Onibaba di Kaneto Shindo

Un buco profondo e nero

la cui oscurità è arrivata

dalla notte dei tempi

fino ai nostri giorni”

Percussioni frenetiche e vibrazioni stridenti dell’ancia di un sax, un cerchio di luce occhieggia, lo vediamo dal fondo di un buco foderato da un tappeto di ossa umane, sentiamo il fruscio della vegetazione venire dall’alto. Fuori, la palude di susuki, come piume, steli di erba altissimi, un fitto agitarsi al vento, ora fili taglienti come lame di spade, ora masse sensualmente morbide, come curve di donna mollemente adagiata. Il bianco e nero sono netti, saturi, la scelta di Shindo è felice nel negare il colore a questo mondo primitivo a due dimensioni, in perenne oscillazione tra la vita e la morte.

Due samurai sono in fuga, uno trascina l’altro, ferito, due lame balenano fulminee tra gli steli, le assassine procedono subito alla svestizione dei cadaveri.Le armature dei samurai sono a pieno titolo protagoniste di Onibaba

XVI secolo, la guerra di Onin infuria con gli scontri fra i clan per il controllo sul territorio, siamo in pieno Sengoku jidai, l’“epoca degli Stati combattenti”. Due donne, suocera e nuora, vivono nella palude, rifugio di sopravvivenza, aspettano il figlio/marito partito per la guerra, e uccidere per vivere rimane l’unica alternativa possibile.Le armature sono merce di scambio; Hushi, il  ricettatore, le paga con pochi sacchetti di miglio.

E’ la guerra, e ogni guerra ha la sua borsa nera.

C’è una strana atmosfera di contrasti in questo andirivieni di gerle cariche di splendide katana e preziosi corredi del tipo tosei gusoku, moderne armature nate per resistere ai colpi di archibugi, sempre splendide nei bagliori e innesti di seta, semplici e facili da indossare, scambiate con il povero miglio ricevuto da un rude villano che si lamenta perché è finita l’epoca delle grandi battaglie e ora si vedono solo scaramucce.

E’ la guerra vista dai dannati della terra, uomini e donne ridotti alla pura sopravvivenza.

Una guerra che Shindo, allievo di Mizoguchi, fa sentire a distanza, ma incombente e minacciosa, in questa storia di vita e di morte, sesso e paura del soprannaturale, proiezioni di tradizione junghiana dell’inconscio sulla natura mescolate ad un vitalismo panico prorompente, che trova nell’appagamento dei sensi la sua armoniosa fusione con il principio buddhista dell’ anima mundi.

A rompere l’equilibrio del barbaro ménage fra le due donne arriva un giorno Hachi, compagno di ventura del figlio della vecchia, ucciso in un agguato.E’ sano e forte, sorprendentemente rispettoso e capace di aspettare il consenso della giovane vedova, ma comunque detentore di una forte spinta erotica, che nei momenti di maggior tensione si esprime in forsennate corse e urla nell’erba ondeggiante, in sintonia con la carica del suo desiderio.

La danza di corteggiamento, di singolare levità in un mondo abbrutito dal bisogno, si traduce in traiettorie di sguardi, brevi agguati fra gli alti steli, parole al minimo necessario, fino alle corse notturne della donna nel folto canneto per raggiungere l’amante, in fuga dalla suocera dormiente, vigile vestale della memoria del figlio.

Ma forse la “vecchia”, epiteto frequente che però mal corrisponde all’aspetto tutt’altro che vecchio della donna, tiene d’occhio il rischio che una relazione fra i due faccia fallire l’”impresa” domestica, ultimo baluardo di sopravvivenza, o, forse nella stessa misura, è mossa da rivalità inconscia e desiderio frustrato.

Shindo lascia aperte entrambe le letture, e la scena di lei che spia l’amplesso dei due e poi stringe con tormentosa vitalità il tronco di un albero è di grande eloquenza.La strategie che la donna userà per impedire che la relazione continui punteranno sulla paura da inculcare nella giovane, piuttosto ingenua e sprovveduta, e sarà questo il terreno di scontro su cui si misureranno le diverse visioni del mondo dei tre personaggi.

Al concreto materialismo laico di Hachi che afferma: “La gente ha fatto questo per migliaia di anni!”, la vecchia contrappone l’idea del peccato, in un inedito quanto fantasioso miscuglio di teologia cristiana orecchiata da un prete di passaggio (“La gente che compie dei peccati in questo mondo andrà in Purgatorio, dopo la morte…..esistono davvero gli Inferni, l’inferno di fuoco, l’inferno della furia, l’inferno dei peccatori”) e animismo, tradizioni ancestrali e superstizione: “… e la terribile montagna di aculei e lo stagno di sangue…la punizione per l’amore colpevole è la più terribile, anime con facce umane si muovono a quattro zampe e cadono nell’inferno dei peccatori. Lì sono torturate con tizzoni ardenti….”, per finire con un lungo sospiro rivolto a Buddha Buddha misericordioso….Buddha misericordioso” nel vedere la nuora poco convinta.

Il racconto buddhista La maschera di carne che spaventò una moglie a cui Shindo si è ispirato, fa ingresso a questo punto con lo spaventoso Menpô, la maschera che il samurai spesso indossava per proteggere il volto. Nel film si sceglie la variante Sômen, tipica delle armature da parata del periodo Edo, poco pratica da portare ma decisamente più spavetosa, perché copre l’intero volto con ghigno satanico. La diabolica suocera, dopo aver doverosamente ucciso e buttato nel buco nero il samurai di passaggio, un narcisista che non vuol farle vedere il volto perchè troppo bello per una contadina, la userà per terrorizzare la nuora in libera uscita di notte.

Il finale è travolgente, la maschera si attacca al volto della donna e ne uscirà come una maschera di sangue aiutata dalla nuora. Questa poi, terrorizzata dall’aspetto demoniaco della donna, fugge gridando “Demone!”La corsa finale delle due donne convergerà su quel buco nero.Una delle due lo supererà con un salto … l’altra chissà, l’opera è aperta.

E di Hachi cosa ne è stato? Di certo c’è che la guerra continua e la pena degli uomini è ancora grande.

Il grido straziante della vecchia “Sono un essere umano!” sembra rivolto a quell’ insensata e assurda vicenda che riporta l’uomo al suo stadio ferino, senza però privarlo dell’angoscia di sentirsi ancora uomo.

Onibaba

Giappone, 1964, b/n durata 103’

regia di Kaneto Shindo

con Otowa Nobuko (la donna), Yoshimura Jitsuko (la ragazza), Sato Kei (Hachi)

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