Non torno a casa stasera di Francis Ford Coppola

Non torno a casa stasera, un gran Coppola del ’69, si riesce a guardarlo quarant’anni dopo senza pensare  che sia datato, che quella fase storica sia ormai roba vecchia, che i vestiti di Natalie, che vuol farsi credere Sara, siano passati di moda e poliziotti un po’ romantici e un po’ squinternati come Gordon sulle highway federali oggi è proprio difficile incontrarli.

E’ un film che parte bene giò dal titolo, questa volta quello italiano supera di parecchie lunghezze l’originale.

Di solito gli uomini dicono “vado a comprare le sigarette”, in Heimat Paul dice “vado per una birra” e sparisce in America per 18 anni.

Lei, la biondissima e magnificamente semplice Shirley Knight, loock non levigato e finto casual odierno, lascia invece un biglietto al marito che dorme, passa dai genitori ancora più rompipalle del marito, poi finalmente si decide a partire ma, la prima cosa che fa, appena intercetta un autogrill, è telefonare al marito per dirgli che non tornerà quella sera, e forse neanche per qualche giorno, che è incinta e che … non sa bene neanche lei perché, ma prima sentiva che la vita era sua, ora non più e la cosa le crea qualche problema.

Questo sì, forse, oggi è datato, non che il problema sia sparito, è stato solo tranquillamente derubricato come “insolubile”. 

Una volta si facevano interminabili viaggi on the road, su quegli immensi spazi che solo l’America coast to coast era capace di allestire come set open, si vedeva bene che l’America non era solo il Central Park dello jogging o gli hotel lussuosi di James Bond, ma neppure c’erano Kerouac e Bourrough, tanto meno Peter Fonda, in ogni angolo.

L’America delle poverette incinte, messe in mezzo da uno squallido matrimonio con torta a quattro piani e destinate a figli uno dopo l’altro, è priva di accadimenti eccezionali. Restano le stazioni di servizio, la miseria e la sporcizia dell’hinterland, i motel lungo le strade fatti in fotocopia, mai uno diverso in qualche film, resta quel nodo alla gola che prende nel vedere quanta gente sia ridotta al rango di homeless e viva in roulottes come se fosse una cosa normale.

Su queste strade Coppola mette in scena un incontro di una bellezza sconvolgente.

Killer (soprannome), ex campione di rugby, ha perso la testa, nel senso che non ci sta più dopo un grave incidente di gioco. Mille dollari d’indennizzo e via, fuori dai campi e dalla vita.

C’è l’incontro con Sara/Natalie, c’è il caso che li fa incontrare e c’è tutto il resto da vedere, da non scoprire prima, è una scoperta delicata, un po’ per volta, condotta da un regista che di montaggio se ne intende parecchio, sintesi narrativa e scelta delle facce, suoni e colori, dialoghi e tagli nelle riprese, e così facendo la storia ce la racconta tutta, fino agli strati più profondi, basta saper dosare gli ingredienti e la vita vera appare attraverso la finzione.

Alla fine ci si rende conto che di eccezionale c’era ben poco, niente, qualche giorno a seguire un’automobile dallo Stato di New York al Nebraska, e non ci sfiora il minimo dubbio su come sarà poi finita la fuga di Sara/Natalie, neanche il minimo dubbio. Eppure restiamo in silenzio a pensare. 

Non torno a casa stasera

titolo originale: The Rain People 

USA, 1969 durata 97’

regia di Francis Ford Coppola

con Shirley Knight, James Caan, Robert Duvall, Tom Arledge

 

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