Retrospettive – SICILIA!

Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori 

E’ l’incipit di Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini, il suono lento di adagio che avvertiamo leggendo è la voce di Silvestro, il protagonista.

Furori per il genere umano perduto… questo era il terribile: la quiete della non speranza.Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario

Dal racconto di un nostos in cinque parti ed epilogo in una Sicilia che “… è solo per avventura Sicilia, solo perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela …” Danièle Huillet e Jean-Marie Straub traggono libera ispirazione per un film breve, ieratico, intenso, in quattro episodi scanditi col ritmo raccolto della tragedia greca. Di quella, infatti, ha l’impianto teatrale, la recitazione statica, in posa, la parola che è insieme rivolta all’altro e al pubblico, la gestualità contenuta e insieme esibita.

L’opera di Vittorini si traspone così, naturalmente, in sequenze filmiche di costruzione geometrica rigorosa, diventa racconto visivo, è un procedere parallelo, quello tra il libro e il film, in cui non avvertiamo dissonanze e vediamo, anzi, come sia possibile ad un’opera d’arte brillare di luce propria e, al tempo stesso, riceverne da altre che la reinterpretano.

Il viaggio di Silvestro, i suoi incontri (il Gran Lombardo, la madre, Ezechiele, l’arrotino) sono tappe di una riscoperta di sè tra le maschere sulla scena, in una rappresentazione che travalica luoghi e momento storico (la Sicilia degli emigranti e dei contadini, del dopoguerra infarcito di miseria, “… un popolo che si ciba di una cipolla, di un uovo alla domenica, di un’arancia senza pane …” e dell’era fascista che ha annebbiato le coscienze e la necessità di quei “nuovi doveri” di cui parla il Gran Lombardo incontrato sul treno per Siracusa).

Vittorini sottrae al tempo e allo spazio il Fascismo, la sua domanda, “L’artiste doit-il s’engager?” del ’48 a Ginevra, ha trovato la risposta in una definizione del Fascismo come categoria del bene e del male a cui opporre la vera natura umana.

Straub-Huillet rendono tutto questo eloquente fin dalla prima inquadratura, con il totale del porto e l’uomo di spalle in primo piano: il mare di fronte, il molo a destra, la città all’orizzonte, la voce del vento e del mare, l’urlo dei gabbiani.

Sentiamo lo sguardo dell’uomo, la sua quiete ( “… la quiete della non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui ” ) ma avvertiamo anche la sua necessità di un ritorno dove tutto è cambiato, molti se ne sono andati, altri sono morti, restano i luoghi del sud e le piazze assolate, vuote, i muri scrostati, le architetture mescolate.

Resta una madre che non ha “mani da odalisca”, ma forti spalle e scarpe da uomo ai piedi.

Queste nostre donne, pensai, e non volevo dire le siciliane ma le donne in genere senza dolcezza per la notte sulle mani, e forse, alle volte, infelici di questo, gelose e selvagge per questo, di non avere di odalische le mani come pur avevano il cuore e la faccia e non poter tenere i loro uomini legati a loro con le mani”.

Il colloquio tra madre e figlio è centrale e incalzante, in un interno dove la macchina indugia sui pochi oggetti densi di vissuto, e la parete bianca fa da sfondo ai due seduti al tavolo e alle loro ombre.

Tornano storie passate, spesso dure, tristi, volti lontani si ritrovano nelle parole, l’inquadratura è fissa, interroga a lungo, rende quasi nullo il movimento, così che l’oggetto acquisti la ieraticità dell’icona.

Allo spesso chiaroscuro delle stanze del sud si alternano le luci piatte, bianche degli esterni, dove i vicoli si perdono in salita fra case dalle persiane sbarrate, la facciata di barocco povero della chiesa guarda dall’alto della scalinata, una palma senza ombra taglia verticalmente il campo visivo.

L’arrotino parla all’uomo di spalle di lavoro, tasse, furto e tariffe.

Violenza.

Parole fra i due, nella piazza vuota, e dicono che invece il mondo è luce, ombra, freddo, caldo, gioia, non gioia, speranza, carità, infanzia, gioventù, vecchiaia, uomini, bambini, donne, donne belle, donne brutte, grazia di Dio, onestà, memoria, fantasia, pane e vino, salsiccia, latte, capre, maiale e vacche,topi, orsi, lupi, uccelli, alberi e fumo, neve, malattia, guarigione, morte, immortalità e resurrezione.

Uno qualche volta confonde le piccolezze del mondo con le offese al mondo. Troppo male offendere il mondo, esclama l’arrotino con le braccia alzate mentre il fermo immagine chiude il quarto tableau vivant del film e partono i titoli di coda.

Convergono le due poetiche e le due visioni del mondo.

Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone; esigenze interne, segrete, recondite dell’uomo, ch’egli soltanto sa scorgere nell’uomo scriveva Vittorini nella lettera a Togliatti su “Il Politecnico” nel 1947.

Noi crediamo che il nostro sia un cinema semplice. E’ indubbio che per apprezzare al meglio i nostri film bisogna avere degli interessi: il cinema innanzitutto, l’arte e la letteratura. Ma soprattutto bisogna avere delle idee sul mondo. In tutto questo non mi sembra ci sia nulla di elitario. Il nostro è l’unico cinema semplice, sono gli altri a realizzare film retorici, in cui davvero non si capisce di cosa si parlagli fa eco Jean-Marie Straub in un’intervista a Film-studio nel 2005.

Italia/Francia, 1998, b/n, durata 66’

di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet

dal romanzo Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini 1937–38

con Gianni Buscarino [Silvestro], Vittorio Vigneri [arrotino], Angela Nugara [madre], Carmelo Maddio [uomo], Angela Durantini [sua moglie], Simone Nucatola, Ignazio Trombello, Giovanni Interlandi [il Gran Lombardo], Giuseppe Bontà [uomo di Catania], Mario Baschieri [piccolo vecchio uomo ]

musica: Ludwig van Beethoven, String Quartet in A Minor, op. 132

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