubitali sulla porta del negozio è teneramente pretenziosa visto il contesto: Villaggio Coppola, Castel Volturno la location, un girone che Dante avrebbe volentieri inserito se solo avesse varcato la linea gotica scendendo verso sud.

Razze canine di ogni forma e dimensione passano nel suo grigio laboratorio di toelettatura e lui le cura con un amore disumano, perché gli umani non sono degni dell’amore di un cane, dunque amore disumano.

Un amore disumano lega Marcello anche ai suoi simili, la figlioletta dolce come lui, frutto di un matrimonio fallito, gli amici del quartierino che gli vogliono bene, così almeno dice lui, e Simoncino (Edoardo Pesce), un bestione ex pugile che più che parlare grugnisce e tira ganci micidiali.

 

Simoncino si fa di coca, ruba in appartamenti temporaneamente vuoti di proprietario e forniti di cagnetto urlante che lui infila nel freezer così non rompe, sfascia la macchina del bar che non gli dà i soldi che gioca e rompe la faccia di chiunque si metta sulla sua strada. Tutti lo vorrebbero morto ma si sa, in questi casi prevale il “mi no vo a combatar”, detto veneto di universale valenza quando si tratta di passare dal dire al fare, e tutti sono buoni a dire.

Marcello invece non dice, farà. In qualche modo Dogman è una storia di formazione, anche se all’incontrario.

Marcello è il buono, il coglione, dice il poliziotto, il papà affettuoso, l’amico che va in galera al posto tuo pur di non tradirti, quello che chiama “amore” i cani con la sua vocetta incredibile, sembra un campanellino stonato, quello che, unico, ha un codice d’onore e finirà per essere chiamato “infame”.

Marcello farà quello che nessuno è capace di fare, tanto meno la forza pubblica. Anzi, della forza pubblica Marcello sperimenterà l’ottusa diligenza nell’applicare le regole e passerà un anno in galera, un passaggio su cui Garrone glissa volentieri, basta la frase del commissario “Lo sai quello che fanno in galera ai coglioni come te?”. La violenza in Dogman, quella più vera e straziante, è quella che non si vede, sangue ne scorre poco, ed è il meno.

Film di robusta durezza e dolcezza infinita, il valore più solido è nella gestione dei contrasti, tutti talmente stridenti da raccapricciare, eppure ogni volta bypassati, mediati da questo personaggio così anomalo, una specie di angelo caduto nel fango, tanto disarmato da essere costretto anche lui, come un cane, a mostrare i denti, alla fine.

In una realtà così Marcello potrebbe sembrare un minus habens, e forse un po’ lo è, con quegli occhioni spalancati e il sorriso ingenuo di chi crede si possa voler bene all’umanità.

Quando nell’alba livida resta solo con il cadavere dell’ex amico, una morte necessaria e un tributo ad amici che lo hanno rifiutato, in quel piazzale dei giochi infantili sgangherati al centro del villaggio, sullo sfondo di palazzoni grigi, alle spalle un mare che dà brividi più che piacere, a quel punto Marcello ha capito e l’innocenza del suo sguardo sul mondo è sparita.

Ora è un cane allo stato brado, costretto a colpire per difendersi, azzannare per non essere azzannato.

Ma non lo sapremo mai, i titoli di coda scorrono e quello che resta è il ricordo di un uomo buono e fedele, come può esserlo un cane.

Dogman

Italia Francia 2018 durata 102′

Regia di Matteo Garrone

 con Marcello Fonte Edoardo Pesce Nunzia Schiano Adamo Dionisi Francesco Acquaroli Alida Baldari Calabria

Gianluca Gobbi

Soggetto: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone

Sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone

Fotografia: Nicolaj Bruel

 

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