Migranti del tempo – REMO BODEI

Remo Bodei (Cagliari 1938 – Pisa 7 novembre 2019) filosofo tra i massimi esperti delle filosofie dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica, è mancato da pochi giorni.

Vogliamo ricordarlo e ricordare la sua grande capacità di comunicare, sia con gli studenti che con il grande pubblico, soprattutto su temi scottanti come la ricerca della felicità personale e i vincoli che condizionano le aspirazioni dell’individuo.

Quella che segue, a cura della nostra collaboratrice per letteratura e teatro, Sara Di Giuseppe, è l’analisi della sua lectio magistralis tenuta nel 2015 al festival filosofia di Modena di cui fu Presidente del Comitato Scientifico.

REMO BODEI

“I paradossi del tempo”

Modena, Piazza Grande – 18 settembre 2015

Ma, ahimé, che m’inganno, / tu sei, tempo, che te ne stai / io sono quello che se ne va

 (Luís de Góngora y Argotte)

Suggestivo paradosso, quello del poeta barocco: il tempo resta fermo, siamo noi che passiamo. Niente di meglio per iniziare il “modico lavaggio del cervello” che Bodei dirà di voler fare con la sua Lectio, “sabotando” l’immagine comune del tempo.

Inoltrarsi nella riflessione su tanto argomento è un po’ salire sulle montagne russe di un ideale luna-park filosofico. Siamo davvero sicuri che il tempo scorra, che sia aristotelicamente una retta in cui il presente è un punto inesteso che procede dal passato e si protende verso il futuro? Oppure il tempo non esiste come movimento e – così nella dottrina agostiniana – noi non ci spostiamo dal presente poiché il passato esiste solo come ricordo e il futuro solo come speranza? O accettiamo la “licenza poetica” per la quale siamo noi che andiamo mentre il tempo resta fermo?

Domande da perderci il sonno, noi non-filosofi.

La filosofia interviene dunque coi suoi paradossi – nell’etimo di “opinioni contrarie a quelle accettate per vere” – a sabotare l’idea di un tempo concepito semplicemente come fluire; a dirci che esso – lo si pensi come una retta, o un punto, o un circolo – è, per esempio nella dottrina freudiana, anche tempo psicologico: “tempo che non passa” nel quale si incistano i ricordi che abbiamo rimosso, e che coesiste col tempo che scorre; ciò che è immobile accanto a ciò che fluisce.

In Leibniz il futuro è già nel passato e “nell’anima il presente cammina già gravido del futuro”. In Walter Benjaminil futuro sverna nel passato” e le promesse non realizzate del passato proiettano la loro ombra sul futuro.

Tecnologia e scienza ce l’hanno messa tutta in circa due secoli per dare un serio scossone all’idea di una natura irreversibile del tempo: dal grammofono di Edison che può emettere i suoni al contrario ruotando il rullo all’indietro, alle fette di salame che si ricompattano nel salame intero mandando indietro la pellicola ne “La charcuterie mécanique” di Louis Lumière, al palazzo bruciato che si ricompone dalle proprie macerie in “The american fireman” di Samuel Porter.

E siamo appena agli inizi del “secolo breve”: più tardi, ancora nel ‘900, cinema e narrativa di fantascienza modificano il nostro immaginario relativizzando l’idea di un tempo che si muove esclusivamente in avanti.

Perfino il “déjà vu”, inquietante fenomeno che unisce e divide la percezione e il ricordo, è ricondotto dalla scienza ad una alterazione del lobo frontale sinistro (“procedo nel crearvi imbarazzi” chiosa Bodei, come dargli torto?)

Perfino l’idea di eternità, che il senso comune fa discendere dal tempo, non ha con questo alcun rapporto.

L’eternità non riguarda la quantità del tempo ma la qualità di esso: da Plotino a Hegel, essa non ha a che fare con la durata; è “vita in quiete” in Plotino; è “pienezza di vita” – plenitudo vitae – in Boezio, laddove il tempo è “emorragia di vita”, è povertà, bisogno, è rincorrere una felicità terrena che non può essere raggiunta.

Ancora: come stabilire se il tempo sia lineare, o non sia addirittura costituito da tempi paralleli coesistenti pur se estranei tra loro, o non abbia piuttosto una ciclicità secondo la dottrina prevalente nel mondo classico (gli stoici, perfino, ipotizzavano cicli di 32mila o 72mila anni) che giustifichi una teoria dell’ ”eterno ritorno”?

A partire da Agostino l’idea cristiana è invece quella di un tempo lineare: la ciclicità, l’eterno ritorno significherebbero la morte della speranza e della libertà individuale.

Domande sul tempo che danno la misura della nostra imperfezione: i nostri cinque sensi ci permettono di entrare in contatto con ogni cosa (con la vista arriviamo fino alle galassie) ma non con il tempo, e la percezione che ne abbiamo attraverso i mutamenti esterni non basta a sciogliere i dubbi su di esso.

Esistono, si chiede Bodei, “più tempi interni all’unico tempo che li misura”?

Non abbiamo certezze, tuttavia i paradossi del tempo non tolgono verità all’idea comune che ne abbiamo, la quale è anzi funzionale alle esigenze sia della pratica quotidiana che della ricerca, che della filosofia.

MIGRANTI DEL TEMPO

E’ solo nella reciproca connessione delle sue tre dimensioni di passato, presente e futuro che si ricompone la nostra identità: poiché, conclude il filosofo, “siamo tutti migranti”, non nello spazio ma nel tempo, e abbiamo bisogno della memoria ma anche dell’oblio, così come i migranti nello spazio geografico ricreano nell’altrove il microcosmo che hanno abbandonato, oggettivizzando il dolore del distacco, ricordando per dimenticare.

E’ bella l’atmosfera che la filosofia del Festival sa creare intorno a sé. Si torna al proprio presente con qualche consapevolezza in più e qualche fecondo dubbio.

Non senza tuttavia un po’ di disincanto. Dio benedica gli intellettuali che ascoltiamo in quelle piazze di sole giaguaro e sotto i tendoni mentre la pioggia ruscella al di fuori: se non ci fossero bisognerebbe inventarli, il loro ragionare tocca corde profonde e ci avvince. Ma ci sembra difficile trovare nelle Lezioni ascoltate cose che essi non abbiano detto e scritto – belle e pensose e importanti – in anni anche di parecchio trascorsi.

Ben venga anche questo, di certo non abbiamo sprecato il nostro tempo, e avremo voglia di leggere quel libro che forse non ci avrebbe interessato, e avremo catturato nelle parole del filosofo il bagliore di un pensiero solo intravisto e sfuggito poi al nostro quotidiano rincorrere l’importantissimo nulla. Saremo comunque un po’ più nuovi.

Per evitare il disincanto, basterà tenere a mente ciò che il bravo Umberto Galimberti – parlando del vigore della giovinezza nella sua lectio su “L’adolescenza” – ha limpidamente confessato: “Tutto il mio pensiero l’ho elaborato fino ai trent’anni, dopo vi ho solo…ricamato sopra”.

Intervista a Remo Bodei sul tempo (2009)

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