Signore e Signori … 50 anni dopo…

Unknown

L’occasione per parlarne è data da un anniversario, uno di quei compleanni che continuiamo a celebrare anche in morte, e non solo perché si tratta di persone celebri.

Il fatto è che con la morte abbiamo sempre un conto in sospeso, una partita a scacchi che non ci rassegnamo a perdere.

L’anniversario è quello di Luciano Vincenzoni, sceneggiatore, nato a Treviso il 7 marzo 1926 e morto a Roma il 22 settembre 2013 e Signore e Signori è uno dei suoi pezzi da novanta, anche se l’elenco dei suoi lavori è lungo e glorioso.

E poi Signore e Signori è uno di quei film che tutti dicono di aver visto (come i classici, diceva Calvino, chi oserebbe mai dire di non aver letto l’ Odissea o Guerra e Pace?).

Pietro Germi e Luciano Vincenzoni, Gastone Moschin e tutti gli altri, grandi attori ormai scomparsi e tutti insieme a disegnare un quadro tra vie, palazzi, botteghe e chiese che si chiamò Treviso, ma che si traduceva provincia italiana.

Un film amaro e gradevole insieme, dunque dolce/amaro, formula perfetta per farlo amare sempre da tutte le generazioni dei cinquanta anni successivi, un film autentico e insieme esagerato, di cui si può ridere ma dopo un po’ accorgersi che è di noi che sta parlando.

Molto della sua piacevolezza è nel suo slang, in quell’accento un po’ molle ed effeminato, levigato e affettato che è un piacere stare a sentire per strada, al mercato, quell’indulgere al dialetto anche se si hanno quattro lauree. Una specie di marchio di fabbrica.

Come dimenticare: “Signorina MilenaMilenaaaa…“ dell’impiegato di banca Bisigato/Moschin che chiamava così la bella Virna Lisi, giovanissima stella luminosa nel grigiore di salotti dove tremavano d’indignazione le siorete dedite ad opere di beneficenza?

Con Vincenzoni avevano collaborato alla sceneggiatura Age, Scarpelli e Flaiano, era il lontano 1965 e correvano tempi molto felici per il cinema italiano.

Una borghesia senza fascino discreto, un’Italietta sussiegosa e bigotta, pettegola e perbenista, tutta presa a far massa schej e lavarsi pile di panni sporchi in casa fu messa in scena quell’anno nelle sale d’Italia dalle poltrone di legno, quando al cinema si fumava, si entrava a qualsiasi ora e si vedeva il film anche iniziando da metà.

E poi si ripartiva daccapo, così si capiva meglio il film.

E da capire c’era molto, la città fu costretta a guardarsi allo specchio, ma naturalmente ognuno pensò che si parlasse dell’altro, del vicino di casa, dobbiamo alla capacità di autoassolversi la sopravvivenza dell’umanità.

Nessuno gridò allo scandalo né si auspicarono sequestri, indignarsi e offendersi sarebbe stato poco fine, il popolo della Marca gioiosa allora era quello di una città dove Comisso passeggiava con Parise e Montale, nelle chiese sparse ad ogni angolo a controllo dei varchi delle mura cinquecentesche di Fra’ Giocondo si potevano trovare le tombe di Pietro di Dante e Francesca Petrarca, Andrea Zanzotto era di casa e gli affreschi dell’urbs picta non erano ancora spariti del tutto.

E in Piazza dei Signori c’erano i piccioni, non i tavoli di pizzerie e bar fino a metà.

Bene, quella Treviso di cui Germi pensò bene di fare la bandiera della provincia italiana tout court, una specie di categoria del suo spirito godereccio e pretigno, città di brave donne dedite a opere pie e mariti dediti all’adulterio usa e getta, forse non è mai esistita, almeno nelle dosi massicce descritte nel film, c’era di tutto un po’ e ce n’è ancora, nessuno è così manicheo da separare il male dal bene, il passato dal presente.

Diciamo che oggi quella Treviso casereccia non c’è più, molte cose sono cambiate, tante ne sono successe, molte cose brutte, tante piacevoli, ognuno pensi quel che vuole, la ruota del tempo continuerà indifferente a girare.

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E allora Signore e Signori? Cinema, signori miei, non è storia, non è un trattato di antropologia, è grande cinema, da vedere e rivedere, senza dubbio. E alla fine ne sappiamo di più, questo è certo.

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Italia, Francia

durata 118′

Regia di Pietro Germi

Con Virna Lisi, Gastone Moschin, Nora Ricci, Alberto Lionello, Olga Villi

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