L’idiota di Kurosawa Akira

Dostoevskij voleva ritrarre un uomo intrinsecamente buono. Paradossalmente scelse come eroe un idiota. Ma un uomo veramente buono può apparire come un idiota agli altri. Questa è la tragica storia della rovina di un uomo puro e semplice.

La didascalia scorre mentre, sul traghetto che li riporta ad Hokkaido, Kameda e Akama s’incontrano e il tracciato segnato per loro dal destino comincerà da qui il suo corso.

Akama è attratto dall’innocenza indifesa di Kameda (“erano molti anni che Akama non rideva … stranamente prese in simpatia Kameda perché lo faceva ridere”).

Kameda, trasposizione del principe Myskin dalla Pietroburgo aristocratica di secondo ‘800 alle nevi di un Giappone del dopoguerra, è reduce dal plotone di esecuzione a Okinawa a cui è scampato in extremis, si trattava di un errore giudiziario.

Lo choc l’ha reso idiota, demenza epilettica, racconta lui stesso, le mani strette al collo in un gesto di difesa che raramente abbandonerà.

La visione della morte a due passi ha annullato la sua vita precedente, “dopo, tutto mi è diventato irreale dirà alla giovane Ayako, una delle due donne-chiave del film, “il mondo, le persone, ogni cosa mi è diventata improvvisamente cara.Ogni persona che avevo conosciuto, che avevo incrociato”.

Al centro della vicenda, l’amore di entrambi gli uomini per Taeko, bellissima cortigiana venduta dal protettore al mediocre Kayama, donna capace di scatenare passioni estreme, come quella di Akama, che riuscirà ad averla gettando nel piatto una cifra enorme.

In un mondo dove tutto sembra ridotto a transazione commerciale e ad abili soprusi a spese di sprovveduti (le proprietà di Kameda sono state alienate durante la sua assenza), due anime s’incontrano dove mai si penserebbe possa accadere, nel ricco salone delle feste dove Taeko è in vendita.

Kameda parla a Taeko “come nessuno aveva mai fatto prima, e quegli occhi pieni di tristezza che l’hanno ipnotizzato nella foto esposta in una vetrina vicino al porto sono gli stessi del giovane di neppure vent’anni giustiziato davanti a lui, quel maledetto giorno a Okinawa. Per quest’ uomo diverso, idiota perché non rincorre successo e denaro, quella donna non è da comprare ma da capire e amare.

Il grande drammaturgo Kurosawa trasferisce in questa scena centrale, con immagini di rara efficacia espressiva, tutta la sottigliezza e la complessità dell’animo dei protagonisti, creando forti contrasti fra i primi piani e lo sfondo corale di una società ottusamente cinica, incapace di capire le ragioni dell’uomo “assolutamente buono”, che solo l’esperienza dolorosa di Taeko saprà sentire vicino.

Ma Taeko è anche la donna che “ha sofferto troppo, al punto di sentirsi in colpa se non soffre”, dirà Akama, e la bontà di Kameda sarà la sua condanna e la sua rovina, dono incomprensibile per un mondo che la chiama idiozia.

Film della durata complessiva di 265 minuti, tagliato dalla casa di produzione Shochiku di oltre un’ora persa purtroppo per sempre (il regista tornerà a lavorare con loro solo con Rapsodia in agosto), mantiene intatto, nonostante tutto, il potere fascinatorio affidato in gran parte ad un’ambientazione quasi onirica, allucinata, tra i ghiacci di Sapporo, scenario asettico di una storia individuale tragicamente inadeguata al livello medio del vivere quotidiano.

Era un uomo troppo buono per questo mondo – dirà Ayako – se almeno sapessimo vivere amandoci l’un l’altro invece di scannarci. Dovevo essere impazzita, l’idiota sono io!”

L’idiota

titolo originale: Hakuchi

Giappone 1951 durata 166’  b/n

regia di Kurosawa Akira

con Masayuki Mori, Setsuko Hara, Toshiro Mifune, Yoshiko Kuga, Takashi Shimura

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