Hana bi – fiori di fuoco di Kitano Takeshi

“…ho scritto una storia in cui si parlava di persone che provano a sfuggire il loro crudele destino che contrastava con il loro sentimento di eternità, ed ho provato a renderlo visibile con Hana bi…”

Fiori di fuoco, hana bi, fiori che i fuochi d’artificio formano nel cielo notturno sul mare, fiori dei proiettili che esplodono, allargando sui corpi rosse corolle di violenza, fiori che dissolvono la loro consistenza reale e riappaiono nella stilizzazione di un dipinto, fiore rosso sangue del colore con cui Horibe cancella l’ideogramma di “suicidio” dipinto su un paesaggio innevato.

Il contrasto è la cifra del film, nasce nel titolo e si irradia nella vicenda che vive di opposizioni, ritratte da un montaggio rigoroso, geniale, che mentre sembra disorientare con i continui salti temporali, sta in realtà indicando chiavi di lettura altre per tradurre la complessità del reale, dando forma all’indicibile.

Vite disperate attraversano la scena quasi in silenzio, il mondo di Kitano è quello in cui la parola perde significato, è il teatro dell’anti-retorica, dove il segno non è più verbale ma cromatico, materico, fortemente contornato, plastico, e il sonoro è quello del mare, del vento, del traffico o del crepitare dei proiettili, un mondo dove lo scherzo stralunato può convivere con tocchi di malinconica poesia.

La musica di Hisaishi alimenta il linguaggio delle immagini in un circuito di forte valenza simbolica, e strade sonore entrano nel silenzio di quei corpi assorti, parlano dove il lessico quotidiano non può più tradurre, è povero.

Horibe condisce di epiteti insultanti le frasi che rivolge all’autista, carica di ruvida dolcezza quelle per la figlioletta che non può portare al luna park (lo aspetta un appuntamento con il fuoco dei proiettili), ma troverà la sua voce vera nella pittura, dopo aver sostato a lungo di fronte al mare, immobile nella sua carrozzella di invalido.

Beat Kitano è Nishi, un poliziotto taciturno, duro, una vita chiusa in una spirale di morte: ha perso la figlioletta e la moglie è malata terminale, il collega Horibe è paralizzato dopo una sparatoria, un altro, Tanaka, è morto in uno scontro a fuoco, lui è preda degli strozzini yakuza e ha dovutolasciare il lavoro.

Il suo viso è una maschera impassibile, un leggero tic sulla parte destra segnala livelli di guardia prossimi a saltare, gli occhi, coperti il più delle volte da occhiali, fissano un punto di fuoco mentre impercettibili variazioni preparano l’esplosione fulminea, devastante.

Rapina una banca (la sequenza, straniante, lunare, è mostrata attraverso la registrazione delle camere di sorveglianza), il denaro servirà per estinguere i debiti, aiutare la vedova di Tanaka e l’amico Horibe. Poi partirà con la moglie per un ultimo viaggio lungo il Giappone, attraverso tutte le stagioni.

E’ la seconda parte del film e il monte Fuji si staglia due volte brevemente sullo sfondo con la cima innevata (“Vano è cercar parole, non v’è un nome degno di lui. Che sia un misterioso kami?” diceva Mushimaro), genio tutelare avvolto da dense brume alle pendici. Scorrono le stagioni, i loro colori, i ciliegi in fiore in primavera, i fuochi d’artificio d’estate, il vento d’ autunno sulla spiaggia, l’inverno con ghiacci e distese innevate su cui si stagliano, nitide e nere, le ombre.

Quello che di buono portano i soldi della rapina (mai rapina fu più asettica e condivisa) è detto con rapida efficacia, e il mondo si compone ora di nuovo dei suoi elementi primari (aria, terra, fuoco, acqua), visioni di natura al confine tra reale ed irreale incorniciano la vicenda umana di Nishi e sua moglie che non può che andare verso quell’ unico epilogo.

Il paesaggio è ora presenza costante, in una vocazione naturalistica assecondata dall’indugiare del colore a creare trasparenze, tessere con pennellate dense larghe campiture, creare fitte corrispondenze fra realtà e immagine pittorica, in una vera galleria di dipinti d’autore.

Oggetti immediatamente tangibili, cromaticamente netti e scanditi, fiori coloratissimi in primi piani di fisicità piena e rigogliosa, convivono sulle tele che sfilano sullo schermo, con trasparenze marine, nuvole enigmatiche, figurine come ritagliate da bambini che guardano l’aquilone (non è un caso che Kitano citi Chagall fra i prediletti e Picasso che “ ha provato a mettere la tridimensionalità del mondo nella bidimensionalità del quadro”)

L’arte là dove la vita sembra brancolare nel buio.

Si può, e lo farà Horibe.

O piuttosto usare gli ultimi due proiettili in canna, dopo aver aiutato una bambina a far volare l’aquilone sulla riva del mare.

Hana-Bi – Fiori di fuoco

Giappone, 1997, durata 103’

di Takeshi Kitano

con Takeshi Kitano, Kayoko Kishimoto, Ren Osugi, Susumu Terajiama

 

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