Bal

Orso d’Oro a Berlino 2010, Bal – miele è il terzo capitolo della trilogia di Yussuf, un viaggio a ritroso nel tempo che inizia da Yumurta – uovo (2006) e passa per Sut – latte (2008).

Arrivato con Bal all’infanzia, Kaplanoglu chiude la composizione ad anello sull’immagine del piccolo che dorme nel guscio fatto dalle radici di un albero secolare.

Yussuf ha raggiunto il punto del bosco in cui il padre, Yakup, é morto cadendo dall’albero mentre sistemava le arnie. Quel sonno rannicchiato sulle radici é premonitore, ci saranno altri momenti in futuro in cui l’abbandono della coscienza arriverà nei momenti di tensione estrema, annullando il mondo intorno per lasciare libero corso al flusso vitale.

E’ il rifugio in un “sottosuolo” da cui emergono fantasmi del passato (la madre che percorre il viottolo di campagna all’inizio di Yumurta) e pezzi di un’esistenza che l’autore guarda da un confine ormai raggiunto, cercandovi un ordine, forse un senso.E’ la ricerca di un padre, quella di Kaplanoglu, il suo colosso, quello di chiunque voglia dare misura al suo tempo e luce ai suoi occhi.

In quella terra di povertà antica, dove il passato può ancora riemergere intatto a impregnare i sensi di sapori, suoni, colori e odori, dove un mondo arcaico, intriso di senso panico della natura convive con un Islam in cui la preghiera non è liturgia formale di facciata, Yussuf compie i suoi riti di passaggio.

La città é lontana e sconosciuta, la incontrerà da adulto e sarà delusione, fine delle attese, caduta. Tornare indietro é possibile, ma bisogna ripercorrere le tappe a ritroso e aspettare che le cose lo riconoscano.

Yussuf, l’uomo maturo e ancora giovane di Yumurta, é stato l’adolescente silenzioso e irrisolto di Sut, che sognava di pubblicare le sue poesie mentre distribuiva il latte in paese col sidecar e alla madre aveva poco da dire.

E’ stato il bambino insicuro di Bal, affetto da una balbuzie non congenita, se col padre parlava e leggeva sicuro e a scuola balbettava. Quel padre é stato il maestro sereno che si piegava su di lui a suggerirgli il nome dei fiori, che beveva quel latte che a lui non piaceva perché la madre non lo rimproverasse e gli parlava a bassa voce, in quel loro dialogo sussurrato che li univa in una complicità che escludeva il resto del mondo.

Kaplanoglu si muove lungo un confine in cui i ricordi si materializzano liberandosi dal tempo che li annebbia fino a cancellarli (la nebbia da cui esce la madre morta in Yumurta, avvicinandosi fino ad un primo piano per poi allontanarsi di nuovo). E’ un fluire della coscienza che lascia al passato e al presente la possibilità di coesistere, creando metafore. E’ il tempo perduto che torna in una “intermittenza del cuore”, e scrolla dalle cose la forma del racconto costruito a-posteriori dalla mente che classifica e riordina.

La lunga strada della memoria é fatta di persone, cose, sentimenti che riaffiorano in un recupero analogico, e sono gli oggetti amati come la barchetta costruita dal padre, i momenti di scuola con le loro piccole disfatte e poche gioie, il mondo degli adulti visti dal basso, dagli occhi del bambino che guardano e non hanno bisogno di capire.

La storia di Yussuf comincia da lì, da quel suo correre sulle gambette corte coperte da pantaloni troppo lunghi, da quel guardare serio di bambino solo e da quel sorriso timido e felice quando é vicino al padre.

Una natura ricca, colma di suoni, fruscii, vibrazioni, domina costantemente il campo visivo, il piccolo paese degli uomini sembra perdersi fra le macchie di verde.

Un rumore secco, stridente, inatteso, romperà l’idillio per sempre, é il ramo che si spezza, troppo fragile per la corda di Yakup.

La morte é entrata nella vita di Yussuf, sei anni e tutta la vita per ricordare, rannicchiato nella culla di radici, ora che é scesa la notte.

Bal

Turchia Germania Francia 2010 durata 100’

di Semih Kaplanoglu con Bora Altas, Erdal Besikçioglu, Tülin Özen

___________________________

Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.