Il gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene- parte prima

 a cura di Valerio Vannini

Parte prima

1. SINOSSI
2. LA GENESI
3. IL FILM

Cos’è dunque ancora oggi questa straordinaria pellicola? Non certo una sterile rappresentazione accademica di perizia tecnica, ma il preoccupato e profetico presagio allucinato di una tragedia in evoluzione dove lo stile rigorosamente inventivo della forma è fondamentale per permettere al regista di sviluppare le sue inquietanti premonizioni.”

SINOSSI
Tutto il film è raccontato dal giovane Franz .
Siamo nella cittadina di Holstenwall negli anni intorno al 1830 ed è lì che incontriamo il Dottor Caligari che sta chiedendo al Comune l’autorizzazione per poter esibire al pubblico il sonnambulo Cesare che sa prevedere il futuro.
Il funzionario incaricato lo tratta con alterigia e la mattina dopo viene trovato assassinato. L’azione si sposta poi all’interno di un padiglione della fiera della cittadina dove Caligari presenta al pubblico il sonnambulo che sta dormendo disteso in una bara. Lo sveglia e invita gli astanti a interrogarlo. Fra il pubblico c’è anche Franz con il suo amico Alan che, incuriosito, chiede di sapere quanto sarà lunga la sua vita. “Solo fino all’alba” è la risposta perentoria del sonnambulo (e in effetti il giovane verrà davvero pugnalato a morte nel corso della notte).
Franz, saputo della morte del suo amico, avverte Jane, la ragazza che ama (e che era anche amata da Alan) e chiede a suo padre, medico, di andare a visitare Cesare per saperne di più sulla sua chiaroveggenza,.
I due delitti mettono in subbuglio l’intera cittadina e la polizia arresta un uomo armato di coltello che sta per uccidere una vecchia. Costui però nega di aver commesso i due delitti.
Jane, incuriosita da ciò che Franz le ha raccontato e preoccupata dal fatto che il padre tarda a rientrare, si reca al tendone di Caligari, dal quale però fugge terrorizzata dal sonnambulo che, svegliatosi, l’ha fissata intensamente come se volesse penetrarla col suo sguardo.
Nella notte, Cesare si introduce armato di pugnale nella camera della ragazza, ma invece di ucciderla la rapisce e, inseguito dalla folla, fugge per tetti e stradine finchè non crolla per sfinimento.
La ragazza, finalmente libera, assistita dal padre e da Franz, denuncia Cesare, ma la polizia nella bara trova soltanto un manichino.
Franz decide allora di seguire Caligari e lo vede entrare dentro il manicomio scoprendo così che ne è il direttore. Mentre questi dorme, ne legge il diario che gli svela la chiave dell’enigma: mosso dal desiderio di potenza, l’uomo ha voluto imitare un ipnotizzatore che agli inizi del settecento percorreva l’Italia del nord commettendo vari assassinii tramite il suo medium che aveva ipnotizzato. Il mostro è così smascherato e viene immobilizzato dagli agenti.
Franz termina così il suo racconto, ma, dopo una dissolvenza, lo ritroviamo seduto nel cortile dell’inizio, che è quello del manicomio, in compagnia di Cesare e di Jane. Capiamo così che anche lui, insieme agli altri personaggi del racconto, è un degente pazzo della clinica e che il racconto è il frutto della sua ossessione.
Quando il giovane si scaglia contro il direttore chiamandolo Caligari, gli infermieri lo immobilizzano, mentre il dottore si dice convinto, ora che ha capito le origini del suo male, di poterlo guarire.

video integrale

LA GENESI

Il Krakauer nel suo saggio sul cinema tedesco Da Caligari a Hitler, fa un racconto dettagliato della genesi della storia, di come cioè nacque e maturò nella mente dei due autori del soggetto l’idea di questo film e della collaborazione creativa che si instaurò fra due amici di differente estrazione e ceto.
Erano il cecoslovacco Hans Janowitz, nella cui scrittura si avvertono prepotenti e interessanti influenze di una Praga magica e onirica, dove la realtà si confonde con i sogni e i sogni posso amplificarsi così tanto da diventare spaventose allucinazioni anche premonitrici, e il più pragmatico Carl Mayer, austriaco figlio di un facoltoso uomo d’affari di Graz.
I due si incontrarono a Berlino subito dopo la prima guerra mondiale, trovandosi così affini nelle idee e nelle aspirazioni rivoluzionarie da decidere di unire i loro sforzi in un proficuo sodalizio artistico per meglio coagulare e diffondere le loro idee.
Ne risultò questa aspra critica al potere, fortemente oppositiva non solo rispetto a ciò che avevano visto e vissuto come esperienza diretta durante il sanguinoso conflitto armato, ma anche a ciò che sembrava già profilarsi minaccioso all’orizzonte.

E’ necessario però sottolineare che quello che è poi approdato sullo schermo non è esattamente il soggetto originale immaginato dai due autori.
Per realizzare un film c’è infatti bisogno di una produzione che lo finanzi e lo sostenga e questa fu trovata nella Decla-Bioscop, per l’interesse che la storia suscitò in Erich Pommer, suo dirigente capo.
Attratto soprattutto dalle anomalie strutturali del progetto rispetto ai canoni standardizzati del periodo, più che al lato artistico dell’impresa era interessato alla notorietà che poteva procurargli e al conseguente ritorno economico derivante da una possibile, capillare distribuzione della pellicola in Europa e in America.
Pommer aspirava ad inserirsi con successo nei mercati internazionali e riteneva che per raggiungere questo obbiettivo fosse necessario un soggetto forte sul quale, proprio per conseguire il suo scopo, interferì pesantemente in fase di realizzazione, imponendo la sua particolare idea di cinema, tutt’altro che corrispondente alla portata rivoluzionaria dell’opera così come era stata concepita dai due scrittori.
Fu dunque lui a pretendere che fosse inserita nel racconto una cornice (prologo ed epilogo) che ne alterava profondamente il senso, totalmente sordo alle indignate proteste dei due soggettisti di fronte al radicale cambiamento di prospettiva che ne sovvertiva i significati, il senso e la morale.
Pommer lasciò però intatto tutto il resto e sostenne di conseguenza la scelta innovativa della messa in scena che, a conti fatti, è avvantaggiata da questi innesti che conferiscono al racconto un aspetto ancor più “ambiguamente disturbante”.

Di fatto la pellicola si tramutò in un prodotto che da rivoluzionario (l’intento polemico degli sceneggiatori era denunciare la folle violenza dell’autorità che strumentalizza i suoi sudditi e li fa diventare simili ad automi), si ribaltava in una visione fortemente conformizzata, con quel suo trasferire il tutto dalla realtà alla demenziale ossessione paranoica di un pazzo.
Con il cambiamento era l’autorità (cioè Caligari e la sua funzione “normalizzante”) ad uscire glorificata, a discapito di ciò che gli si contrapponeva, identificabile nello squilibrio mentale del suo antagonista, giustamente represso dal terapeuta impegnato nello strenuo tentativo di riportarlo alla normalità di pensiero neutralizzando così le sue allucinazioni perverse e persecutorie.

Inutile però disquisire ancora su cosa il film avrebbe potuto essere, sembra addirittura che tale variazione sia stata suggerita – o meglio ipotizzata – già dal primo regista designato, Fritz Lang, poi autoesoneratosi perchè impegnato nella realizzazione di Die Spinnen.
Crediamo però, salvo riscontri contrari, che tale ipotesi sull’intervento di Lang sia solo una semplice e marginale curiosità del tutto ininfluente.
Ci manca di questa ipotesi anche il conoscere come l’opera avrebbe potuto trasformarsi nelle sue mani e il senso che avrebbe potuto assumere nel contesto complessivo il suo contributo creativo, certamente più consistente e corposo rispetto al pur decorosissimo artigianato del suo successore.

Quel che è certo è che le variazioni non sono assolutamente imputabili a Wiene, che subentrò nel progetto ereditandone la regia, prologo ed epilogo compresi.
Certamente meno creativo e “autore” di Lang, e soprattutto meno importante e influente di lui, Wiene ebbe davvero poca voce in capitolo, ammesso che le sue idee potessero anche essere divergenti.
Si adeguò invece passivamente e di buon grado alle richieste della produzione, diventandone il diligente esecutore.

Ma poichè non è tanto importante cosa si racconta quanto il modo in cui si racconta e rappresenta, è soprattutto su questa considerazione, oltre che sul potere affabulatorio che continua ad esercitare il film, percepito ancora oggi come quel capolavoro indiscusso e indiscutibile che è, che dobbiamo soffermarci a riflettere partendo semplicemente da Wiene e dal lavoro da lui svolto, riconoscendogli almeno il merito di essere riuscito a mantenere intatta proprio la sotterranea simbologia di “ tragedia incombente” che rimane il suo elemento caratterizzante, quello che meglio di altri trasmette una profonda inquietudine esistenziale di straordinaria potenza evocativa, fuori dal tempo e dalle mode.

IL FILM
Alla luce delle numerose analisi e valutazioni critiche svolte nel tempo, non è possibile limitarsi ad una indagine interpretativa storico-sociologica che finirebbe, inevitabilmente, per coinvolgere tutto il complesso fenomeno del cinema espressionista tedesco che va dal 1919 fino al 1933, peraltro meno monolitico nella struttura e nella forma di quanto possa apparire ad una prima, superficiale analisi.
Altrettanto riduttivo sarebbe sposare, come tesi prioritaria e preminente, l’influenza attrattiva (che ha in ogni caso avuto il suo peso) dei gruppi di avanguardia raccolti intorno alle riviste più di tendenza del periodo.
Citiamo Der Sturm di Herwarth Walden in particolare, per il predominante valore delle scene pittoricamente espressioniste che caratterizzeranno l’intero movimento, anche se con esiti non sempre del tutto positivi.
Se ci si limitasse alla prima istanza, infatti, basterebbe rimanere ancorati (senza altro aggiungere) al pensiero di Krakauer, che è stato esaustivo al riguardo, con argomentazioni intelligenti e penetranti, ma che adesso sono ovviamente bisognose di ripensamenti sulla base di tutto quanto è emerso ed è stato scritto successivamente.
Storicizzandone fortemente il senso in una prospettiva di matrice soprattutto politica (che è appunto il metro valutativo utilizzato dal Krakauer) rimarremmo chiusi dentro una visione metodologicamente marxista del pensiero che privilegerebbe, oggi come allora, il contenuto sulla forma.

Orientamento oggi non più proponibile (o almeno non pienamente condivisibile) finirebbe per marginalizzare troppo gli elementi di effettiva “rottura innovativa” che l’opera possiede, che sono molteplici ed importantissimi e si estrinsecano principalmente, al di là della storia raccontata, proprio nella forza prepotente delle immagini, nella composizione e nel taglio delle inquadrature e nel ritmo imposto alla narrazione.
Un’ analisi più aggiornata ai tempi porta in primo piano la peculiarità della sua confezione architettonica, partendo proprio dalla teorizzazione formulata da Hermann Warm (I film devono diventare dei disegni viventi), geniale scenografo del film insieme a Roehring e Reimann.
Visione interessante ma piuttosto riduttiva anch’essa, poichè rischia di svalutare fortemente l’opera, riducendola a poco più di una galleria animata di piccoli quadri in movimento.

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Il gabinetto del dottor Caligari
titolo originale: Das Cabinet des Dr. Caligari
Germania 1920 durata 78’
regia di Robert Wiene
sceneggiatura Hans Janowitz , Carl Mayer
con Werner Krauss, Conrad Veidt, Lil Dagover, Friedrich Feher

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4. NUOVA PROSPETTIVA CRITICA
5. IL PUBBLICO
6. IL REGISTA

 

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