Kenneth Branagh Theatre Company Il racconto d’inverno di William Shakespeare

Red theater curtain

dramma in 5 atti – prima rappresentazione: London 1611

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Il Garrick Theatre, nel cuore pulsante di Londra, Charing Cross Road, West End, fu fondato nel 1889 in onore di David Garrick, considerato il più grande attore teatrale inglese.

Di recente restauro, ospita la Kenneth Branagh Theatre Company che, per conto di Nexo Digital con media partner Sky Arte HD, MYmovies e il sostegno del British Council, ha registrato in diretta per il cinema tre opere del cartellone annuale.

La prima recita, in programma il 18 e 19 ottobre 2016, è stata The Winter’s Tale di William Shakespeare; seguiranno il 29/30 novembre 2016 Romeo and Juliet diretto da Kenneth Branagh con Derek Jacobi, Lily James, Richard Madden e il 10/11 Gennaio 2017 The Entertainer di John Osborne, diretto da Rob Ashford con Kenneth Branagh, Jonah Hauer-King, Sophie McShera, Greta Scacchi.

Prima della prima

A sipario ancora abbassato, mentre la macchina fissa riprende dall’alto platea e palchetti che si vanno riempiendo, la voce di Branagh introduce le ragioni delle sue scelte di regia, il senso del connubio teatro/cinema e quello che dell’opera shakespeariana ha voluto trasmettere.

L’intento è stato mediare per un pubblico così ampio (le rappresentazioni hanno diffusione mondiale) la vertiginosa profondità dell’universo concettuale shakespeariano e la complessità del tessuto drammaturgico senza tradire l‘immediatezza comunicativa e la freschezza di quel linguaggio, caratteri ancora intatti a distanza di quattro secoli.

Nel rispetto assoluto del testo, l’adozione di un timbro colloquiale privo di accentuazioni enfatiche ha voluto restituire al rapporto attore/pubblico quel fluido parlare “da uomo a uomo” che da sempre connota il linguaggio teatrale.

Credits

Numerosi sono i crediti a favore di questa particolare rappresentazione shakespeariana.

Innanzitutto il cast, diretto da una regia sapiente frutto della collaborazione fra Rob Ashford e Kenneth Branagh, con protagonisti lo stesso Branagh nel ruolo di Leonte, re di Sicilia, e una strepitosa Judi Dench nel ruolo di Paulina, moglie del cortigiano Antigono e deus ex machina della vicenda.

Ottime le prove degli altri attori, fra cui Hadley Fraser (Polissene), Tom Bateman (Florizel), Jessie Buckley (Perdita) e Miranda Raison (Hermione).

Maestranze altamente professionali hanno curato luci, scenografia, costumi, effetti video speciali e tecniche di registrazione e così l’opera, nata per il teatro, è entrata nelle sale cinematografiche senza nulla perdere della sua “teatralità”, ma risultando pienamente godibile anche da parte di un pubblico cinematografico messo in condizione di realizzare un feedback altrettanto significativo con la vicenda.

Edizione in lingua originale con sottotitoli in italiano, il metro adottato da Shakespeare, endecasillabi sciolti alternati a settenari, conserva tutta la sua forza ritmica e la magia sonora, i sottotitoli assolvono bene il loro compito di sostegno e sempre più improponibile diventa il confronto con versioni doppiate o spettacoli realizzati in passato sul testo tradotto.

La flessibilità fonetica del linguaggio shakespeariano, la sua musicalità, quello che Ungaretti chiamò “rapporto tra la concretezza dell’idea e la tangibilità corporea, materiale, presente in Shakespeare“, libera tutto il suo potenziale espressivo e lo espande in rifrazioni infinite, come la musica.

Costringerlo nella camicia di forza di un’altra lingua sfiorerebbe l’eresia.

Infine è da sottolineare la presenza della musica con il suo ruolo centrale, come sempre nel teatro elisabettiano.

Il ritmo allegro della gagliarda e quello solenne della pavana, rapide pantomime e ballate campestri accompagnate da strumenti d’epoca, dolci e malinconiche canzoni affidate agli attori a commento di momenti topici della vicenda, nulla manca, miscelato con cura ad uno sviluppo drammaturgico dilatato nel tempo di sedici anni, quello della storia shakespeariana che la regia divide opportunamente in due sole parti, separate dal canonico intervallo teatrale di venti minuti.

La divisione in cinque atti dell’opera non risale infatti all’Autore né si trova nell’in-folio, è stata elaborata nel tempo da curatori vari e contrasta con la compattezza di un racconto che nella complementarietà delle due parti che la compongono realizza un equilibrio perfetto di stile e contenuto.

The Winter’s Tale appartiene all’ultima fase della produzione shakespeariana, 1611, seguiranno La tempesta, Due nobili congiunti ed Enrico VIII, quindi l’abbandono delle scene.

Nel 1616 la morte.

Tra le opere meno conosciute e soprattutto tra le meno messe in scena, The Winter’s Tale meriterebbe invece di figurare ai primi posti nel catalogo del Bardo.

Prova di teatro pienamente maturo nella sua versatilità compositiva, passa dalla tragedia alla commedia e dalla commedia avventurosa alla fiaba con naturalezza mai stridente e trasforma in contrasti umani di rara efficacia intricati grovigli e complesse contingenze storiche.

E’ un autentico “ racconto d’inverno “, perchè la stagione fredda e senza sole è metafora di una condizione umana di fragilità estrema, esposta alle tempeste che sgorgano dalle profondità insondabili e incontrollabili dell’animo umano, travolgendo vite fino ad un attimo prima fortunate e sorridenti.

Eppure il vitalismo del teatro shakespeariano sa cogliere nelle contraddizioni della vita che continua, nonostante tutto, il suo rigenerarsi e rinascere dai propri errori, e attraverso il prisma magico dell’arte ampliare confini altrimenti stretti fra le pareti di una cella.

Breve guida alla lettura con brani scelti

PRIMA PARTE

In un’epoca imprecisata (i costumi ottocenteschi obbediscono ad una inveterata tradizione teatrale) Leonte e Polissene sono entrambi re,l’uno di Sicilia, l’altro di Boemia.

POLISSENE: Eravamo come due agnellini gemelli che sgambettano nel sole e belano l’uno all’altro. Si scambiava innocenza con innocenza. Ci era ignota la dottrina del male né si credeva che altri la conoscesse.

Amici fin dalla più tenera infanzia, sono improvvisamente travolti dalla frenetica gelosia di Leonte per la moglie Ermione, al nono mese di gravidanza, sospettata senza motivo alcuno di adulterio con Polissene, in visita presso la loro reggia da altrettanti mesi. Il re di Boemia, in procinto di partire, non aveva ceduto alle richieste di Leonte di restare ancora, ma si era fatto convincere dall’insistenza gentile di Ermione, spinta da Leonte ad intercedere presso l’amico perché rimanga ancora un po’.

LEONTE: E’ già vinto?

ERMIONE: Rimarrà mio signore.

LEONTE: Non cedette alle mie preghiere. Mia cara Ermione tu non hai parlato mai a migliore scopo.

E’ il passaggio chiave, quod deus vult perdere dementat prius, dicevano i latini, la brevità delle parole di Leonte, quello sguardo cupo e sospettoso che Branagh dosa minaccioso dicono tutto.

La gelosia si è insinuata in lui e non ci sarà nulla che riesca a riportarlo alla ragione.

Da questo momento tutto comincerà a precipitare senza freni fino alla morte che distruggerà la sua famiglia.

Salvo per i buoni uffici di Camillo, consigliere di Leonte, Polissene fugge in Boemia con lui e la prima parte della storia termina qui, con i suoi toni cupi di tragedia famigliare del sospetto e dell’intrigo.

Ermione, buttata in carcere, partorirà una bambina che sarà chiamata Perdita, Leonte affiderà questa figlia che non riconosce ad Antigono perché la porti lontano a morire (è il topos mitico e biblico del neonato affidato ad un servo e abbandonato fra i monti o in una cesta sul fiume), Antigono morirà durante l’impresa, il primogenito Mamillio morirà di dolore per l’atroce sorte della madre ed Ermione non reggerà a tanta sventura morendo anche lei.

Padrona della scena è la buona Paulina, una performance eccellente della grande Judi Dench:

PAULINA: Porti la mano su me colui che non tiene ai suoi occhi; andrò via di qui per mia volontà non appena eseguita la mia missione. La buona regina, poiché essa è buona, vi ha dato una figlia: eccola; e la raccomanda alla vostra benedizione.

(Depone la bimba)

LEONTE: Fuori! Una malefica virago! Via di qui, fuori della porta questa intrigante ruffiana!

PAULINA: Non dite così. Io sono tanto ignara di questa cosa quanto voi lo siete nel chiamarmi così; e onesta quanto voi siete fuor di senno:che è abbastanza ve lo garantisco al modo come vanno le cose quaggiù per una reputazione di onestà

LEONTE: Traditori! Non volete metterla fuori! (Ad Antigono) Rendile la bastarda! Vecchio idiota che ti lasci beccare e cacciar di nido dalla tua signora Chioccia! Prendi la bastarda, ti dico prendila su e dalla alla tua arpia.

PAULINA: Sian per sempre disonorate le tue mani se tu tocchi la principessa or ch’egli l’ha caricata di dissennate ingiurie.

LEONTE: Ha paura di sua moglie.

PAOLINA: Così dovreste far voi e non avreste più il dubbio di poter chiamare vostri i vostri figli.

LEONTE: Un nido di traditori!

ANTIGONO: Non son tale, per la luce del giorno!

PAULINA: E neppure io; né alcuno all’infuori di uno ed è lui stesso perché condanna alla calunnia, il cui pungiglione è più aguzzo di quello della spada, il sacro onore di sé, quello della regina, del figlio pieno di speranze e della sua bimba; e non vuole, e al punto a cui stanno le cose è una maledizione non possa essere obbligato a far estirpare una volta per tutte la radice del suo dubbio che è marcia come mai furono salde quercia o pietra.

LEONTE: Una sgualdrina linguacciuta che prima ha battuto suo marito ed ora si butta su di me! Questo sgorbio non è mio è frutto di Polissene. Portatelo via di qui e lo si dia al fuoco insieme con la madre!

PAULINA: E’ vostra: e a voi si potrebbe applicare il vecchio proverbio: tal padre tal figlio purtroppo! Guardate signori benché lo stampo sia piccolo pure è una copia esatta del padre suo occhio naso labbro il corrugar del ciglio la fronte guardate fin l’incavo, le graziose fossette del mento e della guancia il sorriso, il modellato e la forma della mano dell’unghia e del dito; e tu buona dea Natura che l’hai fatta sì eguale a colui che le ha dato il giorno, se è in tuo potere anche l’ordinamento dell’anima fa’ che tra i colori non ci sia il giallo, acciò che ella non sospetti come lui che i suoi figli non siano di suo marito!

LEONTE: Oh la triviale strega! E tu canaglia meriti d’essere impiccato perché non le sai frenare la lingua.

ANTIGONO: Impiccate tutti i mariti che non son capaci di simile impresa ed è molto se vi resterà un suddito.

LEONTE: Ancora una volta portatela via.

PAULINA: Il più indegno e snaturato dei signori non potrebbe far peggio.

LEONTE: Ti farò bruciare.

PAULINA: Non m’importa: eretico è colui che accende il fuoco non colei che ci brucia dentro. Non voglio chiamarvi tiranno ma questo crudele trattamento che fate alla regina – incapace come siete di fondar l’accusa su altro che sul vostro scardinato cervello – ha pure sentore di tirannia e vi farà disonorato sì oggetto di scandalo al mondo.

LEONTE: In nome del vostro vassallaggio portatela via da questa stanza! Se fossi un tiranno che ne sarebbe della sua vita? Non avrebbe osato chiamarmi così se mi conoscesse per tale! Portatela via!

PAULINA: Vi prego non spingetemi fuori: me ne vado. Guardate la vostra bambina signore: essa è vostra. Giove le mandi un miglior spirito per guida! Che bisogno c’è di queste mani? Voi che siete tanto indulgenti alle sue stramberie non gli farete del bene, nessuno di voi. Sta bene sta bene addio. Ecco che ce ne andiamo.

Arrivano da Delfi i messi inviati da Leonte ad interrogare l’oracolo di Apollo sull’innocenza di Ermione, ma a nulla servirà il responso a favore della regina. Ormai la tragedia si è consumata e resta il pentimento successivo, sedici lunghi anni che Leonte passerà ad invecchiare piangendo la morte di Ermione e la perdita dei figli.

SECONDA PARTE

Quando si alza il sipario sono trascorsi i sedici anni che separano i due tempi della storia, la scena si è spostata dalla reggia siciliana di Leonte ai territori agresti della Boemia, regno di Polissene, che interviene travestito ad una festa nell’aia del pastore che ha trovato e allevato Perdita, salvandola da morte sicura.

Polissene vuol vedere con i suoi occhi ma senza essere riconosciuto cosa stia succedendo tra Florizel, il figlio a suo giudizio scapestrato, e la bellissima pastorella figlia del pastore.

Siamo nel clima leggero della commedia, s’intrecciano danze e canti, è il trionfo d’amore tra Florizel e Perdita e, dimenticando l’ascendenza regale, come in ogni buon dramma borghese ora lo scontro è tra padre e figlio.

Qui il genio teatrale di Shakespeare, profondo conoscitore dell’animo umano, fa affiorare qualcosa che costringerebbe chiunque ad identificarsi con Polissene, pur capendo le ragioni di Florizel e si tratta di questo: a Polissene, padre buono e generoso ma giustamente orgoglioso, dà fastidio che il figlio abbia fatto di testa sua senza neppure interpellarlo:

POLISSENE: Credetemi, un padre è alle nozze del figlio il convitato più adatto alla tavola. Permettetemi di chiedervi se vostro padre è diventato incapace d’affari che voglian senno o è istupidito dall’età o da sfibranti reumatismi? Può egli parlare e udire? Distinguere un uomo da un altro? Si occupa dei propri beni o è costretto a letto? O è tornato a non saper fare altro che ciò che faceva da bambino?

FLORIZEL: No buon signore, egli sta bene e ha più vigore della maggior parte degli uomini della sua età.

POLISSENE: Per la mia barba bianca, se è così gli infliggete un torto ben poco filiale. E’ giusto che il figlio scelga da sé la sposa ma altrettanto giusto che il padre, cui sola gioia è una bella posterità, sia almeno interpellato in una simile questione.

Dopo scaramucce a non finire e canti, balli e bevute in cui il picaro Autolico ruba la scena a tutti, si corre verso il finale che, a cerchio, si chiuderà in Sicilia, nella reggia di Leonte.

EPILOGO

When forty winters shall besiege thy brow,and dig deep trenches in thy beauty’s field…

Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte, e scaveranno profonde trincee nel campo della tua bellezza…

(Shakespeare, Sonetti, trad. E. Sanguineti)

E’ un finale travolgente, dove lasciti evidente del repertorio mitologico classico (il mito euripideo di Alcesti che torna dall’Ade), l’agnizione (procedimento drammaturgico tipico della commedia plautina), la statua che torna a vivere (e qui Ovidio domina con il suo Pigmalione) collaborano ad uno scioglimento di tutti i nodi che per quasi tre ore hanno avvinto il pubblico.

PAULINA (a Leonte) : Com’essa visse ineguagliata così la sua morta immagine io credo supera quanto avete finora contemplato o mano d’uomo abbia fatto: e perciò la tengo a parte isolata.

Ma essa è qui: preparatevi a vedere la vita imitata in maniera così viva come mai il sonno ha finto la morte: guardate e dite se non è così. (Paulina tira una tenda e scopre Ermione ritta e immobile come una statua). Mi piace il vostro silenzio, è la miglior prova della vostra meraviglia.

Il lieto fine è ormai assicurato, la statua riprende vita, qualche vittima è rimasta lungo la strada, il Tempo, soprattutto il Tempo di lunghi anni, ha scavato profonde rughe, ma la vita è questo scorrere insensato, strano, spesso bello, molte volte brutto, ma bisogna pur viverla.

Le ultime parole di Paulina potrebbero restare queste:

Io vecchia tortora volgerò l’ala verso qualche ramo secco e là piangerò il mio compagno che non si troverà più finché sia perduta anch’io.”

ma Leonte decide che bisogna ricompensarla in qualche modo per tutto quello che ha fatto e le trova un marito, il buon Camillo tornato dalla Boemia e perdonato per il tradimento.

E vissero tutti felici e contenti (mentre noi ci prepariamo per le prossime recite seduti in un palchetto del Garrick Theatre in London).


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