Biutiful di Alejandro González Iñárritu

Una meditazione sulla morte, lo strappo assurdo e beffardo che ci sottrae a quella continuità di affetti e di doveri che faticosamente, giorno dopo giorno, costruiamo nella vita e che non riusciamo a pensare come contratto a termine, questo è Biutiful, un film , doloroso, eppure intriso di una magia liberatoria che seduce, fin dal primo fotogramma.

Due voci sussurranti danno inizio al film, Uxbal e la figlia, le loro mani in primo piano e l’anello del nonno, il padre di Uxbal, fuggito ventenne in Messico al tempo di Franco, lasciando la moglie incinta, e lì morto dopo due settimane di polmonite.

Uxbal vivrà una vita ai margini, piccoli traffici con immigrati clandestini sempre in fuga da retate di polizia, intermediazioni con cinesi che sfruttano la mano d’opera schiavile in sordidi scantinati, truffe ai funerali a cui si presenta come dotato di poteri medianici e, per soldi, racconta ai vivi quello che gli confidano i morti, nulla manca ad una condizione border line che si trascina in una Barcellona da bassifondi, quella che si nasconde immediatamente dietro lo sfavillìo della movida delle Ramblas o il look miliardario dei nuovi quartieri del porto.

Barcellona è un personaggio del film, avviluppa il suo grande anti/eroe protagonista in vicoli putridi, dove il sole s’intravede dietro il grande sbuffo delle ciminiere e la Sagrada Familia spunta con i suoi pinnacoli in controluce nella nebbia dello smog fuori dalla finestra dell’ospedale, per quel breve, inevitabile soggiorno per la chemioterapia a cui Uxbal si deve sottoporre.

Uxbal ha poco tempo e deve sistemare le cose, ha due figli, Ana, la più grandina e giudiziosa e il piccolo, disarmato, che fa ancora la pipì a letto. Malambra è la moglie assente, bipolare, semininfomane, eppure legata a lui, ma la vita trascina senza senso in tutte le direzioni e quello che si cerca di ricostruire a volte è solo un castello di carte.

Nulla in questo film vuol far presa sull’emotività dello spettatore né strizza l’occhiolino ad una facile pietà, la compostezza è la sua cifra e un profondo senso tragico del vivere la sua misura.

Javier Bardem interpreta Uxbal con un’intensità profonda, la sua dolcezza di padre, la capacità di accettazione del destino e il suo altruismo in contesti di tale degrado che riesci a rubare anche alla mano che ti sta aiutando, sono la corrente sotterranea che avvertiamo costante.

Nulla di agiografico, Uxbal non è un santo martire, non vuol morire, anche se vivere è quello che è, ma la malattia detta legge, e allora conta i suoi soldi e li divide in buste per quel po’ che può aiutare il futuro dei figli, a cui non avrebbe voluto capitasse di vivere senza padre, come lui.

Pirenei is biutiful, il piccolo gli aveva chiesto come si scrivesse e lui gli aveva detto “con la i “; ora il disegno è accanto al suo letto, li aveva mandati in gita sulla neve con la madre e lui no, non aveva potuto, c’era stato il disastro dei cinesi, tutti e venticinque ammucchiati nel dormitorio/scantinato con le stufe a monossido di carbonio a perdere ….

Arriva allora il momento della resa, e Iñarritu la consegna ai colori del sogno, o forse, chissà, delle evocazioni fantasmatiche, forse Uxbal ai funerali sentiva davvero la voce dei morti. Il padre ventenne, il rumore del mare e del vento, la neve fra gli alberi di quei Pirenei che Uxbal non ha visto e la bellezza del Klavierkonzert G-dur di Ravel che Iñarritu sceglie come tema del padre.

L’anello si chiude, tutto finisce dove comincia.

Biutiful

USA, 2010, durata 147’

di Alejandro González Iñárritu

con Javier Bardem, Blanca Portillo, Rubén Ochandiano, Félix Cubero, Manolo Solo, Martina García, Eduard Fernández, Karra Elejalde, Ana Wagener, Piero Verzello

_____________________

Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.