Il vento ci porterà via di Abbas Kiarostami

Nella mia notte, così breve, ahimè

il vento ha un appuntamento con le foglie.

La mia notte così breve

è piena di angoscia devastante

Ascolta…

I versi di Forough Farrokhzad (v.Appendice) danno il titolo al film e accompagnano la mungitura della mucca. Nella stalla buia, scavata sotto terra, l’ingegnere aspetta che la ragazza gli riempia la brocca.Lei non gli dirà il suo nome né gli farà vedere il suo viso, la lampada fioca illumina appena la scena, mentre il fuori campo con la voce dell’uomo che recita i versi continua finchè la brocca è piena.

Regista del fuori campo, Kiarostami mette a fuoco lo sguardo, le sue traiettorie imprevedibili, a volte segnate da un pensiero dominante, da una storia alle spalle, altre, più casualmente, da una momentanea astrazione dal corso della vita.

Dice il regista:

E’ vero che un film senza storia non ha molto successo presso il pubblico, ma bisogna anche sapere che una storia deve fornire indizi e alcune caselle vuote. Queste ultime, come nelle parole crociate, devono essere completate dallo spettatore. Chi guarda, come un detective privato in un intrigo poliziesco, dovrà trovare l’intreccio. Quando sveliamo l’universo di un film agli spettatori, ciascuno sulla base della propria esperienza, creerà il proprio percorso. Come cineasta conto proprio su questo intervento creativo, altrimenti lo spettatore e il film muoiono insieme. Le storie senza difetti che funzionano troppo bene hanno un grande difetto: funzionano così bene che impediscono allo spettatore di intervenire e partecipare. Credo in un cinema che dia più possibilità e più tempo al proprio pubblico. Un cinema in divenire, un cinema incompleto che si completi con lo spirito creativo degli spettatori. E all’improvviso avremo un centinaio di film, ognuno dei quali appartiene e corrisponde al mondo di chi lo ha immaginato. L’universo di ogni opera e di ogni film ci parla di una nuova verità. Nel buio della sala diamo ad ognuno la possibilità di sognare e di esprimersi liberamente. Se l’arte vuole cambiare le cose e proporre nuove idee, questi obiettivi si raggiungono grazie alla libera creatività di colui al quale ci rivolgiamo: lo spettatore. Tra il mondo costruito dall’artista e quello del suo interlocutore esiste un legame solido e permanente. L’arte permette all’individuo di creare la propria verità secondo i suoi desideri e i suoi criteri, ma permette anche di non accettare le verità imposte e di scoprire quelle nascoste dietro al dolore e la passione che persone normali sperimentano tutti i giorni. L’impegno di un regista nel cercare di cambiare la vita quotidiana è possibile solo attraverso la complicità con lo spettatore“.

L’ingegnere è arrivato da poco nel paesino intagliato nella roccia sabbiosa del Kurdistan Iraniano che si chiama Siah Dareh.C’è una troupe con lui che non vedremo mai, solo voci fuori campo.Cosa debba fare lì non siamo messi in condizione di capirlo bene.Chiede di qualcuno, di una donna malata di cui, alla fine, ci sarà il funerale.

La donna del latte non vuole essere pagata, quella del bar gli ha salvato la macchina foto lasciata nel fuoristrada aperto, ma non vuole che lui la fotografi, passa un vecchio piegato in due che gli augura buona giornata.

Dietro queste tenebre c’è la notte che trema,

e la terra si ferma dal girare.

Dietro queste tenebre uno sconosciuto

si preoccupa per te e me.

L’ingegnere ha una macchina foto che usa poco, va e viene continuamente di corsa dal paese alla cima della collina retrostante per trovare campo quando squilla il cellulare, ma niente di abbastanza chiaro nelle telefonate.

Sull’altura, fra il verde e l’ocra di una natura intatta che sembra riprendersi tutti i suoi diritti, si ferma a guardare una tartaruga lenta con la sua casetta sulle spalle, le dà un calcio, la rovescia e va via.

La tartaruga, pian piano, si capovolge e continua a vivere.

Un uomo, lì vicino, sta scavando una buca, sembrerebbe per una tomba. Non lo vediamo, voce fuori campo, ancora.L’ingegnere gli parla, beve il suo thè nel fornelletto sotto l’albero, poi torna al paese senza strade, passa da una casa all’altra saltando fra i tetti, sbuca sotto architravi, scende ripidi scalini.

C’è un bambino, un dolcissimo bambino che va a scuola, ha gli esami, è bravo (Ahmed di Dov’è la casa del mio amico è il prototipo dei bambini dei film di Kiarostami)

Gli dà informazioni sulle persone, sul latte, dove trovarlo, ma poi deve lasciarlo, col suo sorriso gentile gli dice che è in ritardo, ha l’esame.Lui andrà a trovarlo a scuola e, dal finestrino, gli parlerà della morte:

-Come una macchina, quando ha lavorato troppo, muore-

-Ma tu stamattina non hai lavorato- dice sorridendo il bambino

-Si diventa pazzi, anche senza far niente, si arriva fino a scoppiare…

 Squilla il cellulare, l’uomo deve scappare di nuovo in collina fra nuvole di polvere.

Il vecchio della buca crolla, sta per morire sepolto dalla terra, tutti accorrono e lo portano in ospedale col  fuoristrada dell’ingegnere che sale sul motorino del dottore. L’uomo si salverà, dice il dottore:

Se il mio angelo custode

è quello che conosco

proteggerà il vetro dalla pietra

 e fra campi di grano a perdita d’occhio, sul motorino traballante, parla della vita, della vecchiaia e della malattia, e di cosa c’è di peggio, la morte, quando gli occhi non vedranno più la bellezza della natura.

Dicono che l’altro mondo è più bello – fa l’ingegnere

Ma non è tornato nessuno a raccontarcelo – risponde il medico, un po’ poeta, un po’ filosofo:

Dicono che è bello come un angolo di Paradiso

Io dico che il succo dell’uva vale di più.

Preferisco il presente a queste belle promesse

E’ da lontano che un tamburo sembra melodioso.

La luce gialla del sole si spegne sui campi di spighe che ondeggiano morbide in primo piano.La sera si accende di luci nel paesello incastonato come un triangolo fra due pareti di roccia, un abbaiare di cani, il campanaccio di un gregge che torna.Una luce pallida cresce, un gallo avverte che la notte sta finendo.

E’ giorno, l’ingegnere riprende la sua sacca, la troupe è andata via senza avvertirlo, sale in macchina e fa foto ad un gruppo di donne velate, forse è il funerale della vecchia malata.

Parte.

Un vecchio passa col suo bastone, le donne preparano il pranzo su grandi tegami in piazzetta.Il fiumiciattolo scorre sciacquettando, qualche capra bruca sulla riva, un basso di violoncello seguito da un clarinetto continua sui titoli di coda.

Non è successo nulla, in questo angolo di mondo povero e gentile, se non la vita.

Gran Premio Della Giuria alla 56° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia

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Chi è Forough Farrokhzad

Sono nata e cresciuta in Iran.
Ho studiato arte all’università della mia città e lì, per circa due anni, ho frequentato un gruppo di studio, formato in maniera spontanea da noi studentesse. Eravamo “I Fiori Gialli” (Gol-e-zard گل زرد ). Per distinguerci ci piaceva cingerci i capelli con un piccolo fiore giallo spontaneo che raccoglievamo nei prati. Erano anni di grandi sogni, speranze e profonde amicizie.Finiti gli studi con alcune di loro ho lavorato come responsabile per un laboratorio artistico del comune della mia città. Era uno dei sogni che diveniva realtà: lavorare nel mondo dell’arte e farlo ancora al fianco dei miei cari “fiori gialli”.
Ma nel frattempo eravamo cresciute, le nostre vite cominciavano a porci di fronte a bivi e scelte, a volte inaspettate o da sempre desiderate, e la mia scelta è stata quella di andare.
Prima a Tehran e poi infine in Italia, inseguendo un altro grande sogno che mi accompagnava sin da bambina.
Il vento ci ha portato via.

Questo lavoro è un omaggio a loro, ai miei amati “fiori gialli”, ai loro sorrisi e a quell’ energia giovanile che mai dimenticherò. È un viaggio a ritroso nei ricordi, la voglia di ricostruire trame, volti, spazi, attimi e frammenti di una vita che spesso mi appare “altra” e lontana, a volte invece cosi intensamente vicina.”

( da https://www.privatephotoreview.com/2020/04/il-vento-ci-portera-via/)

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Il vento ci porterà via

Iran/Francia, 1999 durata 118′

titolo originale:Bad ma ra khahad bord – 

di Abbas Kiarostami

con Behzad Dourani e gli abitanti del villaggio di Siah Dareh

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