La poltrona del padre di Àlex Lora, Antonio Tibaldi

Il fatto e i protagonisti: un appartamento di Brooklyn e due anziani ebrei alle prese con una disinfestazione globale della loro casa, con eliminazione di suppelletili e spazzatura in quantità industriali. Per sette giorni, come la creazione divina, un’intera squadra lavora senza posa a rimuovere montagne di oggetti e rifiuti accumulati per anni mentre l’inquilino del piano di sopra minaccia sfracelli se non si risolve il problema delle ondate maleodoranti che salgono fino a lui.

Se la memoria è selettiva, la vita reale, quella in cui ogni mattino ci svegliamo stupiti di esserci ancora, lo è ancora di più, e se non siamo affetti da sindrome dell’accumulo (disposofobia) cominciamo subito a rassettare, pulire, differenziare rifiuti nei cassonetti, e tutto, se ci pensiamo bene, al fine di cancellare accuratamente le tracce del nostro passaggio terreno.Se poi proviamo addirittura piacere in questo turbinìo compulsivo chiediamoci come si chiama quest’altra sindrome, il nome sarà altrettanto fantasioso e  impronunciabile.

Abraham e Shagra, anziani gemelli di Brooklyn, appartengono al genere dei disposofobici, disturbo della personalità socialmente inaccettabile, troppe e troppo moleste le conseguenze. Cattivi odori che si estendono anche al vicinato, pulci, insetti e scarafaggi che s’insediano dove dovrebbe aleggiare profumo di detersivi e nitore di cere per mobili e pavimenti, difficoltà a muoversi (per gli altri) in uno spazio ingombro di tutto quel che riesce a starci, un horror vacui che non risparmia nemmeno un angolino.

Ma i due anziani fratelli di religione ebraica, kippa e barbe fluenti su corpi malandati per età e incuria, sembrano incapaci di contenere questa deriva.

Lo spazio della loro casa è la somma di tutto quello che è stata la loro vita, è come se le opere compiute e i giorni vissuti si fossero di volta in volta solidificati in oggetti e rimasti lì, per anni, testimoni putrefatti dal tempo in un tempo che si vuol trattenere ma che, inevitabilmente, scorre tutto logorando, macinando, trasformando.

E’ la legge della materia che quella “forza operosa” di foscoliana memoria “affatica di moto in moto

e l’uomo e le sue tombe
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.

 Purtroppo la poesia non ha cittadinanza dove lo smaltimento rifiuti è un grosso problema planetario e le “reliquie” sono solo maleodoranti sacchi di spazzatura da smaltire in qualche modo ammucchiati da due vecchietti mezzi matti . Liquidiamo così, con la diagnosi di disturbo della personalità, un modo di essere al mondo, ma in quello sbagliato, un mondo dove non c’è più terra a riassorbire e riprodurre in un ciclo continuo la vita e la morte, e i filamenti indistruttibili di plastiche colorate vivranno più eterni degli antichi dei.

Àlex Lora e Antonio Tibaldi hanno elaborato una fantasia surreale e l’hanno calata in una sordida realtà casalinga. L’impatto fra le due sfere è a lenta combustione, si fa fatica a rendersi conto subito del problema e delle sue dimensioni, abituati come siamo a considerare lo spazio un asettico contenitore dei nostri gesti quotidiani.

Ma quando per qualche ragione il tappo salta (per i due gemelli pensiamo a difficoltà economiche, morte della madre, mancanza di punti di riferimento, e l’alcolismo di uno dei due è infatti sintomo di un rifiuto totale della realtà) una delle conseguenze possibili è questa incuria mista al bisogno di trattenere il vissuto fino all’inverosimile, in una capacità incontenibile di farsi circondare da gironi di sporcizia, seppellire da insetti onnivori, vivere come se fosse normale essere immersi nel caos primigenio. Agli occhi del mondo tutto si traduce in un problema igienico importante da risolvere con intervento pubblico, ai loro è perdere l’ultima trave a cui erano aggrappati.

Fra i titoli di coda leggiamo la dedica a Chantal Akerman, il documentario è del 2015, il 5 ottobre di quell’anno moriva, forse suicida, la regista belga.

E allora tutto diventa più chiaro, ma bisogna conoscere il cinema della Akerman per capire il senso della dedica di un documentario girato fra quattro mura a buttar via roba che è stata vita e ora è spazzatura.

“Otteneva il massimo effetto con mezzi minimi, aveva un’idea morale della forma, lontana anni luce da certe gesticolazioni attuali” hanno detto di lei.
La mitezza silenziosa dei due uomini, la loro impotenza che non è inerzia né barbarico rifiuto della civiltà, è disfatta, perdita, solitudine che gli oggetti non possono più riempire quando si sono svuotati di senso, e allora diventano solo ingombro in corso di putrefazione, tutto questo fa pensare alle drastiche decisioni di certi personaggi della Akermann.

La disfatta di Abraham e Shagra è la loro deriva esistenziale ma c’è un’ ultima battaglia ed è per i libri, invasi anch’essi dalle pulci: “No, i libri non si buttano,. Bisogna seppellirli”.

E infine per quella poltrona, la poltrona del padre. Cosa ne sarà? Finirà bruciata anch’essa in un bel falò purificatore?

Forse no, ma non anticipiamo troppo.

La poltrona del padre

 USA 2015 durata 74′

documentario

titolo originale The Father’s Chair

regia di Àlex Lora, Antonio Tibaldi

_____________________

Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.

 

Potrebbero interessarti anche...