Happy 75th Anniversary, CASABLANCA!

Una voce fuori campo da notiziario cinematografico d’epoca, un mappamondo ruotante, quindi una mappa che segna il percorso da Parigi a Marsiglia, Orano e infine Casablanca. 

Da lì, dice la voce, chi riusciva partiva per Lisbona e quindi s’imbarcava per l’America, “la libera America”, naturalmente (il cinema hollywoodiano non rinuncia mai all’autoincensamento, ma per quei tempi c’era poco da scegliere).

Questo è l’inizio, e l’antefatto storico (l’Europa devastata dal nazismo) è costruito in pochi fotogrammi, la sintesi è uno dei pregi di Casablanca.

Il set farà ora base, per circa due terzi della durata, nel Rick’s Café Americain, uno di quei microcosmi di avventurieri, fuorusciti antifascisti, ricchi profughi, poliziotti francesi con pochi scrupoli, piccoli scippatori, “segnorine” in cerca di polli da spennare di cui pullulava l’Europa dei fascismi e della guerra.

Zona franca, o quasi, nel Marocco protettorato francese, dove i nazisti arrivavano più da avventori nei locali alla moda che da dominatori, provavano ad intonare le loro marce di morte ma dovevano arrendersi al coro dei clienti che ribatteva a gran voce con la Marsigliese, dove il clima reazionario del regime di Vichy si avvertiva annacquato (la bottiglia di Vichy Water che il capitano Renault butta nel cestino sul finale del film non poteva essere più emblematica), il Rick’s Café è il luogo in cui la straordinaria storia d’amore di Richard(Bogart) e Ilsa (Bergman) ritroverà la strada perduta un giorno, alla stazione di Parigi, dove lui, in fuga dai nazisti che marciano sulla città, aspetta la donna che non arriverà, e la pioggia cadrà sul biglietto sciogliendo l’inchiostro: “Richard, I cannot go with you or ever see you again. You must no ask why…”.

Il lungo flashback nella Parigi alla vigilia dell’occupazione ci dà la misura dell’amore fra i due protagonisti, prefigurando anche il loro destino di separazione, affidato ad un treno allora, ad un aereo che vola in America alla fine.

Rick ora è il proprietario del Cafè Americain a Casablanca, un Humphrey Bogart elegantissimo, smoking dal taglio impeccabile, sigaretta sempre accesa, sguardo di ghiaccio e battuta micidiale (“Ieri erano solo due impiegati tedeschi, oggi li chiamano già eroi” dice dei due funzionari assassinati da Ugarte per le preziose lettere di transito di cui Rick entrerà fortunosamente in possesso).

In questa realtà di frontiera, il nostro eroe vive in equilibrio col mondo che lo circonda, mentre un perfetto self control gli consente di arginare incursioni nel suo mistero, dove le ombre lunghe di un passato che gli ha meritato l’odio nazista sono accuratamente tenute nascoste dalla patina di dandy déraciné che si è costruita. Ha un solo, vero amico, ed è Sam, il pianista nero che l’ha seguito da Parigi, portando le valigie e il messaggio di Ilsa, mentre la pioggia infradiciava l’impermeabile di Boogie. E’ lui a riconoscere Ilsa, una Bergman bella in modo a dir poco leggendario, che entra nel locale vestita di bianco insieme a Victor Laszlo, nobile figura della resistenza cecoslovacca, il marito allora creduto morto e miracolosamente rientrato nella sua vita in quei giorni a Parigi, quando insieme esplode e dovrà essere sacrificato l’amore per Rick.

Siamo ora nel clou del film, tutto porta lì, in un’attesa che si scioglie nell’incontro, nel riconoscimento, nella musica.

Play it, Sam. Play “As time goes by” … ”Non ricordo signora. Mia testa un poco stanca” dice Sam, ma Ilsa, “Su, te l’accenno io. Da-dy-da-dy-da-dum, da-dy-da- dee-da-dum…” e Sam comincia a suonare.

Canta Sam” sussurra Ilsa, e Sam “ You must remember this / A kiss is still a kiss / A sigh is just a sigh / The fundamental things apply / As time goes by. / And when two lovers woo, / They still say, “I love you” / On that you can ….”

Ma Rick, arrivando, “ Sam, Non ti avevo detto di non suonarla più?”….

Ilsa e Rick si riconoscono. Siamo allo scioglimento di tutti i nodi.

Victor e Ilsa hanno bisogno di quelle lettere di transito per salvarsi, Rick le ha nascoste nel piano di Sam e il capitano Renault non le ha trovate nella perquisizione del locale (“Colpa mia che non amo la musica!” esclama quando lo scopre, aggiungendo una pennellata al clima di divertita leggerezza che spesso aleggia nelle scene del film e che Claude Rains sa bene come dosare), l’amore riesplode come una volta, ma le tempeste della Storia non consentono a piccoli uomini di vivere nei sogni (“I problemi di tre piccole persone come noi non contano in questa immensa tragedia”).

Le lettere salveranno la coppia e Bogart darà l’ultimo tocco alla sua figura di eroe solitario e romantico ( “Avremo sempre Parigi”) che rinuncia alla donna ma non ai suoi ideali.

Film leggendario, Casablanca è frutto di un artigianato cinematografico come poche volte capita d’incontrare. Girando con ogni sorta di problemi e ristrettezze, alle prese fino all’ultimo con la decisione fra quattro finali diversi, Michael Curtiz, con la collaborazione di Julius e Philip Epstein e Howard Koch, famosi per la sceneggiatura ricca di battute memorabili del testo teatrale di Murray Burnett e Joan Allison Everybody Comes to Rick’s, mai messo in scena, dà un piglio leggero all’insieme senza nulla togliere all’ intensità delle emozioni, miscela con misura gli ingredienti attraverso l’uso sapiente del montaggio alternato,fa convivere in giusto dosaggio spy story e storia d’amore, dramma storico e vicende private. La malinconia è l’accordo dominante, intride di sé la fragilità di uomini in balia delle leggi della Storia, segna i caratteri e sottolinea, per contrasto, la loro capacità di eroismo.

A questa storia manca ancora il finale” dice Rick a Ilsa.

Il finale saranno le otto nomination e i tre Oscar per miglior film, regia e sceneggiatura non originale che Casablanca ha ricevuto nel ’44.

Oggi è al terzo posto nella classifica mondiale dei capolavori cinematografici.

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Casablanca

USA, 1942, b/n, durata 102’

regia di Michael Curtiz

con Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Claude Rains, Peter Lorre, Dudley Wilson

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