I Nibelunghi di Fritz Lang

a cura di  Valerio Vannini, esperto di cinema espressionista tedesco, per l’analisi de I Nibelunghi, uno dei capolavori di Fritz Lang.

Alle quattro parti dell’approfondimento critico  si accede cliccando i titoli sottostanti e dallo spazio dedicato in Specials Post:

  1. Sinossi
  2. Storia critica e disavventure del film
  3. Il “non wagnerismo” di Fritz Lang
  4. Conclusioni

 Trailer

Tutto è magniloquente, simmetrico e petroso(Stefano Socci)

SINOSSI

PRIMA PARTE

Siegfried Tod (La morte di Sigfrido) durata 140’

 Sigfrido lascia la foresta in cui è cresciuto, con la spada forgiata sotto la guida dello zoppo Mine.

Dopo aver ucciso il drago e il nano Alberico, guardiano del tesoro dei Nibelunghi, arriva – reso invisibile dall’elmo magico – nel regno dei Burgundi per aiutare il loro re a vincere e conquistare l’amazzone Brunilde, regina d’Islanda. In cambio, Sigfrido ottiene la mano della sorella del re, Crimilde. Ma la furente Brunilde lo fa uccidere da Hagen, che colpisce l’eroe a tradimento durate una battuta di caccia.

 Conforme al tessuto fantasioso della vicenda, la realizzazione si appoggia su un ambizioso impiego di monumentali scenografie, ampie e simmetriche, ed è soprattutto questo particolare supporto scenografico che può far considerare questo primo segmento quello che ha più a che fare con l’espressionismo: anche qui, come nell’espressionismo tipico, gli attori si muovono compiendo movimenti sempre funzionali all’ambiente, ma non diventano mai elementi strettamente subordinati alla composizione figurativa dell’immagine né tantomeno risultano asserviti prioritariamente ad essa.I richiami iconografici di riferimento, sono invece facilmente riconducibili alla pittura di Böcklin e al teatro di Max Reinhardt.

SECONDA PARTE

Kriemhilds Rache (La vendetta di Crimilde) durata 133’

La seconda parte, abbandonando la più pura tradizione germanica del mito, ha i suoi ascendenti di riferimento in successive leggende.

In odio agli uccisori di Sigfrido, Crimilde va nel regno degli Unni e diventa la moglie di Attila. Persuade il re ad invitare alla sua corte i nobili Burgundi, che giungono e vengono onorati, mentre Crimilde prepara la vendetta. Hagen, ancora una volta strumento di tragedia, uccide il piccolo erede al trono e solleva i burgundi contro gli Unni. Nei furibondi combattimenti che seguono, anche Attila resta ferito. Poi nella grande battaglia finale, i Burgundi si asserragliano nel palazzo reale che viene dato alle fiamme mentre con la spada di Sigfrido Crimilde decapita Hagen e il re burgundo, ed è ecatombe totale.

APPUNTI CRITICI

La stilizzazione del primo capitolo cede dunque il posto al dinamismo dei movimenti del secondo, ed è così che la semi-staticità dell’epopea burgunda viene plasticamente contrapposta alla selvaggia e forsennata mobilità delle orde unne, in un panorama non più magniloquente di costruzioni (qui di stile più orientale), che sono questa volta basse, anguste e tutt’altro che solenni.

La sceneggiatura (di Thea von Harbou, la moglie, e dello stesso Lang) fa della saga nibelungica un’apologia dello spirito germanico che il regista utilizza di fatto per inserire nella struttura filmica dell’opera le tematiche a lui più care e congeniali, come quelle dei contorcimenti della gelosia e dell’odio che generano la vendetta, della morte che uccide l’amore e – soprattutto – della centralità del fato che guida sempre il destino degli uomini al di sopra (e persino contro) il loro volere.

 

Articolato in quattordici canti e due parti realizzate con stile diverso (La morte di Sigfrido che è retto da una ferrea concezione che rende gli uomini e le folle elementi integrati alle strutture architettoniche degli edifici e La vendetta di Crimilde che è invece dominata dal caos di un susseguirsi di battaglie, incendi e massacri resi a loro modo epici, austeri e stilizzati grazie ad una eccellente tenuta formale dell’insieme) il film ha un ritmo di solenne, ieratica lentezza, perfetto per impaginare il racconto di questo splendido, terrificante crepuscolo degli uomini più ancora che degli dei.

Costato un patrimonio (peraltro in un periodo di inflazione galoppante) fu prodotto dall’UFA ma con il cospicuo contributo economico dello Stato garantito dal ministro Gustav Stresemann (premio Nobel per la pace nel 1926).

Il progetto, molto complesso e articolato, richiese due anni di preparazione e sette mesi di riprese (alcune fonti parlano di nove mesi) sufficienti però a cambiare radicalmente il volto di un paese ormai sempre più preda dell’ideologia nazista.

Completamente realizzato nei teatri di posa di Neu Babelsberg e di Staaken dove furono ricostruiti tutti gli ambienti, compresa una fitta foresta cosparsa di fiori artificiali e tronchi di cemento modellati dalla luce elettrica e alcune brevissime sequenze in esterno fatte per sfruttare il gelo e la neve del freddo inverno tedesco, poté contare su un formidabile contributo creativo fornitogli dagli scenografi Hunte, Kettelhur e Volbrecht, da Otto Gentsch e Erich Kettelhunt (i responsabili degli effetti speciali) e dagli operatori di ripresa Hoffman e Rittau (memorabile la scena della pietrificazione dei nani) e Walter Ruttmann (per la sequenza del sogno degli avvoltoi).

E’ comunque giusto ricordare anche le immagini altrettanto celebrate della morte di Sigfrido colpito da una lancia in un bosco di betulle, del furto della rete magica al re dei Nibelunghi, della caverna del tesoro in cui Sigfrido prende la sua spada, del drago vinto e decapitato, della lunghissima battaglia finale.Infine quelle girate sul grande scalone della cattedrale, nella fortezza di Crimilde e nell’oppressiva sala in cui la donna fa il suo giuramento di vendetta..

Vedendo le due parti di seguito risulta poi chiaro che se la costruzione dell’intreccio leggendario nasce dalla indubbia concordanza delle idee ancora esistente fra Lang e la von Harbou (gli eroi sono uomini semplici e fallaci – tutti, compreso il biondo Sigfrido – e non emanazioni divine ed è solo attraverso la loro umanità che diventano grandi fino ad assumere la dimensione del mito), questa concordanza finisce però lì perché poi, pur tenendo in apparenza fermo questo principio, si verificherà una evidente divaricazione degli intenti e degli obiettivi che prenderà forma già dalle prime fasi di lavorazione e che rende palese la più personale concezione delle cose del regista.

Fritz Lang e Thea von Harbou

Il suo modo di procedere non tende qui alla rappresentazione tout court di quello che prevede il soggetto e ad una sua testimonianza passiva dell’insieme, ma agisce invece come ricreazione, costruzione di un mondo che reinventa, rideterminando così semanticamente anche gli accadimenti che vengono raccontati.

La sua è una visione epica e disincantata al tempo stesso, ma è proprio attraverso questo costante ribollire di idee e di invenzioni che Lang riesce a fare grande cinema (in questo caso proprio aggiustando, adeguando coraggiosamente la forma e lo stile dei due differenti segmenti della sua opera).

Tutto questo sposta evidentemente l’asse in un’altra direzione rispetto alla concezione più rigidamente organizzata della von Harbou, oltre a cozzare violentemente contro l’esaltazione nazista della volontà.

Il regista cerca infatti – se non proprio di annullare – di passare almeno in secondo piano i fatti per concentrarsi soprattutto sulle possibilità compositive dei materiali eterogenei che ha a sua disposizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Così chiosa Gian Piero Brunetta in Cinema perduto. Appunti di viaggio tra film e storia – Universale Economica Feltrinelli, 1981:

Ne i Nibelunghi i nuclei da cui si può partire (…), si sviluppano per coinvolgimenti successivi e non in maniera lineare e consecutiva. L’attenzione va rivolta soprattutto alle singole unità e ai procedimenti di associazione e sostituzione, secondo determinati principi logici e ideologici.(…). Lang procede insomma all’articolazione del racconto facendo entrare in gioco una serie di nuovi codici subalterni che hanno la funzione di confondere e neutralizzare la componente dominante del messaggio ideologico, anche se non riescono a rovesciarla del tutto.”

Sull’appartenenza di Lang alla corrente espressionista è lecito e corretto dire che è stato un regista “espressionista “, ma ammettendo però che il suo – e in particolare in questo film – è stato un espressionismo molto personalizzato, poiché la coerenza e la linearità dei film espressionisti girati nello stesso periodo in lui hanno lasciato il posto ad una struttura a stratificazioni multiple, priva di un centro formale unificante e univoco.

All’ armonia statica della prima parte, seguono infatti sequenze molto dinamiche nella seconda, a conferma che nel suo film esistono davvero interessanti piani diversificati di una narrazione sempre in movimento sorretta da un ritmo misto di variazioni e di riprese.

Per dirla con Mouller, qui c’è insomma “al tempo stesso l’immobilità e il suo contrario”, e questo ci sembra davvero straordinario.

I Nibelunghi

titolo originale: Die Nibelungen

Germania, 1924

durata 237’, versione estesa 287’

b/n muto

regia di Fritz Lang

soggetto di Fritz Lang e Thea von Harbou

scenografia: Hunte, Kettelhur  Volbrecht,

effetti speciali: Otto Gentsch e Erich Kettelhunt

operatori di ripresa: Hoffman, Rittau, Ruttmann

con Paul Richter, Margarete Schön, Rudolf Klein-Rogge, Gertrud Arnol

 

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