CHE. L’argentino di Steven Soderbergh

Premio come miglior interprete maschile a Benicio del Toro al 61° festival di Cannes (2008), dove il film e’ stato presentato in una versione comprendente entrambe le due parti della durata di 268′ (parte 1, L’argentino: 137′, parte 2, Guerriglia: 131′), la critica ufficiale ne fece una sostanziale stroncatura:

… nella sua tigna antieroica Soderbergh elude il mito e la storia e la temperatura resta tiepida. ” (Piera Detassis, ‘Panorama’, 16 aprile 2009)

“ … A Soderbergh manca un apparato stilistico sufficiente a reggere l’impresa, che finisce per apparire sì antiretorica e cronachistica, ma anche molto piatta e per nulla emozionante.” (Emanuela Martini, ‘Il sole 24 Ore’, 23 maggio 2008)

La verità storica è spesso deludente. Brutta, mediocre, cattiva. Con una bella frottola, il pubblico lo mandate in paradiso’. E Soderbergh si prova a raccontare la panzana.” (Giorgio Carbone, ‘Libero’, 23 maggio 2008)

Nel film si avverte la mancanza di qualunque riflessione storica e non sembra interessi al regista andare in profondità per analizzare i veri motivi del fallimento della rivoluzione boliviana. Il racconto resta dunque vittima di una certo piattezza, i personaggi perdono spessore e lo stesso Che non regala mai momenti di piena emozione.” (Alessandra De Luca, ‘Avvenire’, 23 maggio 2008)

“Manca il guizzo stilistico decisivo, un’idea-faro di messinscena, una specifica suspense che riscatti la prevedibilità di vicende universalmente note ed incessantemente tramandate e indagate; come manca la giustificazione artistica e spettacolare della rinuncia ad affrontare passaggi decisivi e significativi della parabola guevariana. (…) Se Soderbergh ha tutto il diritto di esserne affascinato, ciò che rende il kolossal un’opera generosa ma inutile è la mancanza di un contatto profondo con il carisma del Comandante: quel grumo magmatico e misterioso, fuori della sua portata didascalica e illustrativa, che impasta l’obiettiva purezza degli ideali, l’obiettiva e spesso sanguinaria caducità del disegno guerrigliero e l’obiettiva forza della società
‘imperialista’ che ha risucchiato il mito e ne ha fatto un’icona pubblicitaria.”
(Valerio Caprara, ‘Il Mattino’, 23 maggio 2008)

Soderbergh – guardacaso – non sfiora nemmeno le zone d’ombra del Che. Dunque niente o quasi niente sui rapporti con Castro; silenzio sulla gestione del potere; ellisse sull’esperienza africana, sulla disastrosa politica industriale, su tutto ciò che spinse il Che a scegliere la strada impossibile del rivoluzionario a vita.  “(Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 24 maggio 2008)

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Messa doverosamente in evidenza la critica negativa, forse unica voce fuori dal coro è quella di Davide Turrini:

Soderbergh, non ha di certo intenzione di accodarsi a fans o detrattori. Semplicemente osserva l’uomo Ernesto Guevara, ritraendolo negli impacci dell’asma, nell’improvvisa e inaspettata popolarità, e soprattutto nello slancio solidaristico di lotta rivoluzionaria a favore degli oppressi. (…) Soderbergh sminuzza i dettagli del viso, del corpo e dell’abbigliamento di Guevara come ci avevano tramandato foto e filmati storici e li ricompone in modo antispettacolare, escludendo i primi piani più convenzionali e includendo improvvisi lampi di genio come la chiusura in soggettiva, dove lo spettatore diventa il Che che guarda gli occhi vuoti e le mani tremanti del suo assassino. Noi cadiamo per terra assieme a Ernesto Guevara, sentendo insieme a lui un fischio fastidiosissimo che ci porta alla morte su schermo bianco. (Davide Turrini, ‘Liberazione’, 23 maggio 2008)

Dodici anni sono tanti e tanti ne sono trascorsi dalla prima visione dei due film, ma nulla è cambiato nel giudizio personale, Che è un film che si desidera rivedere, e non solo per la convinzione che uomini così nascano poche volte in un secolo, ma perchè crediamo che l’opera di Soderbergh gli renda quella giustizia che proprio una mitizzazione da santino gli ha tolto.

Steven Soderbergh

L’argentino è la prima parte del dittico che Soderbergh, insieme allo sceneggiatore Peter Buchman, girò partendo da Passaggi della guerra rivoluzionaria (pubblicato nel 1963 con la revisione dello stesso Guevara) ed è una  ricostruzione storica ineccepibile, che si avvale di inserti in bianco e nero dei cinegiornali dell’epoca, interviste originali e passaggi dal celebre discorso alle Nazioni Unite, concluso dal memorabile “Patria o Muerte!”.

Il film è anche una splendida messa in scena cinematografica per merito della smagliante fotografia curata dallo stesso regista e dell’interpretazione di Benicio del Toro.

Lo stile antiepico, quasi  dimesso, e il giusto dosaggio dei toni evita fastidiose tentazioni agiografiche che avrebbero reso stucchevole commemorazione di un mito quello che invece è stato un fenomeno storico di portata epocale.

La figura di Ernesto Guevara esce così dall’icona e torna evento, storia, incarna un popolo che si ribella e vuole la libertà.

Si sente una volontà comune di lotta, un popolo che non cede, non delega, sceglie di morire, piuttosto, ed è un intero popolo.

In quei giorni quel pueblo unido ha lottato con i suoi eroi ed ha vinto. Quello che è accaduto dopo può piacere o no, ma è un’altra storia.

“ Non avevo intenzione di idolatrare l’icona da t-shirt – afferma senza enfasi Soderbergh – ma volevo illustrare nel dettaglio lo sforzo psichico e fisico che necessitavano le due campagne di guerriglia dirette da Che Guevara e di mostrare il processo con il quale un uomo dotato di una volontà indomabile scopre la capacità d’ispirare e spronare altri uomini alla rivoluzione. Il Che non l’avrebbe mai ammesso, ma lo stile conta. Conta sicuramente in questo film ed è un elemento cruciale per la comprensione dell’opera nel suo insieme».” (Davide Turrini, ‘Liberazione’, 23 maggio 2008)

Il 26 novembre del 1956 Fidel Castro, in esilio in Messico, si imbarca alla volta di Cuba sul Granma, un piccolo scafo. Con lui ci sono 80 ribelli, tra i quali Ernesto “Che” Guevara, un medico argentino che condivide con Castro e i suoi compagni lo stesso obiettivo: rovesciare il regime del dittatore cubano Fulgencio Batista.

Il Che è un combattente eccezionale, conosce le tecniche della guerriglia e ben presto viene riconosciuto come guida rivoluzionaria dai suoi compagni e dall’intero popolo cubano.

Dalla Sierra Maestra fino a Santa Clara e L’Avana, i ribelli attraversano l’isola di Cuba:
“Fidel era assolutamente convinto che, una volta partiti per Cuba, ci saremmo arrivati e, una volta arrivati, avremmo combattuto e, combattendo, avremmo vinto. Così, nel novembre del 1956, partimmo dal Messico su un barcone che faceva acqua con 82 uomini a bordo: di quegli 82 solo in 12 avremmo visto il giorno della vittoria”.

E’ la voce fuori campo del Che, intervistato da una giornalista americana a L’Avana nel maggio del 1964, racconto dell’impresa dei suoi “barbudos”, che ipotizza scenari mai realizzati e termina con una giusta domanda:

“Supponiamo che i recenti sforzi degli Stati Uniti per aiutare i Paesi dell’America Latina abbiano successo, che le classi dirigenti accettino le riforme terriere e le riforme fiscali, che migliori lo standard generale di vita, il messaggio della rivoluzione cubana  perderebbe di forza?”.

Il film si interrompe davanti al cartello stradale che indica la distanza (297 km) dalla capitale, dopo la presa di Santa Clara.

Il pubblico resta in attesa della seconda parte, Guerriglia, passione e morte del Che, un film doloroso che vorremmo tutti credere sia stato solo un film.

Fusil contra fusil di Silvio Rodrìguez, composta nel 1967 in onore di Guevara, accompagna i titoli di coda.

CHE. L’argentino

Spagna, USA, 2008, durata 126’

di Steven Soderbergh

con Benicio Del Toro, Franka Potente, Santiago Cabrera, Demián Bichir, Kahlil Mendez, Yamil Adorno, Jorge Alberti, Ricardo Alvarez, Fernando Arroyo, Jose Cotte

 

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