Fassbinder di Annekatrin Hendel

 Alla domanda di Wim Wenders “Qual è il futuro del cinema?” in Chambre 666 Fassbinder rispondeva:

“There are fewer movies being made …that’true. Films are getting polarized, One strand of cinema sensation-oriented cinema which tends to be colossal and bombastic you can definitely see that. On the other hand, like I said. There is very individual cinema or national cinema of individual film makers which is far more important today

Than cinema which is indistinguishable from television”

(Ci sono meno film in corso… è vero. I film si stanno polarizzando, un filone del cinema orientato alle sensazioni che tende ad essere colossale e ampolloso lo puoi sicuramente vedere. D’altra parte, è come ho detto. C’è un cinema molto individuale o un cinema nazionale di singoli registi che è molto più importante oggi. Un cinema che è indistinguibile dalla televisione”.

Era il 1982, pochi mesi prima della sua morte avvenuta il 10 giugno, a 37 anni, attribuita al mix di cocaina, sonniferi e chissà che altro, ragioni  in cui uno cerca sempre le cause del corto circuito finale. Ci si dimentica di pensare che forse a monte c’è ben altro, un cupio dissolvi  che lo star sistem non vuole o non può immaginare.

Dopo quarant’anni di silenzio, l’uomo, l’artista torna alla ribalta con un docu-film di  Annekatrin Hendel ,  seguito da una rassegna in sala di alcuni pezzi importanti della sua collezione nelle prossime settimane.

Demonizzato, dimenticato, la sorpresa è grande e gradita.

Purtroppo alla rassegna manca Querelle de Brest, ancora oggi qualcuno non se la sente di farlo circolare.

Era il suo ultimo film, tratto da un romanzo di Jean Genet e presentato postumo a Venezia.

Ricordiamo cosa disse Marcel Carnet presidente della giuria:

“Voglio aggiungere alcune parole a titolo personale. Come Presidente della Giuria non sono riuscito a convincere i miei colleghi a premiare il film “Querelle” di Rainer Werner Fassbinder. Sono stato il solo a difenderlo. Tuttavia continuo a credere che l’ultima opera di Fassbinder, che lo si voglia o no, che la si deplori o no, avrà un giorno il suo posto nella storia del cinema.”

Un posto all’ombra, a quanto pare.

Visto alla sua uscita, forse in edizione integrale, difficile ricordare, in seguito mutilato della sequenza  che contiene la sodomizzazione di Querelle ad opera di Nono, oggi in DVD della Ripley con versione integrale, rivederlo al cinema è pura utopia, bisogna accontentarsi di averlo visto prima dei censori, come accadde altre due volte, e parlo di Salò e Ultimo tango.

Il docu-film. Quarant’anni, il solito anniversario che fa resuscitare i morti.

Visione per alcuni aspetti interessante, piena di chiacchiere, interviste a tutti i suoi attori e collaboratori, lui parla poco, i sottotitoli scorrono troppo veloci e del tedesco è possibile capire solo una o due parole.

Hanna Schygulla

Spezzoni da alcuni film, foto di repertorio, qualche filmino, una buona ricostruzione cronologica del vissuto con chiari riferimenti al colore dell’epoca, quegli anni sul finire dei Sessanta e per tutti i Settanta che videro la Germania in primo piano per tante storie e sperimentazioni rivoluzionarie.

Poliedrico, geniale, narcisista, prolifico, totalmente schizzato, Fassbinder visse per il cinema e il teatro, li maciullò e sconvolse, dopo nulla fu più come prima, come si suol dire. In quindici anni collezionò ventiquattro lungometraggi per il cinema e tredici per la televisione, tre miniserie (incluso il monumentale adattamento di Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin) e quindici testi teatrali, senza contare ulteriori pubblicazioni e cortometraggi: bulimia creativa, forse lo batte Michelangelo.

Un pugno in piena faccia, certi suoi film, ma non si dimenticano, titoli clamorosi, alcuni bellissimi (La paura mangia l’anima, Le lacrime amare di Petra von Kant L’amore è più freddo della morte, Il fabbricante di gattini) sfidano il tempo e le mode.

Indimenticabili quegli anni”, diceva Capanna, ed è vero, Fassbinder punta al cuore di quella borghesia perbenista e denazificata, non fa sconti, il sado-masochismo dei rapporti sentimentali e sessuali mette a nudo le tare sociali ammantate di perbenismo dell’ alta borghesia bavarese che ne esce annientata,

Figlio della  generazione del Nuovo Cinema Tedesco nata nel ’62, Fassbinder fa suoi gli stilemi del  Manifesto di Oberhausen che Alexander Kluge aveva teorizzato parlando dei meccanismi sotterranei del pensiero: Dal momento in cui ogni taglio di montaggio provoca la fantasia, una tempesta di fantasia, può generare addirittura una pausa nella narrazione. È esattamente in questo punto che le informazioni vengono convogliate. Questo è quello che Benjamin intendeva con la nozione di shock. Sarebbe sbagliato affermare che un film deve aspirare a scioccare gli spettatori, questo limiterebbe la loro indipendenza e le loro capacità di percepire. Il punto in questione è la sorpresa che scaturisce quando, attraverso meccanismi sotterranei del pensiero, improvvisamente si comprende qualcosa in profondità, e da questa prospettiva si indirizza di nuovo la fantasia al corso reale della narrazione”.

Per altre strade solo formalmente dissimili ma nella sostanza figlie dello stesso humus, si era mosso Edgar Reitz, anch’egli figlio, qualche anno meno giovane, di un tempo che ha segnato lo spartiacque per la Germania.

Noi tedeschi abbiamo dei problemi con le nostre “storie”. L’ostacolo vero è la nostra “Storia”. Il 1945, anno zero della Germania, ha cancellato molto, ha creato una voragine nella capacità di ricordo della gente. Un intero popolo – come afferma Mitscherlich – “è diventato incapace di essere in lutto”, il che significa “incapace di raccontare”.

Fassbinder sceglie la provocazione pura, totale, épater les bourgeois è il suo programma di vita, la sua bisessualità il marchio di fabbrica esibito ad ogni incrocio, manipolatore, sempre contro, la conventio ad escludendum che l’ha fatto dimenticare per quarant’anni si spiega così.

Un bastardo non addomesticabile, o un cavallo di razza. Entrambe le cose.

E chiudiamo con le parole dell’autrice del documentario:

“Questo documentario viene da una lunga genesi. A Berlino est da ragazza non ho avuto l’opportunità di vedere tutti i suoi film. Poi, dieci anni dopo, ho recuperato la sua filmografia amandola tutta. A quell’epoca mi interessavano molto le dinamiche di gruppo e quando si è finalmente parlato di un film su lui ho subito pensato: devo dirigerlo io.

Era un manipolatore? Sì un grande manipolatore, anche se forse manipolare non è il termine giusto. Quando puntava a fare una cosa non guardava in faccia nessuno. Realizzare film di quello spessore, comunque, non era certo facile e, va detto, non ho mai affermato che Fassbinder fosse una persona buona, affatto. Credo comunque che essere nato nella Germania del primo dopoguerra abbia influito sul suo carattere”.

Fassbinder

Germania 2015

Regia: Annekatrin Hendel

Cast: Margit Carstensen, Irm Hermann, Juliane Lorenz, Hanna Schygulla, Harry Baer

 

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