I am not a witch di Rungano Nyoni

Presentato il 31 maggio  2017 alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes, è il primo film di Rungano Nyoni, una fiaba dura, a tratti spietata, come spesso le fiabe, ma quanto capace di dire tutto, raccontarlo all’infinito, come i canti delle streghe, una frase, sempre uguale, un martello su un chiodo arrugginito!

Da millenni.

“Siamo soldati del governo e ci siamo abituate. Ci siamo abituate e non ci stanchiamo” cantano le streghe agli ordini del padrone.

Rungano Nyoni, nata in Zambia e residente in Galles, sceglie il format fiabesco e il direttore della fotografia David Gallego (El abrazo de la serpiente 2016, Oro verde – C’era una volta in Colombia,2018 ) dà la magia perfetta alle riprese.

Perché, dice la regista:

La prima cosa a cui miravo era fare qualcosa che fosse solo una favola, e qualunque cosa facessi per arrivarci era l’idea. Ho studiato molte vere accuse di streghe, campi di streghe, e poi ho esagerato ciò che era già lì. Ho preso la mitologia da tutte queste fonti diverse, tutto è una fusione di ricerche che ho fatto in diversi paesi e l’idea delle fiabe nel cinema: è un insieme di idee diverse, usando la mia immaginazione”

Shula (Maggie Mulubwa) è una bambina di circa otto anni apparsa dal nulla sul sentiero di una donna che ha appena raccolto acqua dal pozzo. La donna inciampa, l’acqua si rovescia, Shula è la strega che l’ha fatta cadere.

In estrema sintesi questa è la storia del film.

Seguono sequenze di un dramma pieno di ironia e tristezza: personaggi che entrano a contatto con Shula, membri degli apparati di potere e ordine pubblico, manovalanza attrezzata al controllo e al funzionamento della baracca, il coro delle vecchie “streghe” e i turisti curiosi in gran tour su autobus con guida che vogliono vedere le “streghe”, e loro sono lì, sedute a terra, schierate per foto ricordo, residui umani grotteschi, schiave legate al loro destino da lunghe fasce bianche fissate alle spalle, guinzagli tenuti insieme e incardinati sul rimorchio di un camion vicino.

Un mondo reale, non è fantasy né fantascienza, è quello che accade ancora nel 2021.

Solo che le “streghe” non vanno al rogo, sono forza-lavoro, schiave legalizzate da un potere arbitrario e assoluto.

La fascia bianca:

E’ la trovata più paradossale del film, non sappiamo se corrisponda alla realtà, ma se anche fosse pura invenzione ha una valenza simbolica devastante.

Sul rimorchio del camion giallo sono installati enormi rocchetti a cui sono avvolte le fasce che guidano il movimento delle “streghe”, qualche metro non di più, lo spazio per lavorare tutto il giorno chine a terra nei campi. Se qualcosa non va, uno strattone e si torna all’ordine.

Lo svolazzare leggero delle fasce sullo sfondo della terra arida dello Zambia, sotto un cielo azzurro senza nuvole che non promette mai pioggia, crea un inedito contrappunto.

Vivaldi e Schubert (Schubert sinfonia 1 0p 92 adagio – allegro vivace, Vivaldi Winter, adagio ) entrano in forza con travolgenti pieni orchestrali ma presto tacciono come inebetiti.  E’ in arrivo l’autobus carico di turisti curiosi, il fenomeno “streghe” con selfie al seguito è compreso nel pacchetto-viaggio.

Il silenzio di Shula, bambina senza nome (Shula gliel’hanno dato le colleghe “streghe”), senza passato, senza storia, ben presto senza vita, il pozzo senza fondo di ignoranza, superstizione e violenza, non solo maschile (la spietata guru del villaggio è donna, la turista che vuol farsi una foto con Shula è donna, la poliziotta che interroga la “strega” masticando snack è donna), sono  componenti di un film dal fascino strano, quello delle fiabe, appunto, che si leggono da piccoli alimentando quell’immaginario fantastico che nella vita precorre il reale e ne contiene le chiavi.

Racconto tutto al femminile, a partire dagli occhi seri, a volte interrogativi, a volte tristi, di Shula, che sorridono solo nel brevissimo momento di vita scolastica che le viene concesso, è un film che vanta forti crediti per l’abile amalgama di commedia, tragedia e magia, convivenza di folklore e incubo iperreale, estetica visiva funzionale al libero gioco dell’ immaginazione che traduce in concetti, simboli e linguaggio le figure sullo schermo.

Le vecchie “streghe”, imbruttite oltre misura, spaventosi manichini di un teatro dell’orrore, non dimenticano un residuo di vanità tutta femminile quando comprano parrucche colorate. Eppure sono creature dolcissime, rassegnate alla loro sorte, totalmente impotenti, non possono aiutare più di tanto la piccola mascotte ma le dedicano la loro materna solidarietà e canteranno per lei la nenia funebre nella stupenda ripresa dall’alto che chiude il film.

La “strega” integrata, quella più procace dai capelli biondi che ha sposato il ciccione capo del governo locale, lo insapona nella vasca, è prona al suo volere e, come sostiene con orgoglio, è diventata “rispettabile” col matrimonio, è comunque compassionevole e amica della piccola Shula che il marito ha eletto a sua “piccola strega” e porta in giro come un feticcio portafortuna.

E’ un universo femminile dominato da quieta condiscendenza ad un ordine stabilito, da totale appiattimento ad una sudditanza vissuta come legge di natura. L’ educazione, le convenzioni sociali, i condizionamenti culturali indotti da magia e superstizione collaborano all’immobilismo, sembra che sia impossibile anche solo pensare ad un riscatto di quei destini, ad una parità di genere.

Eppure la piccola Shula lo fa, così piccola e disarmata, nell’assoluto nulla in cui vive e da cui è venuta, tenta di fuggire ma è ripresa, si chiude nell’autobus ma rompono il finestrino ed entrano a riprenderla, estranea ad un mondo in cui sembra caduta per caso, come venuta dallo spazio, emana l’unico messaggio di libertà che spariglia tutte le carte e rivela l’assurdo della condizione umana.

Iperrealistico e farsesco, Non sono una strega non è un film di denuncia né un pamphlet sull’Africa sfruttata e dimenticata.

E’ un film sull’oppressione femminile che si alimenta ogni volta traendo forza dalla cultura del presente.

Smartphone e talk show televisivi, il corpo femminile offerto al mercato del consumo, la cultura dell’apparire, del successo ad ogni costo, sono segni di un presente senza roghi, solo “opere di bene”.

Ma Shula non ci sta, quando in quella specie di cerimonia d’investitura iniziale le hanno lasciato la scelta sull’essere dichiarata strega o diventare una capra lei ha scelto per inesperienza la prima opzione.

Poi la vita le ha insegnato come stanno le cose e allora dice le poche parole di tutto il film, tremende e catartiche:

Avrei dovuto scegliere di essere una capra, una capra è meglio, si può muovere liberamente e mangia quando vuole”.

I am not a witch

Regno Unito, Francia 2017 durata 98’

Regia: Rungano Nyoni

Cast: Maggie Mulubwa, Nellie Munamonga, Dyna Mufuni, Nancy Murilo, Ritah Mubanga

 

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