Sugata Sanshiro I di Kurosawa Akira

Film d’esordio del ’43, Sugata Sanshiro, tratto da un racconto di Tsuneo Tomita, fu realizzato da Kurosawa in tempo di guerra e quindi sottoposto al rigido controllo della censura che non lo trovò virile ed eroico come ci si aspettava.
Furono imposti tagli e l’autore racconta nell’ Autobiografia delle penose sedute con la commissione giudicante durante le quali, però, registrò l’appoggio incondizionato del grande Ozu: “Se cento punti è il massimo – disse il regista –il film di Kurosawa merita centoventi”.
Kurosawa aveva lavorato fino ad allora solo come aiuto regista e sceneggiatore, ma l’idea di un film sul judo lo appassionò per il carattere di questa disciplina, che è soprattutto una filosofia di vita.
E’ la storia vera di Saigo Shiro, un judoka qui chiamato Sanshiro, allievo del maestro che introdusse il judo in Giappone nella seconda metà dell’ottocento, mettendo in ombra altri metodi di lotta come il jujitsu, residuo di una superata cultura guerriera, fatta di violenza e sopraffazione.
Il judo è “la via della flessibilità“, una disciplina che coniuga forza fisica e mentale, un percorso di formazione che mira alla perfetta conoscenza dello spirito attraverso lo sforzo costante per ottenere un miglioramento fisico-spirituale.
Obiettivo ultimo è il perfezionamento dell’ io in funzione della vita sociale.
Sanshiro è attratto dall’insegnamento del caposcuola Yano di cui diverrà l’allievo migliore, non prima però di aver superato una dura prova iniziatica che lo porterà al controllo degli impulsi e alla piena comprensione della filosofia del maestro.
Per un’intera notte immerso nell’acqua di uno stagno, compirà l’esperienza ascetica necessaria per arrivare alla visione del fiore di loto, simbolo orientale di bellezza e astrazione dai turbamenti terreni.
Ora è pronto per la vita che lo attende come campione della nuova disciplina, ma la visione del loto tornerà nelle situazioni estreme, quando concentrazione e resistenza sembreranno non essere più sufficienti.
E’ il momento della sfida mortale, quella “per la vita”, che lo opporrà all’implacabile Higachi, orgoglioso sostenitore della scuola della violenza, allievo di Murai (lo straordinario Takashi Shimura dei successivi Cane randagio e Vivere) che Sugata ha battuto in combattimento.

Il duello finale, sul crinale della collina battuta dal vento e sovrastata da ammassi di nuvole, con i due corpi che lottano nell’erba alta, campi lunghi e primi piani in rapida sequenza, vibrazioni della natura che respira e combatte con l’uomo, tutto è segno nel giovane Kurosawa di una maturità tecnica e artistica che già compiva i primi passi.

Ritroveremo qualche anno dopo in Cane randagio un duello nell’erba di uguale forza visiva e tensione drammatica.
Gli aspetti non pienamente realizzati del film, momenti ancora acerbi come la storia dell’ amore per la figlia di Murai, non tolgono nulla alla forza visionaria del film che si dispiega nei momenti chiave, in particolare nei duelli, ed è il segno distintivo di una poetica e di una visione del mondo che si avviano a diventare arte.
Sanshiro è il primo “eroe” del mondo di Kurosawa, la presa di coscienza e l’educazione interiore torneranno nel suo cinema con puntuale costanza a dar vita ai suoi personaggi più indimenticabili.
Il successo della pellicola in Giappone gli fece girare due anni dopo un sequel, Sugata Sanshiro II, unico film su commissione che Kurosawa abbia mai realizzato.


Sessant’anni dopo, Throw down di Johnnie To sarà un omaggio ed un giusto ricordo di quest’opera prima del grande regista.

 

 

 

 

Sugata Sanshiro I

Giappone, 1943, durata 80’, b/n

regia di Kurosawa Akira

con Susumu Fujita, Denjiro Okochi, Takashi Shimura

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