Times and Winds di Reha Erdem

Vincitore nel 2006 del Festival internazionale del cinema di Costantinopoli, Bes Vakit significa “cinque volte”, e sono i cinque momenti di preghiera (salat) di un musulmano lungo la giornata: al mattino, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, al tramonto, un’ora e mezza dopo il tramonto.

La sottile sagoma aguzza di un minareto è sempre al centro della panoramica, quando la mdp lascia i viottoli dissestati del paese di antica miseria, fra le colline e le montagne ruvide dell’Anatolia, e si allarga in vertiginosi widescreen ad inquadrare la luna che scorre tra le nuvole, e poi giù, sui tetti delle case fino all’orizzonte, ad occhieggiare il mare lontano. Poche le panoramiche diurne, il giorno è il tempo del lavoro, del pascolo, della fatica improba dei padri, della scuola e delle corse fra rocce e alberi dei figli. Il focus si restringe al minimo segmento quotidiano, là dove la piccola vita opaca dell’uomo si scontra con la grandezza luminosa della natura, dimenticandola.

Tre pre-adolescenti, Omer (Ozen Ozkan) Yakup (Ali Bey Kayali) e Yildiz (Elit Iscan), 12/13 anni, e un pastorello orfano (Ygit Ozsener), adottato da un pingue, irascibile e manesco proprietario di capre, vivono il dramma eterno di non essere più bambini ma non ancora adulti.

Dalla terrazza che avvolge il minareto risuona, puntuale, il richiamo ad Allah e alla sua grandezza.L’imam (Bulent Yarar) è l’ottuso e pretenzioso padre di Omer, il più lucido e disincantato dei tre ragazzi, cinico per difesa quanto basta per desiderare costantemente di uccidere il padre. E’ suo il profilo raggomitolato su sé stesso in cima a un poggio, dopo la morte dell’uomo per malattia.

Piange il padre che non ha avuto e guarda la luce dell’alba, mentre la macchina scorre per l’ultima volta su cielo, terra e case (e mare, sempre più lontano).Yakut é un sognatore innamorato della dolce maestra (Selma Ergec), buono e indifeso quanto basta per veder regolarmente infrante le sue illusioni.

Infine c’è Yildiz, una piccola Elettra, agnellino del padre e massaia alternativa della madre che, presa com’è dalla cura di mucche e capre, ha bisogno di aiuto in casa. Yildiz può studiare e leggere Calikusu (Scricciolo), il romanzo di Resat Nuri Guntekin che la maestra le ha regalato, solo dopo aver lavato, spazzato e badato al fratellino urlante e affamato. Se poi il morbido fagotto le cade dalle braccia perché lei, trafelata, inciampa sulle pietre sconnesse della strada e il piccolo si fa molto, molto male, scatteranno sensi di colpa in abbondanza che dureranno, forse, tutta la vita.

Menzogna dell’infanzia felice e necessità di svegliarsi: questi i temi caldi che Reha Erdem affronta con pacata tristezza, proiettando in un mondo isolato e arcaico conflitti generazionali connaturati alla specie umana da tempi immemorabili.

I bambini cantano al vento e la voce si perde nell’aria:

Bambino che dormi, svegliati.

Lo so che é difficile.

Sei stato in casa per tanto tempo,

hai smarrito il flauto di giunco…

Quando sulla loro innocenza si abbattono la furia o l’ignoranza, disastri inconsapevoli ma non per questo meno devastanti dei grandi, il rifugio è la terra, dormire nell’erba, tra i cespugli, ascoltare il belato partecipe delle capre, lasciarsi accarezzare da un ramo di ulivo che si piega verso il basso.

Erdem riesce ad evitare lacrime struggenti e cadute in facili buonismi sull’infanzia indifesa.La steadycam insegue spesso di spalle i ragazzini che corrono, qualcuno li chiama o loro stessi cercano qualcosa, ma la soggettiva è assente, è un mondo dove ci si piega a rituali collettivi anestetizzanti, e il solo momento tutto per loro è in quel chiudere gli occhi, distesi sulle rocce o nella terra. Cattivi pensieri e candidi sogni hanno così libero corso.

Ma la natura non può riassorbirli.

Cresceranno e diventeranno come i padri, i padri sono com’erano i nonni, il cacciatore che spara all’uccellino è forse più colpevole di loro che rubano l’animale caduto e lo infilano nello spiedo?

Chissà, la natura comunque si vendica, la carne arrostita è schifosa, da sputar via.

Erdem ferma la macchina a lungo a guardare una parete vuota.

Un attimo prima c’era Omer che il padre ha chiamato per ordinargli qualcosa, ora c’è uno spazio bianco, nulla che costruisca amore, crescita, incontro di formazione.

Il tempo dell’azione a tratti rallenta, si ferma a comporre quadri di sospesa elegia. Due ulivi affrontati, uno annoso, l’altro giovane, sono cornice ad un padre con la testa curva dopo il rimprovero del nonno e ad un figlio che lo guarda, umiliato e senza amore.

Esistenze immobili, scandite dalla nascita di un vitello, da una capra squartata e divisa fra le famiglie, dalla costruzione di un muro a secco per trattenere la frana, dalle cinque, meccaniche preghiere quotidiane. Correnti carsiche di sentimenti si avvertono dietro gli sguardi, ma la reazione è rinuncia, fatalistico abbandono al fluire delle cose.

E’ un mondo pervaso di debolezza, i padri non sono modello per i figli, i loro fallimenti e la loro inutile, saltuaria severità, fa parte di un giuoco di ruolo che fa male e distrugge i sogni infantili.

Mentre la poesia continua a ripetere “svegliatevi bambini, è tempo di crescere”, le volute sonore di Arvo Part ruotano intorno ad una sola nota, un mantra che ripete, inesauribile, le stesse sillabe a formare una trama di suoni in “fuga verso una libera povertà”, una musica che “insegna il silenzio” ad un tempo che ha smarrito la voce.

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Times and Winds

titolo originale Bes Vakit

Turchia 2006 durata 110’

regia di Reha Erdem

con Ozen Ozkan, Ali Bey Kayali, Elit Iscan, Bulent Emin, Taner Birsel

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