ll caftano blu di Maryam Touzani

Un Kaftan deve sopravvivere a chi lo indossa, passare da madre a figlia, superare la prova del tempo”, in questo abito di seta lungo fino a terra, impreziosito da ricami a trecce con filo d’oro, asole ritorte e bottoni a forma di piccole prugne, la seta leggerissima dai colori del cielo e dell’aria scivola lungo il corpo con onde fluide, non costringendolo, anzi valorizzandone le forme.

Quello che Halim (Saleh Bakri) sta cucendo con i suoi tempi lunghi e la cura minuziosa dell’antico artigiano, si vedrà nel suo splendore solo alla fine, quando sarà indossato dall’unica persona degna di tanta bellezza. Il film ruota intorno a questa preziosa manifattura che Halim sfiora con leggerezza, è impregnato dai suoi tempi lenti che si scontrano, come le onde del mare, contro la ruvida roccia del presente usa e getta, del tutto subito, dell’apparire non dell’essere.

Il tempo non conta nella piccola bottega  di Halim in una delle medine più antiche del Marocco, dove con la moglie Mina (Lubna Azabal) porta avanti l’antico mestiere ereditato dal padre.

L’arrivo del giovane apprendista Youssef sarà amore per Halim, un sentimento dolcissimo fatto di sguardi che Mina coglie e solo per un attimo vive con amarezza. Poi l’amore per Halim, il rispetto di Halim per lei, la tenera vibrazione che si avverte fra i tre, fanno di questo suggestivo esemplare di film queer del Maghreb un delicato canto d’amore, che scorre fra i vicoli che risuonano dei motivi arabo-andalusi portati dagli antichi profughi musulmani ed ebrei sefarditi scacciati dalla penisola iberica dalla Reconquista.

Dei tre personaggi, solo di Halim intuiamo un retroterra infelice nel breve racconto che fa a Mina della madre morta di parto e di un padre che l’odiava. Degli altri nulla, sembrano materializzarsi sulla scena in epifanie necessarie al compimento di un rito, la costruzione del kaftan blu petrolio e la costruzione di un amore.

Chiudi gli occhi”, dice Halim a Youssef “ Senti il rumore del mare?”, sul ricamo d’oro del kaftan le dita s’incrociano per un attimo.

Maryam Touzani, regista marocchina che ha scritto questo film a quattro mani con il marito Nabil Ayouch, dà alla storia e ai suoi personaggi il tocco realistico e magico insieme che ricorda la grazia di tante figure pasoliniane, in quel parlare e soprattutto tacere, nel rivelare l’intimità senza esibirla, costruendo con piccoli gesti un mondo in cui passato e presente convivono, non si negano reciprocamente, le vite degli uomini s’intrecciano come quei ricami, difficili, lenti da realizzare, ma alla fine capolavori.

Vincitore del premio Fipresci, il film ha incantato le platee mondiali e rappresenterà il Marocco agli Oscar. 

Racconta Maryam Touzani: “ Ho un vecchio caftano che apparteneva a mia madre e quando ero bambina pensavo fosse magnifico. Sono passati gli anni e poi, un giorno, l’ho indossato rendendomi conto di quanto siano preziosi questi oggetti. Possono essere tramandati da una generazione all’altra e raccontare la storia di chi li ha realizzati, per poi prendere l’essenza della persona che li indosserà. Amo sinceramente l’artigianato di molti mestieri che, purtroppo, stanno scomparendo, mentre altre tradizioni meritano di essere messe in discussione e scosse.”

Il caftano blu

Titolo originale Le bleu du caftan

Francia, durata 121’

Regia: Maryam Touzani

Con Lubna Azabal, Saleh Bakri, Ayoub Messioui.

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