Pontypool di Bruce McDonald

Dal romanzo Pontypool Changes Everything di Tony Burgess il protagonista del film è Grant Mazzy, un grande Stephen McHattie, speaker di una piccola stazione radio, che dal suo piccolo spazio vulnerabile diventa l’eroe di una lotta all’ultimo sangue  contro un nemico impossibile da immaginare anche  dalla fantasia più sfrenata, il virus del linguaggio, un’epidemia che trasforma gli uomini in zombies. Aiutato dalla donna che sempre dev’esserci quando l’uomo trema, una brava Lisa Houle, sufficientemente ironica e  materna per sottrarsi  al virus micidiale, riporterà una vittoria durissima in uno scenario apocalittico in cui l’orrore è affidato tutto all’immaginazione, nulla si vede ma la tensione è ai vertici.

Cosa sta succedendo?
Cose strane all’inizio, a Pontypool, cittadina dell’Ontario,  che diventano terrificanti man mano che si va avanti.
Un film horror in cui di horror non è necessario veder nulla, è tutto nella mente e nelle parole che fanno crescere il terrore a dismisura dentro l’angusto spazio claustrofobico della stazione radio dove arrivano notizie sconnesse, parole che non devono esser dette altrimenti si muore,

Il veleno è nel linguaggio, bisogna trovare l’antidoto, ma quale? E dove?

Nelle parole stesse che devono svuotarsi del loro senso e cercare una vita nuova, ma non in un altro significante razionalmente dato, bisogna pescare nello strato profondo, quello analogico, quello della poesia, dell’arte, quello cioè dove la parola “uccidere” può essere l’equivalente, ad esempio, della parola “baciare”.

Pensare a questo punto al meme è necessario, vista l’inusualità dell’argomento e la centralità del linguaggio nel tema.
Sul meme, “unità base dell’evoluzione culturale umana analoga al gene”, capace, come il gene in biologia, di propagarsi e influenzare l’ambiente circostante, molto è stato detto e gli studi proseguono, le prospettive sono aperte e si presentano problematiche, sociologia e psicologia, biologia e filosofia se ne occupano con l’attenzione che i fenomeni complessi legati alle culture umane sempre richiedono.
Una definizione minima e veloce ci aiuta a capire: “Come l’evoluzione genetica, anche l’evoluzione memetica non può avvenire senza mutazioni. La mutazione produce varianti di cui solo le più adatte si replicano: esse diventano più comuni ed aumentano la loro probabilità di replicarsi ulteriormente. È probabile che sia stata la mutazione a far evolvere culturalmente un primitivo gruppo di sillabe nell’ampia gamma di lingue e dialetti attualmente esistenti, e similmente anche per l’ampia gamma di significati simbolici all’interno di ogni lingua. Ulteriori mutazioni del linguaggio sono la scrittura, l’alfabeto Braille, la lingua dei segni, eccetera.

Non poteva  sfuggire un tema così intrigante all’elaborazione e sublimazione che l’arte puntualmente compie del reale, e trentacinque anni di indagini e ricerche sulla memetica trovano in questo film una  messa a fuoco capace di suscitare attenzione, conoscenza e riflessione.

Se compito dell’arte è indicare una strada, ci siamo, Bruce McDonald, ereditando una tradizione che da Romero a Carpenter, Cronenberg e Boyle, non dimenticando quanto di presago ci fosse ne Gli uccelli del grande Hitch, ci mette tutti sull’avviso.

Possiamo anche mutuare un pensiero di Karl Popper: “L’intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che la cattiva idea estingua noi“.

L’intelligere è infatti quello che si richiede come antidoto al veleno che il virus verbale, uno dei più subdoli, insinuanti e duri da combattere, ha introdotto nel genere umano, malattia contagiosa non da poco, se consideriamo che l’inizio della diffusione dei linguaggi si perde in un indefinibile e non circoscrivibile tempo mitico.
L’uso del linguaggio, esclusivo privilegio degli uomini, trovò nella memoria un alleato prezioso.
Mnemotecnica e mimesis, radici linguistiche comuni e stessi intenti, si presero a braccetto e il cammino delle civiltà iniziò.
La scrittura venne come naturale conseguenza e nacque il mito di Theuth presso gli Egizi:

Quando Theuth venne alla scrittura disse:
“Questa conoscenza, o faraone, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare: è stata infatti inventata come medicina per la memoria e per la sapienza.

Ma quello rispose: “Ingegnosissimo Theuth, c’ è chi è capace di dar vita alle arti e chi invece di giudicare quale danno e quale vantaggio comportano per chi se ne avvarrà. E ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di ciò che essa è in grado di fare. Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di chi l’ avrà appresa, perché non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affidamento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall’ esterno, da segni estranei, e non dall’ interno, da sè stessi. Dunque non hai inventato una medicina per la memoria,ma per richiamare alla memoria. Ai discepoli tu procuri una parvenza di sapienza, non la vera sapienza: divenuti, infatti, grazie a te, ascoltatori di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti e difficili da trattare, in quanto divenuti saccenti invece che sapienti”.

A questo punto prosegue Socrate: “Dunque, chi credesse di affidare alla scrittura la trasmissione di un’ arte e chi a sua volta la ricevesse, convinto che dalla scrittura gli deriverà qualche insegnamento chiaro e solido, sarebbe molto ingenuo e ignorerebbe in realtà l’ oracolo di Ammone, credendo che i discorsi scritti siano qualcosa di più del richiamare alla memoria di chi già conosce gli argomenti trattati nello scritto.” (Platone, Fedro, 274b)

Il dibattito circa la prevalenza dell’oralità sulla scrittura arriva a Platone, poi tutti capirono che la lingua detta legge e decide le sue tappe evolutive, e se c’è bisogno di parlare per comunicare è necessario anche scrivere e ricordare con tutti i mezzi possibili.

La “parole”, fonema usato dal fondatore svizzero della linguistica moderna Ferdinand De Saussure, cioè l’atto linguistico del parlante, “individuale” e “irripetibile”, ha messo in marcia plotoni di studiosi da più di un secolo.
Su langue e langage, lingua e linguaggio  si sono scontrate intere generazioni di grandi linguisti, e oggi siamo al “meme”, unità base dell’evoluzione culturale umana che può subire alterazioni, neo-plasie, nuove formazioni che “smettono di rispondere ai meccanismi fisiologici di controllo cellulare a seguito di danni al loro patrimonio genetico.”

Ma d’improvviso, senza un perché razionalmente spiegabile, gli uomini diventano zombies, si divorano a vicenda e il morso è contagioso, il virus è nella parola, è la parola stessa, non c’è scampo che nel silenzio …un silenzio nudo e una quiete altissima….

Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna: parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio, ma un silenzio nudo e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Cosí questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi…” (G.Leopardi, Operette morali, Cantico del Gallo Silvestre).

E’ possibile sottrarsi a questo scenario apocalittico?
Ne dubitiamo ma ci proviamo almeno, rifugiandoci nella non omologazione, nell’intelligere, appunto, come si tenta di fare in questo film.
Film low budget, quello che poteva essere il suo limite, gli scarsi mezzi a disposizione, si rivela il punto di forza, suspence e tensione crescono meglio in uno spazio asfittico, il finale è inatteso, apre alla speranza, una bella utopia che si avvera nella fantasia a volte aiuta a riflettere sulla realtà.

Pontypool
Canada, 2008 durata 95’
regia di Bruce McDonald

con Stephen McHattie, Lisa Houle, Georgina Reilly, Hrant Alianak, Rick Roberts, Boyd Banks, Tony Burgess, Rachel Burns, Raffaele Carniato, Daniel Fathers

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