La cerimonia di Oshima Nagisa

Opera complessa eppure rarefatta e scarnificata, Gishiki racchiude in una parola il senso di una società, quella giapponese, in una fase storica, il secondo dopoguerra, segnato dal tramonto dell’impero e dunque dalla perdita di un’identità secolare, distrutta dalla sconfitta e dall’umiliazione, preda di un sentimento di frustrazione che la lunga storia raccontata da Masuo, protagonista e voce-narrante, trasmette in ogni piega.

L’impotenza dell’anima giapponese, il suo reagire al disagio esistenziale rifugiandosi nella reiterazione paralizzante di cerimonie così maniacali da arrivare fino alla grottesca messinscena di un matrimonio senza la sposa, le contraddizioni di un sistema incapace di governare i tempi nuovi rifiutando alternative posticce, quando non addirittura snaturanti, sature di americanizzazione (imperdibile, a questo riguardo, tanta parte della filmografia di Kurosawa e Mizoguchi degli anni cinquanta, documenti visivi e interpretativi di una svolta epocale di portata enorme anche per i riflessi sul piano internazionale), l’inettitudine dei movimenti progressisti di sinistra nell’interpretare le reali esigenze del popolo e delle masse giovanili, tutto converge in un film pervaso da un simbolismo funesto quando non addirittura intriso di satira indignata, e i temi prediletti di Oshima, storia, politica, sesso e morte, sono tutti presenti in un affresco corale, che mette in scena l’eterno problema dell’uomo e del suo destino nel mondo.

Girato nel ’71, dieci anni dopo Notte e nebbia del Giappone, ha sullo sfondo ancora un rinnovo del trattato di sicurezza nippo-americano. Quello fu anche l’anno del pubblico seppuku di protesta di Mishima, ma Oshima ora sceglie la satira e fa cantare una strana Internazionale giapponesizzata dalla sposina durante una delle tante cerimonie, il matrimonio dello zio comunista, figura non si sa se più patetica o comica.

Dell’impegno politico estremista, già proiettato verso il terrorismo del cugino Tadashi, non resta che una specie di “comunicazione strategica”, modello Brigate Rosse. di cui vengono letti brandelli dopo la sua morte, avvenuta però solo per un incidente d’auto:

Il piano per la riorganizzazione del Nuovo Giappone.

Piano della rivolta.

Primo: acquisizione delle armi dai nostri amici che lavorano per la polizia, le pistole da ognuno di loro, le armi di base da ogni sezione.

Secondo:i depositi di munizioni della polizia e dei nostri compagni che lavorano in questi depositi….

Bersagli dell’attacco:b)tutti i segretari di Stato e i membri del Parlamento:condannati a morte.Tutti gli impiegati dei ministeri e quelli provinciali…lavori forzati…..”

C’è una frase di Kazuomi, inflessibile despota della potente famiglia Sakurada, che fornisce una buona chiave di lettura del film:

“E non pensi che dovremmo finirla con tutta questa verità?”

Nella domanda traspare il bisogno di fuga dalla realtà, la necessità della compromissione e l’inevitabilità della menzogna di una società travolta da una delusione storica e costretta ad un bilancio arduo, e forse fallimentare, sommersa com’è da memorie immodificabili e tradizioni che la irrigidiscono in una ritualità ossessiva.

La storia è raccontata da Masuo Sakurada.

Nato in Manciuria, è tornato da bambino con la madre nel grande clan giapponese dopo il suicidio del padre, nel ’46, seguito alla rinuncia al potere da parte dell’Imperatore.

L’uccisione del fratello minore in Cina, una morte misteriosa, tremenda, forse sepolto vivo, è stata rimossa ma continuerà a scavare profondamente nella sua psiche, spingendolo al gesto ripetuto, ostinato, di ascoltare chino a terra le voci del sottosuolo.

Nel delirio che segue alla morte del nonno, quando ormai il suo destino di erede e futuro despota è segnato all’interno di una famiglia che ha dolorosamente subito e da cui non è mai riuscito a fuggire, avverrà adirittura un’identificazione con quel fantasma:

E’ pesante, doloroso, il terreno che cade su…sono sepolto,sotterrato, pian piano il mio respiro… è doloroso, soffoco… Ma sto bene. No… comincio ad affondare… I miei occhi si chiudono. E’ il terreno, l’odore del terreno.

Le mie orecchie si chiudono, la bocca è piena di terra.

I fori del mio corpo sono sigillati, la terra non può più staccarsi dal mio corpo, in superficie qualcuno ascolta la mia voce, mio fratello grande… no, io…”

Masuo ha trentasette anni ed è in viaggio con la cugina Ritsukô verso un’isola sperduta nella quale si è autoesiliato da anni il suo più caro amico Terumichi, marito della donna, per sfuggire all’oppressione dei Sakurada.

Un telegramma gli ha annunciato la decisione di Terumichi di volersi suicidare. Troveranno il corpo nella baita vuota, da cui è stato cancellato ogni segno di vita, e un messaggio:

Sono l’unico che può continuare la stirpe dei Sakurada. Uccidendomi ho distrutto la famiglia Sakurada”

In un lungo riepilogo doloroso della memoria, fatto di flashback che si susseguono mentre il viaggio va avanti lento, con la donna che lui ha sempre amato e non ha mai avuto, mentre dialoghi scarni segnano una distanza che appare incolmabile, riaffiora un quarto di secolo, a partire dal tragico dopoguerra, segnato da sottomissione, cieca obbedienza all’orgoglio di una casta da preservare, adesione alle regole ferree di un cerimoniale che con la formalità del gesto ha negato ogni libera espressione di umanità e coperto di silenzio voragini di ipocrisia e perversione.

Atmosfere rarefatte, lenti movimenti di macchina, una fotografia gelida, composta, che ritrae ambienti di rigorosa perfezione formale, entro cui si consuma una liturgia severa come un rituale di morte, La cerimonia è l’ allegoria  di un’umanità sconfitta al passaggio della Storia, sintesi  di una cultura, delle sue rimozioni e del suo istinto di morte, opera complessa, multiforme, densa, da decifrare.

La scelta atonale di Toru Takemitsu nella costruzione della colonna sonora carica la scena di una forte componente emotiva, con accordi acuminati, brevi e improvvisi salti melodici, pause di silenzio e momenti musicali distesi, e converge coerente con la sintassi di un film un film intenso, radicale, stratificato, doloroso.

La cerimonia

titolo originale: Gishiki

Giappone 1971 durata 122’

regia di Oshima Nagisa

con Kawarazaki Kenzo, Nakamura Atsuo, Koyama Akiko

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