Hereafter di Clint Eastwood

Una citazione

Vivemmo: e qual di paurosa larva,

E di sudato sogno,

A lattante fanciullo erra nell’alma

Confusa ricordanza:

Tal memoria n’avanza

Del viver nostro: ma da tema è lunge

Il rimembrar. Che fummo?

Che fu quel punto acerbo

Che di vita ebbe nome?

Cosa arcana e stupenda

Oggi è la vita al pensier nostro, e tale

Qual de’ vivi al pensiero

L’ignota morte appar.

(G. Leopardi, Operette morali, dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie)

Un punto di vista sul film

Non sembri blasfemo scomodare Leopardi e il suo  sublime coro di mummie, ci sono parallelismi fra i due testi, quel pensare al “confine”, al passaggio fra vita e oltre-vita. Poi gli sguardi divergono, in Leopardi sono i morti che pensano smarriti alla vita, e poi il genio fa la differenza, naturalmente, ma non è di questo che si parla ora.

Clint Eastwood in quest’ultima fatica si è cimentato, da buon americano, su un tema che farebbe tremar le vene ai polsi a chiunque e ne è uscito dignitosamente, anche se Hereafter non si può ragionevolmente e onestamente definire la sua cosa migliore, c’è troppo e troppo poco, sembra materia grezza, a volte, crisalide che non ce la fa a spiccare il volo leggero della farfalla.

C’è una filosofia dolorosa, uno sguardo sulla vita che fa pensare all’oltre-vita come condizione migliore, e si traduce in visioni fantasmatiche fluttuanti, immerse in una luce lattiginosa, ma anche in questo la letteratura batte il cinema di parecchie lunghezze, se pensiamo al Piovene de Le stelle fredde e al suo fluire opalescente di forme da cui emergerà addirittura Dostoevskij.

Ad ogni modo il plot è intrigante, è il labile confine fra la vita e la morte, quell’attimo in cui tutto quello che è può diventare zero, una malattia, uno tsunami, un camion in corsa che ti schiaccia e chi resta deve fare i conti con questo, non è facile sopravvivere ma è il senso della vita, e l’intreccio delle tre storie qualsiasi che alla fine convergono vuol dimostrarlo.

Dunque Clint ancora una volta, dalla sua personale soglia di ottantenne, ci parla molto laicamente, nessuna tentazione mistica né prospettive metafisiche, le visioni extrasensoriali non sono promessa di sopravvivenza, illusioni di mistero, la materia e le sue leggi eterne sostanziano il reale e fragili ed effimeri fluttuiamo nell’incertezza in ogni attimo della nostra vita.

L’invito però è a farcela, nonostante tutto, e in questo Clint è sempre lui, solo che stavolta gli ingredienti sono miscelati in dosi massicce e qualcosa si fa fatica a digerirla.

L’impressione, alla fine, è che si sia un po’ esagerato, che gli scossoni emotivi lungo il film siano stati francamente troppi e, per uno smaliziato pubblico europeo, un po’ tagliati di grosso, se sul tema avesse operato per sottrazione invece che per addizione sarebbe stato meglio per tutti.

Sulla trama

George (Matt Damon) da piccolo ha avuto una brutta malattia e l’operazione alla nuca deve aver toccato qualche centro sensibile, lasciandogli una singolare capacità mediatica, stabilire contatti con l’aldilà, basta il tocco delle mani.

Ha sfruttato per un po’ questa risorsa, bei soldini sono arrivati, persone spasmodicamente avvinghiate ai cari estinti non mancano mai, il fratello vorrebbe che continuasse l’attività invece di lavorare in una fabbrica che sta riducendo il personale, ma lui recalcitra, non è uno scherzo fare salti di dimensione a comando, anche se a volte si fa trascinare dal buon cuore e fa qualche seduta.

Marie Lelay (Cécile de France) è travolta dall’indimenticabile tsunami del 26 dicembre 2004 in Indonesia mentre compra regalini al mercato per i figli del compagno rimasto a poltrire in albergo.

Giornalisti in vacanza sentimentale riescono a sopravvivere, ma lei ha vissuto sott’acqua la classica out of body experience, primo stadio dopo la morte, ha visto spazi altri e immagini oltremondane, la vita torna in un sussulto tra le macerie, i due miracolosamente si ritrovano e sembrerebbe amore eterno se poi lui, grezzo com’è benchè bellissimo, non avesse una deriva sentimentale del tutto inspiegabile.

Una volta in patria Marie, invece di scrivere il libro sulla figura e gli scandali di Mitterand che tutti si aspettano dalla sua penna corrosiva, scriverà Hereafter, un libro che molti guardano perplessi.

Il piccolo Marcus perde Jason, gemello monozigote ma di carattere più risoluto, travolto da un furgone mentre torna dalla farmacia con le medicine per la mamma e in fuga da bastardelli che vogliono il suo cellulare. La madre, drogata in programma di recupero, deve curarsi e i due assistenti sociali (le figure più sbiadite del film) consegnano Marcus ad una coppia di ottime persone che, però, non riescono a tirarlo fuori da suo mutismo.

Ci riuscirà George, in fuga dal fratello che vorrebbe far sempre soldi tramite i suoi poteri sprannaturali e gli ha messo su uno ambulatorio perfetto senza neanche chiedergli il permesso.

Marcus lo incontra per caso alla Fiera del Libro a Londra dove, sempre per caso, George incontra Marie che sta presentando il suo libro nello stand della casa editrice che ha corso il rischio di pubblicarlo.

Inutile dire che le affinità elettive scattano tutte fra i due e si arriva così al finale, che risolve le cose anche al piccolo Marcus e alla sua mamma che, va detto, non ha niente di snaturato, è una donna molto legata al figlio.

Inutile anche dire che nel corso della storia ci sono alcune altre cose molto poco convincenti, come il corso di cucina di dieci settimane che George inizia, ma non capiamo perché proprio di cucina, e non sappiamo neppure se lo finirà, forse è un modo come un altro per dimenticare le sue capacità extrasensoriali di cui mal sopporta le conseguenze nefaste sul suo sistema nervoso; il maestro cuoco, naturalmente italiano, che lavora con sottofondo musicale di pezzi d’opera, Pavarotti in testa, tenta la strada del macchiettismo non riuscendoci, e la graziosa ragazza con cui sta per nascere una storia tra una ricetta e l’altra sparisce all’improvviso e inaspettatamente, forse punita per aver tanto insistito con lui per fare una una seduta benchè lui dicesse che no, non era il caso, quel genere di sedute lì. Ma lei testarda e sciocca, e così la tremenda rivelazione che ne è emersa l’ha condannata senza pietà alla solitudine.

Epilogo

Tutto questo accade nel film, ed è veramente tanto.

Lo tsunami iniziale, magnificamente ricostruito con effetti speciali che il cinema difficilmente oggi ci risparmia, dà subito la prima scossa emotiva, una lunga sequenza che, purtroppo, non è nuova, quei filmati amatoriali e mossi, nel 2006, lasciavano poco spazio all’mmaginazione.

Lontana la grinta di Kowalski e della sua Gran Torino!

Troppa Europa … forse, un americano ci sta come un europeo in America o un giapponese a Roma.

Hereafter

USA, 2010, durata 129’

di Clint Eastwood

con Matt Damon, Bryce Dallas Howard, Richard Kind, Jay Mohr, Jenifer Lewis, Cécile De France, Steve Schirripa, Lyndsey Marshal, Mylène Jampanoï, Marthe Keller

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