Quanto di grande c’è nei nostri cuori
torna a fiorire più bello,
non appena lo spirito si eleva
un coro celestiale risuona tutt’intorno.
Accogliete, anime belle, lietamente i doni dell’arte.
Quando l’amore si unisce alla forza
l’uomo è ricompensato dal favore degli dei.
J.Kuffner, scritto per la fantasia corale op.80 di Beethoven
La musica è l’anima di questo film, fino al Kyrie della sequenza finale che segue l’avanzare faticoso sull’autostrada livida, ripresa dall’alto, del camioncino che lascia dietro di sè la scia di sangue di Kang-do.
Per Pietà valgono le stesse parole scritte per Ag-o Crocodrile:
“Non ci sono finali consolatori né prospettive salvifiche, neppure in orizzonti lontani. Quando sembra che qualcosa cominci a funzionare, è lì che ogni speranza muore e un brivido scorre dalla testa ai piedi nel guardare quelle figure immerse in ombre azzurrine. Eppure il cinema di Kim – Ki –Duk ci lascia con una strana dolcezza addosso, e forse è vero quello che dice del suo cinema il regista “un processo per trasformare la propria difficoltà a capire in una possibilità di comprendere”.
Dopo Arirang Kim Ki Duk non poteva che fare un film così, lui scrive la sua vita usando il cinema, e la vita non ha copioni.
C’è dolore e amore, disperazione e felicità, in ordine sparso. Messaggi, simboli, letture socio-politiche, se ne potrebbe parlare all’infinito. Quello che conta è la capacità di penetrare dentro i suoi personaggi e sentire come loro.
Un film di una dolcezza infinita, come uno Stabat Mater
Corea del Sud durata 104′
regia di Kim Ki-duk
con Lee Jeong-jin, Jo Min-soo, Kim Jae-Rok, Jin Yong-Ok, Eunjin Kang
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