Gosth Town Antology di Denis Coté

In Gosth Town Antology, Répertoire des villes disparues di Denis Coté, selezionato a Berlino 69, non esiste linea di demarcazione fra reale e surreale, la città fantasma e la città dei fantasmi coincidono.

Irénée-les-Neiges, piccolo centro minerario di 215 anime, è una città morta ora che la miniera è chiusa e l’aria spettrale che ha assunto non è meno fantasmatica dei morti che pullulano intorno alle case, silenziosi e inerti.

Fantasmi sono anche i vivi, occhi vuoti come quelli delle strane presenze immobili, adulti con i loro panni abituali e bambini con strane mascherine grigie sul volto che hanno buchi per bocca e occhi. Sulle prime si pensa ad Halloween, poi pian piano il film si svela.Nei vivi non c’è emozione né paura, solo un’incredulità subito spenta, una stanca accettazione di una fatalità inevitabile.

Quebec, Canada, inverno di nevi perenni, strade ghiacciate, alberi spogli, freddo e silenzio.In un habitat consueto a certe latitudini, dove vivere sembra più una condanna che un’opzione, a rompere l’immobilità, pochi minuti dopo l’inizio, è la brusca sterzata di un’auto che si schianta. Simon, 21 anni, muore e per tutto il film ci si chiederà se sia stato un suicidio.

La famiglia non lo accetta, il fratello Jimmy (Robert Naylor) è incerto, sa che il fratello era infelice ma la madre non si rassegna e il padre fugge disperato in macchina, continuando a vagare per le strade e fra i boschi senza meta.

Simon appare ben presto nel gruppo dei fantasmi e Jimmy gli parla, ma inutilmente.Nello stato catatonico in cui sembrano precipitati tutti da tempo immemorabile, un evento simile dovrebbe destabilizzare, ma la sofferenza del fratello, della madre e del padre sembrano variabili fuori contesto.

In questo orizzonte desolato la sindaca (Diane Lavallée) parla al funerale di futuro, di speranza, di farcela tutti insieme e senza bisogno di aiuti esterni, ma il suo discorso ha l’aria falsa delle promesse elettorali. Eppure funziona, tutto nella comunità sembra ricomporsi in un ordine  condiviso, il trauma si annacqua ben presto nelle coscienze ottuse, rese impermeabili da mesi, forse anni, di rassegnata routine in attesa del nulla.Quando l’aiuto psicologico mandato dal Governo arriva nei panni di una donna di chiara etnia musulmana la sindaca la respinge.

Alla venatura xenofoba, seguita all’inutile e anacronistico invito all’ottimismo della sindaca, corrisponde un restringersi sempre più avvertito dello spazio, un ridursi all’osso degli eventi. Sentiamo l’incombenza minacciosa di un fuori scena da tragedia greca che crea tensione e attesa della catastrofe finale, ma chiude anche in una claustrofobica negazione di senso tutto quello che accade, mentre qua e là cominciano ad apparire sempre più numerosi gli ex abitanti del posto, morti in silenziosa ma decisa attesa di riprendere il proprio spazio.

L’abile miscela di realismo sociale ed elementi soprannaturali che Denis Coté mette al servizio di una realtà deprivata e segnata da isolamento, esclusione e chiusura, svela il senso di una metafora stralunata, gelida, dove tra vita e morte, normalità e follia i confini sono azzerati.

E il valore documentario di sconvolgente attualità appare evidente.

I morti assediano i vivi, la loro morte non trova la pace del riposo eterno, l’umanità è intrappolata in totale assenza di risorse e prospettive e il gelo ha reso la terra dura, impedendo la sepoltura di Simon che giace in attesa in una stanza dell’obitorio.

La natura sta riprendendo il sopravvento sull’uomo che l’ha scalfita, scavando nelle sue viscere, alterando il suo equilibrio, l’umanità è alla deriva ma continua inconsapevolmente ad illudersi di essere viva.E non vede i morti se non quando sono ormai vicini, e tanti.

Solo Adele (Larissa Corriveau), la ragazza psicolabile che la comunità tiene a educata distanza, per prima li ha visti arrivare e la sua consapevolezza la fa lievitare in alto, tra cielo e terra, dove rimarrà immobile come visione, incomprensibile iconostasi, un’ascensione laica che tutti guardano senza capire.

L’unica cosa pulita in un anno sporco” è la neve, scrive Laurence Olivier, l’autore canadese del libro da cui è tratto il film, ma ben presto anche quella diventa fradicia e acquosa, andando a confondersi con la nuvolaglia grigia che pesa dal cielo.

Denis Coté

Interessante esplorare il pensiero del regista:

“… (I morti ) sono la coscienza dormiente del villaggio. Sono sia il passato che il futuro delle nostre regioni rurali, le aree alle quali non prestiamo attenzione e che permettiamo di morire attraverso la nostra e la loro indifferenza. I morti tornano per avvertire i vivi. Sembrano dire: “Se non fai nulla con questo ricordo, questa storia e questo territorio, lo riprenderemo”. Sono anche estranei con cui i cittadini ora devono convivere. Questo è il modo indiretto in cui ho scelto di parlare dell’immigrazione e della paura che provoca. La figura del fantasma nel film è spesso un simbolo dell’umanità perduta. Permetto alle metafore di fluttuare lentamente e allo spettatore di catturare qualunque cosa gli dica.
È sempre interessante esplorare la paura come forza trainante di una narrazione. Tutti i miei abitanti del villaggio avevano una routine e un certo livello di tranquillità prima della morte improvvisa di Simon. Ho deciso di cambiare il loro rapporto con la vita di tutti i giorni inviando una specie di ultimatum nel villaggio. Ma questo ultimatum è solo leggermente allarmante. Tutti sembrano abituarsi alla stranezza che si insedia nella città
…”

“ abituarsi alla stranezza che si insedia nella città “.

Quando lo sguardo si fa indifferente e i morti diventano fantasmi senza voce né sepoltura, la stranezza si è insediata nella città.

Gosth Town Antology

Canada 2019 durata 97′

Titolo originale Répertoire des villes disparues

Regia di Denis Côté

Con Robert Naylor, Jocelyne Zucco, Diane Lavallée, Rémi Goulet, Josée Deschênes

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